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Confluenza di due menti

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Il Dalai Lama e Albert Einstein: la storia di due persone straordinarie.

Confluenza di due menti

Il 6 giugno 1935, in una famiglia contadina del Tibet, nacque un bambino di nome Lhamo Thondup, che significa «dea che esaudisce i desideri». In seguito questo bambino fu scelto come quattordicesimo Dalai Lama del Tibet. Nello stesso anno, Albert Einstein andò alle Bermuda, da dove presentò una richiesta di residenza negli Stati Uniti. Questa richiesta in seguito fu accettata e così Einstein acquistò una casa di due piani a Princeton, dove visse per il resto della sua vita. Quello del 1935 fu il suo ultimo viaggio all’estero. Einstein morì nel 1955, all’età di settantasei anni.
Einstein e il Dalai Lama mi hanno affascinato per molto tempo, perché pur provenendo da due contesti culturali completamente diversi, sono stati capaci di integrare nella loro vita il lato razionale con quello spirituale. La mente scientifica di Einstein non era una macchina insensibile al cuore umano; e il Dalai Lama non è un guru religioso contrario alla scienza.
Einstein è stato forse il più grande fisico dai tempi di Isaac Newton. Ma era molto attento anche alla filosofia, alla religione e alla spiritualità. Molti autori lo hanno definito un «filosofo-scienziato». Nel suo libro Out of my later years (tradotto in italiano col titolo Pensieri, idee, opinioni ndt), Einstein scrisse: «Tutte le religioni, le arti e le scienze sono rami dello stesso albero. Tutte queste aspirazioni sono volte a nobilitare la vita dell’uomo, elevandola dalla sfera della semplice esistenza e conducendo l’individuo verso la libertà».
Il Dalai Lama è uno dei più grandi leader religiosi del nostro tempo, stimato in tutto il mondo. Eppure ha mostrato grande interesse per la scienza. Ha incontrato e conversato con molti scienziati in tutto il mondo. Molte di queste conversazioni hanno fatto parte dei dialoghi di Mind and Life, iniziati nel 1987 e che continuano tutt’oggi. Al primo di questi incontri, egli disse: «Ho un grande interesse nella stretta relazione tra la filosofia dei paesi dell’est, e in particolare il buddismo, e la scienza occidentale. Credo sempre che lo sviluppo mentale e quello materiale debbano essere ben bilanciati, così che insieme possano creare un mondo più umano. È quindi molto importante che la scienza e lo sviluppo materiale dell’Occidente lavorino insieme allo sviluppo mentale dell’Oriente.
Einstein e il Dalai Lama sono stati capaci di integrare nella loro vita il lato razionale con quello spirituale Einstein, come notano i suoi biografi, non praticava nessuna religione in particolare. Eppure esprimeva interiormente un profondo sentimento religioso. Nel suo libro intitolato Albert Einstein, Leopold Infeld lo cita con le seguenti parole: «La cosa più bella di cui possiamo fare esperienza è il mistero. Il mistero è la fonte di tutta la vera arte e la vera scienza. Chi è estraneo alle emozioni, chi non riesce più a provare meraviglia, a fermarsi in soggezione, è come morto: i suoi occhi sono chiusi. Questo intuito nei confronti dei misteri della vita, ancorché unito alla paura, ha dato luogo anche alla religione. Sapere che ciò che è per noi impenetrabile esiste veramente, manifestandosi come la saggezza più alta e la bellezza più radiosa, che le nostre ottuse facoltà possono comprendere solo nelle forme più primitive, questa conoscenza, questa sensazione, è al centro della vera religiosità. In questo senso, e solo in questo senso, appartengo alla schiera delle persone profondamente religiose.»
Il Dalai Lama è anche d’accordo che la spiritualità trascenda i sistemi e le forme religiose. Egli ritiene che la spiritualità «abbia a che fare con quelle qualità dello spirito umano – quali amore, compassione, pazienza, tolleranza, perdono, appagamento, senso di responsabilità e di armonia – che portano contentezza a se stessi e agli altri». Egli nota che anche se tali qualità spirituali sono il frutto di ogni pratica religiosa genuina, gli individui possono sviluppare una propria spiritualità senza necessariamente aderire ad un credo istituzionalizzato.
Sembra che la religiosità implicasse per Einstein un sentimento profondo per il mistero, la bellezza e la verità del mondo, mentre per il Dalai Lama è sinonimo di compassione e buon cuore. In realtà, il senso cosmologico di religiosità secondo Einstein e il senso etico di spiritualità del Dalai Lama, sono due lati della stessa medaglia.
