Genuino clandestino: la resistenza contadina
C’è chi di agricoltura parla soltanto (e non sono pochi, va di moda) e chi l’agricoltura la fa, ogni giorno. Anzi, c’è chi fa un’agri-cultura, sposando la terra con il braccio, la mente e il cuore. È così che un coro di anime contadine ha dato vita a Genuino Clandestino, movimento che negli ultimi anni è riuscito a cucire insieme una rete di realtà che operano in maniera coerente mantenendo al centro il valore della terra come bene comune.
Gli esordi
“Ricordo ancora quando nel 2001 uno sparuto nucleo di attivisti diede vita a quella che poi è diventata l’associazione CampiAperti per la Sovranità Alimentare, che nel 2009 vinse il bando del Comune di Bologna per i primi mercati contadini” spiega Roberta Borghesi, membro di Genuino Clandestino, tra gli autori dell’omonimo
libro di Terra Nuova Edizioni.
“Dell’associazione facevano e fanno parte anche aziende e produttori informali, per far passare il messaggio che la qualità e la salubrità del cibo non nascono e crescono solo dentro le gabbie di norme rigide, ma anche dalle mani di quei contadini che amano la terra e credono nel cibo come valore e diritto. Così siamo usciti allo scoperto. Il movimento è cresciuto e si è popolato di altre raltà e da quello spirito ha tratto il nome: genuino perchè c’è la qualità, clandestino perchè si produce anche al di fuori delle regole dell’agroindustria. Ma, si badi bene, i regolamenti di Genuino Clandestino sono ancora più rigorosi di quelli ‘istituzionali’, ipocrisia e speculazione sono messe al bando”.
Quel piccolo nucleo è andato via via allargandosi, si sono aggiunte altre realtà simili in altre zone d’Italia e oggi agli incontri nazionali ci sono fino a quattrocento persone in rappresentanza dei gruppi sul territorio. “Peraltro non ci sono solo contadini, ma anche cittadini residenti in aree urbane che però diventano clienti e sostenitori della rete dei produttori e che si impegnano nella diffusione di questa sensibilità” aggiunge Roberta.
Le buone pratiche
“L’esperienza di reti di produzione e consumo alternative all’agroindustria e alla grande distribuzione organizzata testimonia, fuori dalle statistiche, il vero ritorno alla terra” prosegue Roberta. “Tante agricolture biologiche e contadine, su piccola scala e diversificate, si affermano e collaborano con la città, nella quale si creano nuovi spazi di mercato e di economia. Queste pratiche reali, quotidiane, avviate in città e in campagna rimangono spesso poco note, ma esistone, eccome, e creano un sistema di garanzia partecipata, di scambio di saperi, di spazi di rivendicazione di diritti legati alla sovranità alimentare, alla difesa della terra e dei territori. Sono le agri-culture contadine che resistono allo sfruttamento del sistema di mercato e si oppongono alla distruzione dei suoli; ricercano ostinatamente e coraggiosamente la loro sostenibilità economica e affermano la loro esistenza attraverso la pratica, sostenuta dai consumatori consapevoli. Non hanno bisogno del marketing: i loro mulini non saranno forse bianchi, ma sono lì, sotto gli occhi di chiunque voglia uscire dal supermercato e andarli a cercare. A disposizione di chi non vuole sentirsi consumatore ma co-produttore, non solo di prodotti ma anche di paesaggio, relazioni, stili di vita sostenibili, soddisfacenti e desiderabili”.
Dalle parole di Roberta appare evidente che l’agricoltura contadina non è morta, “è solo latente, non compare nelle statistiche, nei programmi televisivi o nelle pubblicità, ma c’è. In Italia circa il 99% delle aziende agricole fa ricorso a manodopera familiare, un dato che testimonia una gestione aziendale in gran parte familiare e dunque contadina. Eppure la piccola agricoltura, che tutela l’ambiente e i consumatori, rimane un territorio di frontiera nel quale i contadini devono districarsi tra vincoli burocratici, sanitari, economici, sostenendo anche il lavoro in campagna, già di per sé duro e spesso incessante”. Dunque, resistere oggi, tanto più in agricoltura, è una necessità per la sopravvivenza.
