“Nel ’56 la neve venne all’inizio di febbraio. Era stato mite, le rape erano già fiorite e alte un mezzo metro. Poi venne una tormenta e la neve era alta almeno quindici centimetri…”, la civiltà contadina raccontata nel testo “Il libro di Pietro”.
Febbraio mette ai monti la parrucca
Nel ’56 la neve venne proprio all’inizio di febbraio. Era stato mite, mi ricordo che le rape erano già fiorite e alte un mezzo metro. Poi venne una tormenta, dopo la quale la neve era alta almeno quindici centimetri e nel terreno il gelo era profondo trenta, quaranta centimetri. Faceva un freddo boia anche in casa, mi ricordo che in camera mia l’urina ghiacciò nel vaso. L’unico posto caldo era la stalla. Le bestie non dovevano prendere freddo, allora gli si metteva parecchia paglia sotto e si faceva una barca di concio in un cantuccio, che bollendo manteneva il caldo. Ma fuori era gelido, la temperatura scese a tredici gradi sotto zero e tutti gli uccelli venivano a ripararsi nei pagliai, poveracci. Morirono tutti, dopo la neve si trovavano nei buchi degli alberi. Anche molti olivi morirono, almeno fino alle radici, prima cascavano le foglie e poi la corteccia si staccava dal tronco. In seguito bisognava levare i tronchi morti e poi l’albero ributtava dal ceppo, ma ci vollero due o tre anni prima che quegli olivi cominciassero a produrre di nuovo. Perdere gli olivi è un disastro per un contadino, perché riesce a fare poco olio e poi con che cosa frigge e condisce?
Comunque d’inverno si poteva anche divertirsi e la neve ci dava una bella scusa, perché non si poteva lavorare comunque nei campi. Eravamo un branco di giovanotti e un giorno si disse: «Con tutta questa bella neve perché non facciamo gli sci?» S’era visto in un quaderno a scuola qualche disegno di sciatori, mica avevamo visto com’erano fatti gli sci per davvero. Comunque si andò a una palina per cercare un tronco fatto a verso, largo quanto un piede e con la curva giusta come avevamo visto nelle figure. Trovato un tronco adatto lo portammo a casa e lo cuocemmo nel forno per poterlo spaccare meglio. Poi lo dividemmo in sei stecche, per fare tre paia di sci ed ecco fatto! Bastava fare dei buchi in queste stecche, legarle ai piedi con fili di ferro ed eravamo pronti a sciare.
Non si avevano gli stivali, solo gli zoccoli, e questi si riempivano subito di neve, ma non ci importava, ormai eravamo belli che gasati. Dal Casino del Monte alla strada maestra la strada era tutta in discesa e era lunga un chilometro buono, allora faceva un’ottima pista da sci e noi naturalmente eravamo tutti campioni. Si faceva a turni a portare gli sci, ma nessuno riuscì a fare il percorso senza cadere.
Dove la strada era incassata, si riusciva a scendere abbastanza bene, ma dove non c’erano più i greppi si volava di fuori nei campi, con ogni caduta si guadagnava qualche livido e tante noccole sbucciate, andò bene che non si ruppe punt’ossi. Si seguitò a sciare per un paio di settimane perché nevicava ogni giorno. La gente di Mercatale cominciò a aspettarci in fondo alla discesa per vedere lo spettacolo e per scommettere chi sarebbe stato conciato peggio. Quanto divertimento, quante risate, quanti capitomboli! Vorrei mettere quegli sci a Tomba per vedere come si arrangia, scommetto che sarebbe cascato anche lui.
Di solito a febbraio il tempo si buttava a dolco, cioè diventava più mite e le giornate erano comunque meno corte. In questo mese si lavorava la terra con i bovi. La nostra terra era grossa e argillosa e se si lavorava quando faceva ancora inverno poi veniva qualche gelata e rompeva le zolle. Prima di lavorare la terra si spandeva il concio delle pecore e delle bestie. Poi c’era il liquame della stalla e anche del gabinetto dei cristiani che andava nel pozzo nero, lo si metteva dentro una botte e si portava al campo anche quello. Intorno ai tronchi degli olivi si mettevano i vermicelli, delle striscioline di pelle che venivano dai cappellifici di Montevarchi. Queste fabbriche usavano le pelli di coniglio per fare i cappelli di feltro e i vermicelli erano gli scarti di lavorazione. Fra il concio, il liquame e i vermicelli si doveva maneggiare tanta roba che puzzava forte e per qualche giorno si puzzava anche noi.
Ora si parla tanto dell’agricoltura biologica come se l’avessero inventata di recente, ma a me sembra che la praticavamo anche noi senza fare tante storie.
Testo tratto da Il libro di Pietro, la storia di un contadino toscano, in vendita in offerta con lo sconto del 15% su www.terranuovalibri.it, lo shop online di Terra Nuova Edizioni.
Leggi online alcune pagine del libro:
–
Ambiente, decrescita e stili di vita
Una collana dedicata ai grandi temi del nostro millennio: la decrescita, l’ambiente, la sostenibilità, le esperienze concrete e le possibilità per creare un mondo diverso partendo da sè stessi.
–
Coltivare secondo natura
Una collana di manuali pratici ed efficaci per coltivare l’orto, il giardino o il balcone con l’approccio sinergico, con la permacultura, con i metodi biologici e tutto ciò che rispetta la natura.