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Mari come brodo: pesci condannati

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Il Mare Nostrum e gli altri mari sono sempre più caldi. A pagarne le conseguenze, nel lungo o nel breve termine, sono sempre i pesci e gli altri organismi marini.
Il Mare Nostrum e gli altri mari sono sempre più caldi. Il fenomeno è sotto gli occhi di climatologi, meteorologi e anche dei bagnanti, e va letto su due piani: da un lato c’è il cambiamento climatico, un trend che entro il 2100 causerà un surriscaldamento delle acque mondiali, dai Poli ai tropici, tra 2 e 3,5 gradi; dall’altro c’è l’anomalia termica che in questi giorni fa registrare alle acque intorno all’Italia temperature di 3-5 gradi sopra la media. I due fenomeni sono distinti ma a pagarne le conseguenze, nel lungo o nel breve termine, sono sempre i pesci e gli altri organismi marini.  Al riscaldamento degli oceani i pesci, secondo diversi studi scientifici, possono reagire in due modi: o si adattano o, per sopravvivere, sono costretti a migrare verso i Poli in cerca di acque più fresche e più ossigenate. A fare la differenza, secondo i ricercatori dell’Australian Research Council, sono 53 geni, da quello metabolico a quello dello stress, che conferiscono ad alcuni pesci una notevole capacità di adattarsi a temperature più alte nell’arco di poche generazioni. «Capire quali geni sono coinvolti nell’acclimatazione transgenerazionale – spiega la ricercatrice Heather Veilleux – ci aiuterà a comprendere quali specie sono più a rischio per il cambiamento climatico e quali sono più tolleranti». In sostanza, quali potranno restare nel loro habitat e quali dovranno migrare.  Ciò che sta accadendo in questi giorni nei mari italiani è il secondo piano e riguarda una «anomalia termica», ha detto all’Ansa la biologa marina dell’Enea Silvia Cocito. È ancora presto per saperlo, ma «se queste condizioni di calore permangono per tutto il periodo estivo, accompagnate da uno scarso rimescolamento dell’acqua, allora, come è accaduto nel 1999 e nel 2003, si produce una stratificazione con acque superficiali (i primi 10-15 metri) molto calde, che comportano una serie di conseguenze sugli ecosistemi marini». Dalle alterazioni del metabolismo, «proprio come accade negli umani», a problemi riproduttivi, fino a implicazioni negative per la pesca.  Non solo: «soprattutto nel 2003, il Mediterraneo nordoccidentale ha registrato tassi di mortalità importanti di molti invertebrati marini come coralli, spugne e alghe. Specie più vulnerabili a condizioni anomale di temperatura vengono sostituite da specie più resistenti» e questo, prosegue Cocito, «può alterare le catene alimentari e favorire la permanenza di specie aliene, invasive o termofile». In ultima analisi le conseguenze sono sulla biodiversità: «si ha uno squilibrio dell’ecosistema marino e ne viene messa a rischio la resilienza, cioè la capacità di adattarsi ai cambiamenti».

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