Queste sono solo alcune delle domande che ci hanno guidato nel
viaggio attraverso la campagna italiana
Partiti il 15 settembre da Bologna, alla fine del mese eravamo già in Piemonte.
In Val Susa abbiamo incontrato Luca Abbà che a Cels ci ha fatto vedere i suoi campi di ortaggi, i cavalli al pascolo e il suo primo esperimento di coltivazione della canapa; superata Tortona ci siamo fermati a Valli Unite, storica cooperativa agricola che esiste da più di trentanni, in cui lavorano una trentina di persone tra vigna, cantina, stalle, campi, arnie, forno a legna, ma anche ospitalità, e ristorazione; nei dintorni di Biella ci ha accolto il Monastero di Bose, fondato da Enzo Bianchi negli anni ’60, dove tra le diverse attività svolte dai monaci al suo interno c’è anche una realtà agricola che Vincenzo Lapenta, monaco capo-ortolano, ci ha fatto visitare spiegandoci come lì da loro la coltura della terra si lega alla vita monacale.
Ripartiti dal monastero, procedendo alla volta di Ivrea, è a Lessolo che abbiamo conosciuto Nicola Savio e Noemi Zago, una giovane coppia che partita da Torino si ritrova oggi in cammino sulla “via del nuovo contadino”!
Appena arrivati ci ritroviamo in un mondo apparentemente selvatico ma, al tempo stesso, ben ordinato: un misto di vegetazione ricca e abbondante, animali che scorazzano, piante di ogni tipo. Il biologico di Noemi e Nicola non si limita alla lotta integrata o all’assenza di chimica ma fa sì che lo spazio che si è ritagliato comunichi armoniosamente con l’ambiente che lo circonda. Iniziano subito a farci vedere la loro fattoria specificando che “Il principio è quello di “incasinare” la biodiversità del sistema in modo che se qualche cosa fallisce, qualcos’altro riesce a tamponare la carenza del momento.”
Una delle prime domande che gli facciamo è sul loro rapporto con la terra: “Noi facciamo tutta agricoltura naturale, quasi nessuna lavorazione del suolo se non una prima lavorazione quando partiamo dal sodo, dopodiché le prose diventano permanenti e le ripassiamo solo con una forca, giusto per arieggiarle al bisogno. Lavoriamo molto con le rotazioni perché lavorare con le consociazioni sarebbe troppo complesso nel nostro orto. Noi produciamo per la vendita: a consociare le singole piante diventeremmo matti, lavoriamo con le rotazioni, comprese le colture da copertura. Non lavorando il suolo non usiamo la tecnica tradizionale del sovescio, facciamo quello che in inglese si chiama “creepage”: si schiacciano le colture a terra e quelle rimangono come pacciamatura”.
Dedicarsi alla terra oggi in modo naturale non significa “tornare indietro”, fare un passo a ritroso nel tempo. Nicola si definisce un “agronerd”: nel suo parco attrezzi, accanto a zappa e rastrello, ci sono smartphone e social network. In questo senso, essere contadini vuol dire trovarsi al centro di un processo vivace rivolto al nuovo e di un’ampia rete di scambi di idee e informazioni che al tempo stesso affonda le sue radici in un’idea di percorso ben precisa.
“La decrescita e la devoluzione sono concetti che mi fanno imbestialire. Non è una questione di decrescere ma di trovare nuovi percorsi di evoluzione.”
“Ho un trabiccolo che mi trasforma la fotocamera del cellulare in un microscopio quindi io scatto una foto e la posto automaticamente in tutte le community alle quali sono collegato. Dopodiché metto via il cellulare e mi rimetto a passare il sarchietto a mano: è così, siamo contadini 2.0”
“Siamo delle teste di…nicchia – dice sorridendo – spesso mal visti sia da chi fa le cose tradizionali sia dal movimento alternativo, perché non rispondiamo a nessuna delle due categorizzazioni. Allo stesso tempo però riusciamo a dialogare con tutti, perché non facciamo scelte in opposizione a qualcosa ma sempre seguendo la libertà del nostro pensiero.”
