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Milioni di morti per l’antibioticoresistenza

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Decenni di uso massiccio di antibiotici (prescritti dai medici come panacea a [quasi] tutti i mali) ci hanno portato all’emergenza sanitaria: i batteri hanno sviluppato una tale resistenza (mutando e quindi diventando più forti) da rappresentare potenziale causa di morte, da qui al 2050, per 10 milioni di persone nel mondo. Lo afferma un rapporto commissionato dal governo inglese.
Entro il 2050 la resistenza agli antibiotici potrebbe rappresentare una causa di morte più pericolosa del cancro, portando alla morte di 10 milioni persone ogni anno nel mondo. La tragica previsione è contenuta in un rapporto (Review on antimicrobial resistance) commissionato dal Governo britannico alle autorità sanitarie inglesi. Una “apocalisse farmacologica” che, in realtà, potrebbe essere più vicina di quanto si possa immaginare.
Secondo Sally Davies, Chief medical officer inglese, già oggi, ogni anno, 50.000 persone perdono la vita in Europa e negli Stati Uniti a causa dell’antibioticoresistenza. Un  articolo del giornale inglese Guardian che si è occupato di questo argomento ha previsto che malattie infettive come la tubercolosi e la gonorrea possano tornare a essere pericolose come nell’era pre-antibiotici. Viene infatti riportato che, già oggi, nel mondo vengono registrati 480.000 casi di tubercolosi multiresistenti. Infezioni che provocano ogni anno 190.000 decessi.
David Cameron, primo ministro inglese non ha usato mezzi termini commentando il contenuto del rapporto: «Se dovessimo fallire nel contrastare questa minaccia» ha affermato «dovremo prepararci ad affrontare uno scenario quasi impensabile in cui gli antibiotici non hanno più effetto. Sarebbe un ritorno al medioevo della medicina».
«Abbiamo raggiunto un punto critico» ha aggiunto Davies. «Dobbiamo agire subito, e a livello globale, per porre un freno alla caduta di efficacia degli antibiotici».
Qual è la risposta che case farmaceutiche e istituzioni stanno preparando? Nuovi antibiotici, più potenti e magari più costosi. Senza, anche questa volta, pensare che forse è più che mai necessario un cambio di paradigma per la medicina meccanicistica che tratta il sintomo ma che spesso si prende poca cura della persona.

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