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Di grani antichi e pane con pasta madre

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Le 400 varietà di frumento e le moltissime di farro, orzo e avena che si coltivavano all’inizio del secolo scorso in Italia oggi sono state soppiantate da appena 50 varietà, di cui 7 formano la base dell’industria cerealicola europea.

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Di seguito riportiamo un passo tratto dalla BioAgenda 2015:

Che ne sai tu di un campo di grano…

Le 400 varietà di frumento, e le moltissime di farro, orzo e avena che si coltivavano all’inizio del secolo scorso in Italia oggi sono state soppiantate da appena 50 varietà, di cui 7 formano la base dell’industria cerealicola europea.
E’ il caso del grano tenero Creso: basso, tozzo, rigonfio di acqua e fertilizzanti, privo di baffi (l’arista), raccolto a giugno ancora verde e insipido. Presenta delle macromolecole di glutine enormi che gli permettono di incorporare tanta acqua e tanta aria (si vende meglio) e di resistere a pesanti lavorazioni: l’effetto chewing gum.
Non c’è da stupirsi se poi fa male alla pancia: secondo il professor Franco Berrino, dell’Istituto Nazionale dei Tumori, la farina “00” fatta con questi grani è il “veleno” della nostra epoca, poverissima di micronutrienti, dal sapore scialbo e secondo molti responsabile del boom di intolleranze al glutine registrate negli ultimi decenni.
Ecco perché sono moltissimi i consumatori e i produttori che hanno iniziato a ricostruire filiere del grano autentiche, riscoprendo varietà con meno glutine e più micronutrienti (vitamine, sali minerali, antiossidanti). Varietà selezionate dalle mani esperte dei contadini attraverso i millenni e passate di generazione in generazione poiché si adattavano meglio al microclima, al terreno e al carattere del luogo.
Crescono senza bisogno di violentare la terra con fertilizzanti chimici o di prosciugare le falde acquifere per irrigare, servono anche meno pesticidi poiché sono più robuste e si ammalano meno.
Qualche anno fa, chi voleva un grano più sano era costretto a comprare a prezzi esorbitanti il Kamut pagando il copyright! Oggi invece riemergono dalle cantine delle cascine, per tornare in campo e in tavola a rallegrare il palato, grani dai nomi vernacolari e suggestivi: Senatore Cappelli, Saragolla, Solina, Timilìa, Gentilrosso, Verna, Frassineto, San Pastore, Jervicella, Abbondanza, Graziella Ra e tanti altri ancora.
La Rete dei Semi Rurali sta lavorando molto con gli agricoltori per aiutarli a riportare la biodiversità in campo, anziché parlare di grani antichi si parla di “popolazioni evolutive di cereali”. Seguendo gli insegnamenti di Salvatore Ceccarelli, si seminano miscugli di grani autoctoni, ed è poi il contadino a selezionare per sé quelli che si dimostrano più adatti. A differenza delle cultivar di cereali standard dell’industria, che hanno una genetica immutabile, questi cereali non solo sono diversi tra di loro ma sono anche “in movimento” e possono evolvere impollinandosi a vicenda.
Producono farine dalle proprietà organolettiche e aromatiche uniche, che più che un marchio raccontano un territorio, e differiscono così tanto da quelle convenzionali da lasciare interdetti gli addetti ai lavori.
Quando Nicholas Supiot, contadino fornaio francese, mostrò le sue farine a un fornaio convenzionale, quest’ultimo gli disse: “queste non sono panificabili”. Invece sì. Ma la lavorazione del pane è diversa: “il grano antico è come la donna difficile, per una buona riuscita ci vuole delicatezza. Bisogna impastarlo umido, lasciarlo lavorare da solo senza violenza e accanimento: lavora quando non lo lavori”.

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