In Out of my later years, Einstein scrive: «Una persona religiosamente illumanata mi sembra che sia quella che è riuscita, al meglio delle proprie capacità, a liberarsi dalle catene dei propri desideri egoistici». Einstein prosegue spiegando come la scienza può aiutare la religione nel perseguire questo obiettivo. Prima di tutto, le scoperte scientifiche ci mostrano l’unità, le radici comuni e l’interdipendenza dell’esistenza. In secondo luogo, la comprensione scientifica di questo imponente universo contribuisce «all’emancipazione dai vincoli delle nostre speranze e desideri personali» e sviluppa «un atteggiamento umile da parte della mente nei confronti della magnificenza della ragione incarnata nell’esistenza.»
In una prospettiva buddista, i desideri egoisti e distruttivi sono la causa della nostra sofferenza (dhuka); e così l’ignoranza (avidya), la mancanza di una vera comprensione, è a sua volta la causa di questi desideri. Secondo Einstein, il sapere, la ricerca e le scoperte scientifiche aiutano tutti, inclusi gli scienziati, a comprendere più profondamente, ad avere una visione più allargata e anche a sentirsi più umili. Tutte queste qualità contribuiscono a soffiare via le nuvole nere dell’ignoranza che stanno davanti ai nostri occhi, aiutandoci a diventare più coscienti e in pace con l’esistenza, più tolleranti, con più compassione e meno egoismo.
Questo modo di vedere la scienza ha avuto un effetto sulla personalità di Einstein? Io non potevo averlo incontrato: sono nato cinque anni dopo la sua morte, in un paese diverso. Ma dai suoi scritti, dai suoi discorsi e dalle sue biografie, così come da chi l’ha conosciuto personalmente, ho capito che era gentile e umile, preferiva una vita semplice, si lamentava della propria fama, aveva un senso dell’umorismo, era contento con l’essenziale e non gli piacevano i lussi materiali. In uno dei suoi articoli più profon di, The world as I see it (1931), Einstein scrisse: «Gli ideali che hanno illuminato il mio percorso e volta dopo volta mi hanno dato il coraggio di affrontare la vita con gioia, sono stati la gentilezza, la bellezza e la verità. I banali oggetti degli sforzi dell’uomo – possessi, successo esteriore, lusso – mi sono sempre sembrati disprezzabili».
Questi ideali contraddistinguono anche la filosofia del Dalai Lama. Io l’ho incontrato due volte: la prima volta a Dharamsala, India (dove ha vissuto in esilio dal 1959), e la seconda volta a Tempe, Arizona. Entrambe le volte disse: «Sono un semplice monaco». Potevo sentire un «oceano di saggezza» (che poi è il significato di Dalai Lama) dietro ad una tale semplicità. Al nostro primo incontro, il Dalai Lama mi dette gentilmente alcuni dei suoi libri che, mentre scrivo questo articolo, sono sulla mia scrivania. Uno di questi libri si intitola: Responsabilità universale e buon cuore. Questo è il titolo anche del secondo capitolo del libro, che comprende il suo discorso durante la prima visita in Occidente nel 1973. Egli dice: «Sento che una relazione umana a cuore aperto, che trascenda tutte le barriere artificiali quali il colore e il credo, può risolvere molti dei problemi che ci affliggono oggi». Qualcuno gli chiede: «Nelle tue parole, qual’è l’essenza della religione?» La sua risposta è in una parola: «Compassione». Un’importante implicazione della relatività alla vita umana è che dovremmo avere tutti una mente aperta, cercando di comprenderci reciprocamente Enstein è ben conosciuto per la sua legge sulla relatività, proposta per la prima volta nel 1905. Da ragazzo, Einstein si chiedeva: «Come sarebbe il mondo se cavalcassi un raggio di luce?» Gli ci vollero dieci anni di studi e un dottorato in fisica per rispondere a questa domanda. I dettagli scientifici della relatività sono sbalorditivi perché gli esseri umani non hanno esperienza della velocità della luce o della distesa dell’universo. In parole semplici, Einstein dimostrò che, al contrario della fisica classica di Newton, non c’è uno spazio assoluto o un tempo assoluto nell’universo e non c’è uno schema fisso di riferimento in rapporto al quale misurare lo spazio o il tempo. Per questo, le cose appaiono diverse da parte di chi ha una posizione o una velocità di movimento diversi. Anche il tempo e lo spazio non sono entità separate, ma bensì il tempo è la quarta dimensione dello spazio. In più, la materia e l’energia non sono indipendenti; possono essere reciprocamente convertiti seguendo la più celebrata delle equazioni scientifiche: E=mc 2, energia uguale massa per velocità della luce al quadrato.