I grandi bluff
“Ciò che non vogliamo essere e che critichiamo? È presto detto, basta citare un esempio. Prendiamo Oscar Farinetti, patron di Eataly, che promuove in lungo e in largo la necessità di narrare l’enograstonomia italiana” spiegano Michele Lapini, Sara Casna e Michela Potito, gli altri co-autori di
Genuino Clandestino. “Il sistema economico neoliberista funziona proprio così: si riempie la bocca di quei valori che in realtà non tutela. Crea delocalizzazione produttiva, omologazione del paesaggio, sfrutta il lavoro e la terra, causa impoverimento ecologico, genetico e culturale. Il neoliberismo distrugge ma ha la necessità indispensabile, per restare in vita, di reinventare un mondo incantato narrando beni comuni che non contribuisce a preservare”.
“Questo modello” continuano i ragazzi di Genuino Clandestino “deve fare in modo che i consumatori siano sereni, fiduciosi, affezionati, per comprare di più e volentieri. Per sentirsi partecipi di qualcosa, per continuare a investire il loro tempo libero spendendo soldi, accumulando oggetti, mangiando cibo di bassa qualità, magari fuori casa”.
Questo sistema di pensiero si riflette chiaramente nella sfera della pubblicità, creando un immaginario ingannevole sulla produzione del cibo. Le pubblicità di produttori agricoli infatti, proseguono, “sono fatte di mulini bianchi, viticoltori sorridenti ed eleganti, polli felici e minestroni della nonna, mentre l’agricoltura e l’allevamento industriali creano desertificazione, consumano il 70% delle risorse idriche mondiali, sono vincolate all’uso del petrolio, inquinano la terra e sfruttano con violenza gli animali, si avvalgono di lavoro sottopagato, distruggono le reti ecologiche e le relazioni sociali”.
Allo stesso modo Eataly “pretende di favorire le piccole aziende artigianli ma in realtà si pone come un nuovo mediatore commerciale, orientato all’esportazione di un ideale di per sé impossibile: il tipico, l’artigianale, il prodotto del contadino a chilometro zero. Ma il chilometro, evidentemente, può essere zero solo rispetto al soggetto che acquista. Di quali aziende contadine e locali stiamo parlando se devono vendere a New York e a Dubai?”.
Si tratta della stessa logica che si nasconde dietro grandi eventi come Expo 2015, sul quale i ragazzi di Genuino Clandestino hanno un’opinione molto chiara: “Milano e tutta l’Italia fremono per far ripartire l’economia intorno a questo mega evento, che pretende di avere al centro il cibo e l’agricoltura, quando invece favorisce l’agro-business – gli stessi attori responsabili dell’agricoltura che distrugge e ricopre la pianura padana di nuovo e inutile cemento. Un’operazione di greenwashing generalizzata che ha assorbito anche nomi e soggetti storici della cosidetta economia solidale o alternativa, delle ong che lavorano con i contadini, delle esperienze storiche legate al mondo del cibo e dell’agricoltura biologica. Soggetti che spesso fanno un’ottima informazione su questi temi ma che, partecipando a Expo, sottoscrivono implicitamente la logica dell’agroindustria a discapito delle comunità locali”.
Le terre occupate
L’altra è quella di Mondeggi, in Toscana. Qui, in un podere di proprietà della Provincia di Firenze ma abbandonato a se stesso, si è insediato nel giugno dell’anno scorso un presidio permanente di cittadini che sta recuperando la terra e i casali.
