COP21, la ventunesima conferenza delle parti, è iniziata preliminarmente con un giorno di anticipo, il 29 novembre. E nello stesso giorno ambientalisti e cittadini si sono riversati comunque in città per dare un segnale di presenza. La polizia ha caricato qualche gruppo di attivisti. Il 30 novembre l’arrivo dei capi di Stato.
Parigi è sotto assedio. Stato d’emergenza e leggi speciali, città blindata, militanti ambientalisti in libertà vigilata “preventiva” per il pericolo che manifestino durante il summit, 2.000 operazioni di polizia in due settimane, 1.000 stranieri respinti alla frontiera. Un risultato gli attentati terroristici lo hanno ottenuto: la società civile è completamente esclusa dalle trattative che dovranno portare ad un accordo sul clima. Accordo che se dovesse essere al ribasso, come già pare, equivarrà all’emissione di una sentenza… di condanna senz’appello, ma molto probabilmente per l’umanità ancora prima che per il pianeta.
A essere pessimista è Pierre Rabhi, contadino filosofo algerino, maestro dell’autoproduzione. «Io faccio fatica a credere che i cambiamenti strutturali verranno messi in atto. Bisogna entrare in una nuova era, quella della moderazione: moderazione dei consumi e della produzione. Gli Stati decideranno di arrestare la pesca industriale e l’agricoltura intensiva, cessando così di sfruttare gli oceani e la terra? Rifletteranno su una giusta distribuzione delle risorse fra il Nord e il Sud del mondo? Io non credo. Eppure è un’urgenza, perché non è il pianeta a essere in pericolo, ma l’umanità. La Terra ha visto ben altro. Quello che rimprovero alla COP21 è di far credere che queste discussioni permettano di risolvere i problemi, mentre non si mettono in discussione le sorgenti dei disequilibri. Si tratta dello stesso atteggiamento dell’umanitarismo, che consiste nell’essere generosi verso persone che il modello ha reso indigenti».
A non credere nella reale volontà di uscire dal summit con qualcosa di determinante è anche Naomi Klein, autrice di “Una rivoluzione ci salverà” e “No logo”. E il marito, Avi Lewis, regista di “This changes everything”, afferma: «L’ideologia della crescita verde è una battaglia critica in termini di narrazione del problema, se vogliamo pensare di migliorare il sistema così come è o di cambiarlo. I trattati oggi in vigore permettono alle grandi compagnie di continuare a inquinare, in cambio di piccole multe, e già le multinazionali si sono impossessate dell’economia delle energie rinnovabili. Il problema principale di conferenze come quelle della Cop21 di Parigi infatti è che non si tocca nemmeno lontanamente il problema della ridistribuzione della ricchezza, senza cui ogni paletto messo all’inquinamento risulta inefficace, perché poi entrano in gioco il potere dei soldi e la corruzione”.