Un’importante implicazione della relatività alla vita umana è che dovremmo avere tutti una mente aperta, cercando di comprenderci reciprocamente, senza giudicare o condannare in fretta, e soprattutto, non dovremmo usare metodi violenti per risolvere i problemi. Il Dalai Lama ha narrato una storia in seguito al suo viaggio in Giappone. In occasione di un discorso pubblico, vide delle persone che si avvicinavano a lui con un mazzo di fiori. «Mi alzai pronto a ricevere l’offerta, ma con mia sorpresa mi passarono accanto, per depositare i fiori alla base dell’altare che stava dietro di me. Così mi sedetti, profondamente imbarazzato!». Da questa storia, il Dalai Lama suggerisce che non dobbiamo giungere a delle conclusioni affrettate, basate sul nostro sapere limitato.
Il relativismo è stato talvolta capito male, per implicare che «È tutto relativo; va bene tutto». Naturalmente, Einstein e il Dalai Lama sarebbero gli ultimi a sottoscrivere un tale pensiero. Queste due persone hanno vissuto secondo principi e valori nobili. La relatività è semplicemente un metodo che aiuta a comprenderci meglio reciprocamente; ad insegnarci che c’è molto di più nel mondo di quello che vede l’occhio umano. Tuttavia, questo non vuol dire che non ci siano modelli e princìpi eterni. La velocità della luce è una costante nell’universo, così come la compassione è un principio fondamentale.
Come scienziato, Einstein si rese conto dell’interdipendenza delle cose e degli esseri viventi, sia in natura che nella società. Egli scrisse: «Cento volte al giorno ricordo a me stesso che la mia vita interiore ed esteriore è basata sul lavoro di altre persone, vive e morte, e che mi devo  sforzare per dare nella stessa misura in cui ho ricevuto e in cui sto ancora ricevendo.» In modo simile, la nozione di interdipendenza è sottolineato negli insegnamenti del Dalai Lama. Nel suo discorso alla consegna del premio Nobel, egli disse: «Siamo dipendenti gli uni dagli altri in così tanti modi che non possiamo più vivere in comunità isolate e ignorare quello che succede al di fuori di questa comunità. Dobbiamo aiutarci quando siamo in difficoltà, così come dobbiamo condividere la fortuna di cui godiamo».
Sia Einstein che il Dalai Lama hanno perduto i loro paesi d’origine. Einstein, un ebreo tedesco, sfuggì al massacro di Hitler e alla fine si stabilì in America. Il Dalai Lama fuggì dal massacro dei tibetani da parte dei cinesi e si stabilì in India. Questa esperienza ha rafforzato la loro abilità di vedere l’umanità in una prospettiva più allargata; di apprezzare la bellezza e la diversità delle culture, così come l’unità essenziale della vita umana. La velocità della luce è una costante nell’universo così
come la compassione è un principio fondamentale Einstein ha vinto il premio Nobel per la fisica nel 1921 e il Dalai Lama ha vinto il premio Nobel per la pace nel 1989. Queste due grandi personalità provenivano da due diverse prospettive – l’uno da quella scientifica dell’Occidente, l’altro da quella religiosa dell’Oriente – ma mentre si traccia la loro vita e le loro opere, queste linee convergono. La scienza e la spiritualità si completano a vicenda.
Alcune delle questioni più gravi delle società moderne hanno a che fare con le dicotomie tra scienza e religione, tra il razionale e lo spirituale, tra il materiale e il morale, tra noi e gli altri. Risulta quindi significativo che percorsi scientifici e religiosi articolati come quelli di Einstein e del Dalai Lama possano portare ad una visione comune. Il loro esempio ci mostra che sta a noi scegliere tra una visione del mondo come un groviglio di dualismi e una che veda invece la realtà come un’unità di legami reciproci. Einstein e il Dalai Lama scelsero quest’ultima.

(Rasoul Sorkhabi è ricercatore presso l’Istituto di energia e geoscienza della University of Utah a Salt Lake City (Usa). Pubblicato per gentile concessione diResurgence – www.resurgence.org. Traduzione di Nicholas Bawtree).

Articolo tratto dal mensile Terra Nuova Gennaio 2006.

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