Le famiglie omogenitoriali
In Italia le famiglie omogenitoriali sono una realtà di cui le istituzioni stentano ancora a prendere atto. Possiamo rendercene conto leggendo gli articoli che riguardano le polemiche sulla sostituzione, nei moduli di iscrizione alle scuole comunali, della dicitura «madre» e «padre» con la parola «genitore».
A Bologna e a Milano la proposta è diventata realtà, a Venezia la consigliera che l’aveva presentata è stata minacciata di morte. A Firenze, dopo un’iniziale apertura e un susseguirsi di dichiarazioni controverse, ha prevalso lo status-quo, con una minima apertura rappresentata dai moduli, privi di rilevanza formale, che servono per sapere «chi chiamare» in caso di bisogno; al loro interno, pur «senza cancellare diciture che fanno parte del nostro
corredo storico e antropologico», verrà aggiunta una nuova formula per evitare «asterischi, cancellature e quant’altro possa essere testimonianza di inadeguatezza da parte del Comune» (il testo virgolettato riprende le dichiarazioni dell’assessore competente).
Un dettaglio nell’organizzazione della vita familiare che però rispecchia lo stato delle cose. Abbiamo l’occasione di parlare della situazione delle famiglie omogenitoriali in Italia con Giuseppina La Delfa, presidente dell’associazione Famiglie Arcobaleno, che comprende circa 900 iscritti, la maggior parte nel Nord e Centro Italia e un 10% circa al Sud; i due terzi sono donne, mentre i figli, bambini e ragazzi, sono più o meno 300.
Apriamo la conversazione chiedendole se sia possibile dire con certezza quante sono le famiglie omogenitoriali in Italia e come sono dislocate sul territorio. «Non è facile fornire delle cifre» ci risponde Giuseppina. «In mancanza di dati Istat, prendiamo a riferimento l’indagine Modi di del 2005, la prima ricerca sulla salute e il benessere della popolazione omosessuale italiana, finanziata dall’Istituto superiore di sanità e realizzata su un campione di circa 7000 individui. Secondo la ricerca, gli omosessuali che dichiarano di essere genitori sono il 5%, mentre per gli intervistati di età superiore ai 40 anni il dato sfiora il 20%. Considerato che in Italia la percentuale di omosessuali è stimata al 7%, risulta che nel nostro paese almeno un centinaio di migliaia di bambini e giovani adulti hanno un genitore omosessuale. Per quanto riguarda la loro distribuzione sul territorio secondo l’asse Nord-Sud, possiamo dire che rispecchia quella degli iscritti all’associazione (vedi sopra, ndr), mentre rispetto alla relazione città-campagna è sicuramente a favore della città, con un’eccezione costituita dai piccoli centri periferici: molte famiglie ad esempio vivono a Bologna ma molte di più a Casalecchio di Reno». La presenza numericamente rilevante di famiglie arcobaleno nei piccoli centri lascia supporre che non ci siano problemi di accoglienza. Ne chiediamo riscontro a La Delfa, che parla dell’esperienza della sua famiglia residente in un paese in provincia di Avellino: «Se noi abbiamo un atteggiamento sicuro, tranquillo e rilassato non ci sono problemi. È importante essere visibili, vivere la propria vita nel modo più «normale» possibile, così dopo un po’ la gente smette di considerarti la lesbica o il gay e ti vede semplicemente come un genitore, con gli stessi bisogni e preoccupazioni di tutti».
I diritti
Passiamo ora a un tasto dolente, quello dei diritti, in particolare quelli della co-madre. «In Italia la co-madre non ha nessun diritto, almeno sulla carta» afferma lapidaria Giuseppina, salvo poi aggiungere: «ma come dicevamo, rendendosi visibili si può ricevere un primo riconoscimento che almeno
facilita la vita. Per esempio nessuno ha mai chiesto la delega alla mia compagna quando va a prendere nostra figlia a scuola, né ha mai avuto problemi quando la accompagna dal pediatra: viene semplicemente riconosciuta come l’altra mamma. È anche vero che non può votare nelle elezioni del consiglio di classe, perché in quel caso ci sono limiti amministrativi che possono essere superati solo a discrezione dei dirigenti, infatti in altri centri genitori non legali partecipano e votano».
Sempre sul tema del vuoto legislativo che circonda queste famiglie, Giuseppina puntualizza: «Io credo che avendo visibilità sociale e pubblica, e forzando la legge con tanti espedienti, dallo stato di famiglia alle scritture private per tutelarci l’un l’altra, si possa ottenere un minimo di sicurezza e serenità. Nella nostra famiglia abbiamo redatto deleghe sanitarie reciproche riguardanti la nostra salute e quella dei nostri figli. Abbiamo depositato documenti presso un notaio in cui esprimiamo il desiderio che se capitasse qualcosa a una di noi, il figlio biologico venga adottato dalla co-madre, come previsto dalla casistica delle adozioni speciali. Poi ci sono i documenti che riguardano il patrimonio: per tutelare i nostri figli di fronte alle leggi dello stato, che discriminano tra quelli legittimi e quelli non, ci vengono in aiuto le assicurazioni sulla vita, dove in caso di morte puoi designare il beneficiario a tua discrezione. Tutto questo ci rende la vita molto complicata: chi dà tutto questo per scontato non riesce neanche a immaginarlo. Quando chiediamo il matrimonio e il riconoscimento della filiazione, ci riferiamo a quei diritti che per tutte le altre famiglie sono ovvi, mentre noi dobbiamo continuamente arrabattarci e trovare degli escamotage per cercare di tutelare noi stesse e i nostri figli».
Dal 2000, anno dell’approvazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che, tra le altre cose, afferma per tutti i cittadini il diritto di sposarsi e formare una famiglia e contrasta ogni discriminazione motivata dall’orientamento sessuale, l’estensione del matrimonio civile è stata introdotta nei Paesi Bassi, in Spagna, Norvegia, Svezia, Finlandia, Portogallo, Islanda, Danimarca e Francia. Inoltre numerosi paesi europei hanno ormai riconosciuto la genitorialità sociale, che consente l’adozione dei figli da parte del partner e alcuni anche l’adozione da parte di coppie dello stesso sesso e di singole persone omosessuali.
«Siamo nel 2014 e visti i cambiamenti che ci sono stati in Europa, ci poniamo come obiettivo il matrimonio egualitario anche in Italia» continua La Delfa. «Appoggiamo le diverse proposte di legge basate sul testo redatto dalla Rete Lenford e presentate in parlamento da Movimento 5 Stelle, Sel, PD, gruppo misto». Siamo arrivate alla fine della nostra conversazione e Giuseppina ci lascia con l’invito «a guardare le persone per quello che sono, oltre le etichette e le categorie, perché la vita è uguale per tutti e quando si è genitori si vuole tutti la stessa cosa: il bene per i propri figli».