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Vino amaro

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Dalla rubrica “La Zappata” pubblicata sul mensile Terra Nuova Marzo 2015, un’attenta riflessione su alluvioni, terreni, produzione di vino e intervento dell’uomo.

Vino amaro

Nella notte del 2 agosto dello scorso anno, a Refrontolo, in provincia di Treviso, un nubifragio ha fatto straripare il fiume Lierza, provocando la morte di quattro persone. Un disastro preceduto nel febbraio precedente da tre frane dovute a pioggie e due anni prima da un’alluvione a pochi chilometri di distanza.
Per il presidente dei geologi veneti “la tragedia di Refrontolo si colloca al centro di un problema idrogeologico che coivolge tutta l’area collinare dell’Alta Marca trevigiana. I terreni sono resi oggi ancora più fragili dall’azione intensiva dell’uomo che, in particolare per la coltivazione del pregiato Prosecco, interviene massicciamente con sbancamenti per nuovi impianti di vigneti”.
Questa tesi è condivisa da associazioni ambientaliste e consiglieri regionali d’opposizione, per i quali questi nuovi impianti viticoli sono incapaci di assorbire le stesse quantità d’acqua in un bosco.
Mentre per il genio civile “l’unica causa è l’eccezionale quantità di acqua caduta in tempo brevissimo“.
Le associazioni che riuniscono i 3200 coltivatori del territorio dogc del Valdobbiadene Prosecco Superiore affermano invece che “la presenza dei vigneti è una garanzia di sicurezza in più rispetto al bosco, perchè le acque sono regimentate e la manutenzione è rigorosa e costante” e “chi coltiva i vigneti è un custode del territorio, il suo scopo è di proteggere la terra, la casa, la proprietà, il reddito”. Una posizione condivisa anche da Coldiretti e dal governatore del Veneto.
Sul mercato il Prosecco è in fase di crescita intensa, sia per produzione che per superfici coltivate. Secondo lo stesso Consorzio di tutela “i vitigni di Prosecco sono sempre stati presenti nel territorio di Conegliano, ma pochi e ben distanziati. Poi il Prosecco è diventato un prodotto di largo consumo, così anche vigne abbandonate sono state recuperate e il vino ha avuto una nuova vita”.
Ma stiamo parlando di recupero di vecchi vitigni o creazione di nuovi impianti?
Dal 2013 una norma regionale permette il recupero agricolo di aree boschive affinché possano essere piantumate a scopro produttivo, con l’obiettivo di moltiplicare le “aree terrazzate vitivinicole”; e sotto e 10 ettari senza la valutazione di impatto ambientale.
Pochi mesi dopo la nascita di questa legge, il quotidiano online Trevisotoday titolava: “Bosco tra Refrontolo, Tarzo e Cison raso al suolo per i vigneti”, proprio nella zona del disastro. L’anno prima invece 40 ettari del bosco intercomunale erano stati venduti all’asta dalla Comunità montana delle Prealpi Trevigiane a una cantina vinicola di Valdobbiadene per un prezzo irrisorio.
Sembra opportuno a questo punto far presente che durante l’alluvione di tre anni fa nelle Cinque Terre, i vigneti terrazzati ancora lavorati dai contadini avevano resistito.
Appare chiaro quindi che ci sia una netta differenza tra il lavoro dei piccoli produttori che curano la loro vigna storica e quello delle aziende enologiche commerciali, che sbancano colline per fregiarsi del marchio di territorio senza curarsi delle conseguenze delle loro azioni.

Articolo tratto dal mensile Terra Nuova Marzo 2015.

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