Parte a Torino il cohousing Numero Zero
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«Era una casa molto carina senza soffitto senza cucina…» così si cantava da piccoli. Devono aver pensato a questo, quattro anni fa, i soci di Coabitare, guardando l’immobile di Porta Palazzo. Le prime fotografie mostrano una palazzina in decadenza ma, nell’utopia dei futuri cohouser, quel luogo esprimeva già tutta la sua potenzialità. Chi lo vede oggi, non può che dar loro ragione.
«La nostra impresa è iniziata nel 2009» racconta Ludovica. «A marzo il compromesso e a luglio l’atto di vendita. Trovati i materiali, consultati i preventivi e formato il gruppo, un anno dopo sono iniziati i lavori. La chiusura del cantiere era stata fissata ottimisticamente a fine 2011, poi è slittata al 2012. In estate pensavamo di finire in autunno, poi entro Natale: sembrava sempre lì a portata di mano, ma ogni volta scivolava via… ancora oggi, mentre portiamo gli scatoloni, non ci sembra vero!».
Il primo step da compiere, per i progetti di cohousing come di ecovillaggio, è la formazione del gruppo. I fondatori possono condividere già un percorso (spesso in ambito associazionistico) o non conoscersi affatto. Nel caso di Numero Zero, c’è da domandarsi che cosa tiene insieme un ingegnere, una sociologa, una traduttrice, un progettista, un insegnante, un fotografo/fisico, un architetto, un gestore di palestra e una prossima pensionata. Ce lo insegnano loro: la cura delle relazioni. Questa è l’essenza senza la quale nessun progetto arriva a compimento. Per cominciare, va elaborato un linguaggio comune: «Ognuno di noi ha una testa e generalmente pensiamo che tutti ragioniamo allo stesso modo: niente di più lontano dalla realtà!» afferma Matteo. «Quando si parla con le persone bisogna sempre sforzarci di essere il più chiari possibile e non usare termini ambigui. Meglio esplicitarli, se rischiano di essere intesi in modo diverso.
di ciascuno, filtrando le parole che pronunciamo e quelle che ascoltiamo, specie se affrontiamo temi delicati. L’importante è riuscire
a mettersi in discussione e aprirsi all’ascolto». Anche scegliere il metodo del consenso ha avuto un ruolo primario, come dice Chiara: «Alle riunioni tutti partecipano ed esprimono la propria opinione. Questo è un punto fermo: nessuna decisione è presa a maggioranza»…
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