“L’input ce lo diede il cosiddetto decreto Salva Italia, che prevede la vendita delle terre agricole pubbliche, che quindi sarebbero finite in mano a privati, peraltro a prezzi stracciati” spiega Fabio Santori, agricoltore umbro che gestisce un’azienda agricola vicino a Caicocci e che sostiene la comunità che là si è formata. “Questi terreni possono essere una formidabile risorsa sociale, ci sono tanti giovani che hanno voglia di tornare a coltivare la terra e che potrebbero creare un punto di aggregazione anche per la popolazione locale. Così, un gruppo di persone ha deciso di nominarsi custode sociale di Caicocci e si è trasferito nei casali abbandonati, esperienza durissima, soprattutto d’inverno perchè manca persino la corrente elettrica. Ma si tiene duro, perchè quella non è una semplice occupazione, bensì la protezione di un bene comune. La si sta ripristinando e da quando c’è quel presidio sono diminuiti i furti e i vandalismi”.
Esperimento eterogeneo di condivisione e vita comunitaria è anche quello che nelle terre di Mondeggi vede il presidio contadino in opposizione alla svendita. “Ci sono 170 ettari di terreno e sette casali, tutto di proprietà della Provincia di Firenze che non se n’è curata per nulla” spiega Emiliano Terreni del presidio. “Vogliono vendere tutto per ripianare i buchi di bilancio, ma si è creato un forte movimento di opposizione, a cui aderiscono anche i cittadini, professionisti, intellettuali, oltre che contadini e giovani. Continuano a mettere la proprietà all’asta, non vogliono sentire ragioni. Intanto noi stiamo coltivando 400 piante da frutto di varietà locali che abbiamo acquistato con i fondi raccolti durante le nostre iniziative pubbliche e abbiamo seminato tre ettari di grani antichi, sono nati persino orti sociali. È la rinascita di un luogo e della gente, ma perchè ci si ostina a non volerlo comprendere, accettare e valorizzare?”.
Le testimonianze
Un patrimonio di esperienze e testimonianze, dunque, quello di Genuino Clandestino, che quattro giovani hanno voluto e saputo illustrare nell’omonimo libro. Questo volume racconta un viaggio in dieci tappe attraverso il paese, presso altrettante realtà che hanno scelto di aderire ai principi di questa rete. Non per forza aziende agricole strutturate, anche realtà informali. Perchè non sempre chi sceglie di tornare alla terra corrisponde alle definizioni burocratiche.
Chi si incontra in questo racconto di vite? Ci sono gli Strulgador del modenese, i 2Soli in provincia di Rieti, la fattoria La Goccia di Orvieto, Semi Bradi nel perugino; c’è poi, per l’appunto, Mondeggi nel fiorentino, la Cascina Malerbe in provincia di Torino, la Cascina delle Cinciallegre nel Cremonese, Urupia nel brindisino, Totò e Ceci a Catanzaro, e Terre di Palike nel catanese.
Un viaggio, dunque, che posa sguardo, mani e piedi su insediamenti rurali fatti da chi ha cercato la terra non solo come fattore produttivo, come opportunità occupazione e di reddito, ma anche come scelta di vita.
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IL LIBRO
Un pò diario di viaggio e un pò reportage, questo libro è frutto di un lavoro collegiale dove i testi di Michela Potito e Roberta Borghesi e le foto di Sara Casna e Michele Lapini compongono insieme il racconto in dieci tappe di un’Italia inedita. L’Italia di Genuino Clandestino, una rete di agricoltori e artigiani che hanno creato negli anni un mercato alternativo per affermare con il loro lavoro l’autodeterminazione alimentare e il valore della produzione locale di qualità.
Partiti da Monteombraro, nel modenese, gli autori hanno percorso l’Italia in lungo e in largo fino a Ramacca, in provincia di Catania: hanno visitato aziende agricole e laboratori artigianali, hanno dormito sotto il tetto dei protagonisti di questa rivoluzione, mangiando e lavorando con loro per riportare su queste pagine un quadro autentico di volti, gesti e scelte coraggiose di chi lotta per ricordare a noi tutta la necessità di un rapporto più diretto e consapevole con la terra e il cibo.
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