Sono circa 134.242 le tonnelate di prodotti fitosanitari vendute in un solo anno in Italia, secondo l’ultimo rapporto Ispra, elaborato sulla base dei dati disponibili più recenti, risalenti al 2012. Più di 2 kg a persona di veleni irrorati nei campi, ma utilizzati ormai dappertutto, nelle aiuole pubblica, nei giardini di scuole, asili, ospedali, sui marciapiedi e persino nei cimiteri. E solo una piccola parte di queste sostanze raggiunge il bersaglio andando ad uccidere l’insetto o a sterminare quelle che per motivi estetici, più che produttivi, chiamiamo ancora erbacce. L’ammontare complessivo risulta in diminuzione rispetto agli anni precedenti, ma gli effetti dei veleni gettati nell’ambiente continuano a persistere per diversi anni, finendo per contaminare anche l’acqua potabile, soprattutto a causa degli erbicidi, che sfuggono al controllo non solo dei contadini, ma di giardinieri, e custodi delle aree pubbliche.
Nelle acque superficiali, secondo gli ultimi rilevamenti, è stata riscontrata la presenza di almeno due sostanze nel 17,7 % dei campioni, con un massimo di 31 sostanze in un singolo campione e una media di circa 2,8 sostanze. Nelle acque sotterranee si trovano almeno 2 sostanze nel 13,2 % dei campioni, la media è di 3,4 sostanze, e il massimo di 36 sostanze.
Il rischio maggiore è dovuto all’esposizione simultanea a diverse sostanze chimiche.
I componenti rilevati con maggior frequenza nelle miscele sono proprio gli erbicidi, in particolare gli erbicidi triazinici e alcuni loro metaboliti e il metolaclor. Nelle acque superficiali inoltre,si segnala la presenza degli erbicidi oxadiazon, glifosate e il suo metabolita AMPA. Se si passa alle acque sotterranee è rilevante la presenza di fungicidi quali metalaxil, oxadixil e pirimetanil. Non tutte le Regioni hanno la stessa densità di punti di monitoraggio, che nelle regioni del centro sud è ancora poco rappresentativo. Ma uno dei dati allarmanti che rivela l’Ispra è che tali monitoraggi risultano inadeguati, perché le sostanze rinvenute più frequentemente nelle acque non figurano tra le più cercate.
Il glifosate, ad esempio, che la Monsanto abbina felicemente alle sementi ogm resistenti a questo erbicida, viene impiegato correntemente non solo in agricoltura, ma anche su colture arboree ed erbacee in aree industriali, civili, presso gli argini e le scarpate. La sua presenza nelle acque è ampiamente confermata anche da dati internazionali, ma il suo monitoraggio, in Italia, è tuttora effettuato solo in Lombardia, dove la sostanza è presente nel 31,8% dei punti di monitoraggio delle acque superficiali.
Ma veniamo nel dettaglio delle analisi effettuate su tutto il territorio. A livello nazionale, nelle acque superficiali, su un totale di 1.469 punti di monitoraggio analizzati sono 816 (ovvero il 55,5%) quelli contaminati da pesticidi, 495 dei quali (33,7%) con concentrazioni superiori ai limiti dell’acqua potabile. Nelle acque sotterranee, su un totale di 2.404 punti di monitoraggio, 764 (31,8%) sono contaminati, 229 dei quali (9,5%) sopra ai limiti dell’acqua potabile.
Le regioni più colpite sono rispettivamente la Lombardia, con il 92% di residui trovati nei punti di monitoraggio delle acque superficiali, seguita dalla Sicilia (88%) e a ruota dall’Emilia Romagna (87,5%), che risulta invece la più inquinata nelle acque sotterranee con un 72% di campioni contaminati.
Gli erbicidi triazinici, atrazina, simazina, terbutilazina e i metaboliti atrazina desetil, terbutilazina desetil, sono tra le sostanze più rinvenute nelle acque superficiali e in quelle sotterranee; queste sostanze, inoltre, sono tra quelle che hanno determinato più di frequente il superamento degli standard di qualità ambientale.