L’assenza di trattori e mezzi motorizzati non significa che Nicola e Noemi non si servano di tecnologie avanzate. Al contrario, sfidando l’associazione in voga “tecnologia agricola=macchinari”, hanno dimostrato come l’assenza di questi ultimi incentivi invece l’adozione di utensili e metodi all’avanguardia che riducano gli sprechi e ottimizzino al massimo risorse preziose come tempo ed energie.
“Noi lavoriamo in bio-intensivo: la massima produzione dal minor spazio possibile. Per cui rotazioni molto veloci, piante molto vicine, non utilizziamo i filari ma le prose. Tutto è calibrato perché la pianta e il suolo possano esprimersi al meglio ma anche per fare in modo che sia pratico e facile lavorare la terra per noi due soli. Inoltre quasi tutto ha le dimensioni dei nostri strumenti: le prose e il sentiero centrale sono di 80cm e 40cm come i nostri due rastrelli. Progettiamo l’orto sull’ergonomia della coltivazione, non usando macchine bisogna razionalizzare il più possibile per non disperdere tempo, denaro ed energie.”
“Uno dei problemi che abbiamo con questo tipo di agricoltura è che facciamo tutto manualmente. Noi abbiamo degli attrezzi particolari che ci dobbiamo costruire perché in Italia non vengono commercializzati. Ad esempio, abbiamo un “sarchietto” oscillante: il vantaggio è che riesco a tagliare le infestanti senza disturbare il terreno perché taglio solo la parte aerea della pianta, che cade al suolo decomponendosi e arricchendo il terreno. Le radici rimaste all’interno del suolo si decompongono a loro volta e fanno un’aratura naturale del terreno. Non abbiamo intenzione di morire di lavoro: il famoso detto “L’orto vuole l’uomo morto”…. non mi avrà mai!”
“Tra gli strumenti che abbiamo creato per ottimizzare il lavoro e renderlo più efficiente, c’è un “planner”: un foglio di calcolo Excel studiato per calcolare in automatico di quanti semi e piantine hai bisogno, di quanta superficie necessiti per ottenere un determinato raccolto e che calendarizza le attività durante tutto l’anno per sapere sempre quando e come lavorare l’orto. Inoltre calcola un 30-40% di scarto legato agli imprevisti che possono capitare.”
La loro realtà produttiva è in espansione, sia dal punto di vista estensivo, sia da quello “evolutivo”: le sperimentazioni continuano, nell’ottica di un progressivo perfezionamento.
“Adesso come superficie effettiva delle prose siamo a 550mq ma arriveremo ad occupare un ettaro con questo sistema misto: alberi, orto, siepi, produzione di biomasse da usare come pacciamatura. Noi adesso stiamo iniziando ad utilizzare carbone tritato nei substrati del semenzaio per cui abbiamo bisogno di biomasse da trasformare in carbone. E’ la tecnica del “biochar”: il carbone trattiene più nutrienti e alleggerisce il substrato. E ci posso fare anche il barbecue!”
La sostenibilità ambientale non preclude quella economica. Come tutti, anche Noemi e Nicola devono far quadrare i conti; ciò che rende il loro progetto non un’aspirazione utopica ma una realtà è il fatto che nella struttura della loro attività abbiano saputo inserire con successo il fattore mercato, di cui sono protagonisti su tutta la filiera.
“La sfida oggi è riuscire a fare questo tipo di agricoltura e riuscire a pagare le spese di una famiglia, senza arrivare necessariamente alla grossa azienda agricola. Riusciamo con piccoli investimenti a ricavare un reddito. Una piccola fattoria familiare economicamente sostenibile deve fare attenzione alle tecniche che usa, alla razionalizzazione del lavoro e a nuove strategie di marketing: devi essere un artigiano a tutto tondo, seguire tutte le fasi della produzione.”
“Io ho una partita IVA agricola perciò ho sgravi fiscali ma non posso accedere ai finanziamenti europei, quindi noi abbiamo una sostenibilità economica dettata esclusivamente da quello che riusciamo a produrre e commercializzare.
L’obiettivo fondamentale di questo ciclo produttivo è il rapporto diretto col consumatore, la creazione di una rete locale e un maggiore coinvolgimento delle famiglie nella pianificazione delle semine
“Noi vendiamo direttamente a famiglie della zona, per cui non abbiamo bisogno della certificazione biologica perché le persone vengono qua tutti i giorni e vedono come coltiviamo. Addirittura, noi scegliamo con loro che cosa coltivare. Vendiamo cassette pre-fatte e miste così le persone acquistano quello che l’orto dà in quel momento. Questo metodo funziona molto bene perché non c’è scarto e i nostri prezzi sono più bassi del biologico che trovi in giro. Inoltre la varietà di ortaggi è ampissima e nel rapporto diretto con il consumatore si possono scambiare ricette e riscoprire la cura per l’alimentazione. ”
“C’è una famiglia con la quale decidiamo insieme la qualità e la quantità degli ortaggi che vogliono acquistare. Addirittura loro pagano in anticipo parte del raccolto, così da permetterci di comprare i semi e le piantine all’inizio dell’anno. Per cui man mano che il sistema cresce, la relazione diventa di co-gestione.”
Quello di Noemi e Nicola, per concludere, non è solo un fare, bensì un essere: un nuovo modo di vivere e di stare al mondo che si esprime attraverso una pratica.
“A noi piace quello che facciamo perché abbiamo richiamato a noi una serie di responsabilità che avevamo delegato all’esterno: la responsabilità di nutrirci era lasciata al supermercato, quella delle relazioni sociali era demandata al lavoro e all’intrattenimento digitale. Adesso tutto quello che facciamo “è colpa nostra”, nel bene e nel male.
Dopo la visita agli orti, Noemi e Nicola ci invitano a fermarci a casa loro per pranzo. Progettata da Noemi, architetto di formazione, e costruita insieme, la casa completa il quadro di una sostenibilità che non sia a scapito dell’ambiente o dell’uomo. Ce la raccontano così:
“Il nostro obiettivo era avere una casa asciutta, sana e che costasse poco. Il riscaldamento per tutto l’anno è una piccola stufa, in inverno la accendiamo 5 minuti al mattino e 10 la sera. L’inclinazione del tetto è valutata per ricevere maggiore irraggiamento in primavera e in autunno, ed è funzionale all’interno perché si usa tutto lo spazio del sottotetto. Consumiamo 1 metro cubo di legna all’anno, Nicola la prepara in un pomeriggio!”
Ogni tappa di questo tour è una sorpresa e contemporaneamente una conferma. Una conferma che “piccolo” non significa mediocre, limitato, inferiore al grande. Niente affatto! C’è una verità e una funzionalità nel piccolo che ha grande potenzialità, grande dignità, e soprattutto grande libertà!!
Il viaggio tra le campagne italiane si alterna a quello sui terreni scientifici: studi medici, aule universitarie, laboratori di ricerca, per incontrare ricercatori, nutrizionisti, pediatri, botanici, e ad altre figure professionalmente attrezzate, per continuare un’indagine agri-culturale “fatta sul campo”. L’idea di fondo è che per una comprensione veritiera è necessario un dialogo interdisciplinare, c’è bisogno di mettere in relazione tra loro tutte quelle geografie di senso che possono aiutarci a definire il più possibile un panorama ampio e organico su cosa realmente sta accadendo oggi. Luoghi comuni, false informazioni, pregiudizi, manipolazioni di una retorica da marketing, e soprattutto una gran confusione mediatica sono le trappole e gli ostacoli da superare. Toccare con mano e testimoniare dal vero forse è l’unico modo per non far condannare ingiustamente l’innocenza, la lealtà, il coraggio, e la passione di chi ci crede e ha la luce negli occhi.
Una web story, già visibile su
www.radicinelcielo.it, un film documentario, in opera di montaggio, e un percorso teatrale che partendo da letture recitate in musica (in tour dal 9 al 16 gennaio 2016 tra Liguria e Piemonte) ,e che nel suo cammino itinerante diventerà un testo drammaturgico, sono i tre prodotti artistici che testimonieranno quest’esperienza di incontri e relazioni tra terra e cielo. E allora avanti tutta “con impeto e tenero cuor, oltre l’ostacolo!” A chi può e vuole sostenere questo viaggio, che riguarda tutti, ci scriva pure a
radicinelcielo@gmail.com.