Come già segnalato nei precedenti rapporti, lo stato di contaminazione è particolarmente rilevante nell’area padano veneta, dove le sostanze sono state largamente utilizzate, soprattutto nella coltura del mais. Il fatto grave è che ad eccezione della terbutilazina, tutte le altre sostanze non sono più autorizzate in Europa, per cui il monitoraggio evidenzia il residuo di una contaminazione storica, dovuta al l’ampio utilizzo in passato e alla persistenza ambientale.
L’esempio più lampante è quello dell’atrazina, che non è più utilizzata dagli anni ’80, mentre il monitoraggio evidenzia ancora una contaminazione importante, soprattutto nelle acque sotterranee, dove a livello nazionale è presente in 134 punti e il suo metabolita atrazina-desetil in 200 punti, entrambe spesso sopra al limite di 0,1μg/l.
La sostanza e il metabolita sono tra le principali responsabili del superamento dei valori raccomandati nelle acque sotterranee. Comunque rimane il fatto che la frequenza di ritrovamento dell’atrazina e quella del metabolita dal 2009 in poi sono diminuite, in linea con il fatto che la sostanza è fuori commercio da molti anni. Ciò significa che quella riscontrata è la coda di una contaminazione storica, dovuta alla persistenza ambientale della sostanza. Le maggiori frequenze del metabolita sono un’ulteriore conferma del fatto che non c’è più immissione di nuova sostanza nell’ambiente. Ma gli errori del passato si pagano: la sostanza e il metabolita sono ancora fra i principali contaminanti delle acque, sia in termini di frequenza, sia in termini di superamento dei limiti di concentrazione.
L’Ispra rileva ottimisticamente un più cauto impiego dei pesticidi in agricoltura, cosa peraltro favorita dalla politica agricola comunitaria e nazionale e dall’adozione di tecniche di difesa fitosanitaria a minore impatto. Ma i dati confermano che i veleni sono ancora troppi, e che con i nostri soldi, stiamo ancora finanziando un modello di agricoltura incapace di stare sul mercato, che distrugge lentamente gli ambienti naturali e la capacità di rigenerarsi.
L’allarme è al centro del Tavolo delle Associazioni ambientaliste e dell’agricoltura biologica che sono tornate a riunirsi sul tema del Piano di Azione Nazionale (PAN) sull’utilizzo sostenibile dei pesticidi previsto dalla direttiva europea del 2009 e adottato in Italia solo nel 2014.
“Il Piano italiano non contiene proposte concrete per tutelare la salute dei cittadini e dell’ambiente. Non è prevista una sensibile riduzione delle sostanze chimiche in uso, ma solo l’obbligo dal novembre 2015 di rispettare ciò che andrebbe rispettato per legge, ossia le prescrizioni contenute sulle etichette degli agrofarmaci”, dicono i rappresentanti del coordinamento tra 14 associazioni che si è creato proprio per monitorare la situazione. “Il rischio è che le multinazionali della chimica continuino a condizionare l’applicazione delle politiche europee nel nostro Paese e la destinazione di miliardi di euro di soldi pubblici che verranno spesi da qui al 2020 con l’applicazione della PAC, la politica agricola comunitaria. La stessa nuova programmazione dei Programmi di Sviluppo Rurale dalle Regioni per le misure agroambientali rischia di essere destinata sempre più a pratiche agronomiche che prevedono l’uso massiccio di pesticidi. Bisogna invece favorirne la reale riduzione principalmente attraverso la conversione al biologico, premiando quelle aziende agricole in grado di fare a meno dei pesticidi e che producono benefici per tutti: cibo sano, tutela dell’ambiente e della biodiversità agricola e naturale”.
Il Tavolo chiede che i provvedimenti in attuazione del PAN seguano un iter trasparente visto che riguardano temi fondamentali per tutti i cittadini come la tutela della salute delle persone e dell’ambiente, che dovranno essere in primo piano per il nuovo periodo della programmazione dei fondi comunitari. Per questo il tavolo delle Associazioni ha chiesto un incontro al Ministro dell’Agricoltura e alle Regioni ma le lettere inviate all’inizio di dicembre non hanno ricevuto ancora nessuna risposta.
Del Tavolo fanno parte: Aiab, Associazione per l’Agricoltura Biodinamica, FAI, Federbio, Firab, Italia Nostra, Legambiente, Lipu, Slowfood, Touring Club Italiano, Associazione Pro Natura,SIEP, UpBio WWF.
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