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L’India che rimane

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Un viaggio alla scoperta dell’India che conserva ancora intatti costumi e tradizioni, con una straordinaria varietà di artigianato locale.

L’India che rimane

La mia prima volta in India, 33 anni orsono, fu amore a prima vista. Al- lora spostarsi all’interno di quest’esteso sub-continente era molto faticoso: pochi e lenti i collegamenti, con tragitti sempre lunghi e stancanti. Il turismo in quegli anni era ancora poco sviluppato e facilmente si trovavano veri angoli di paradiso uscendo dalle rotte classiche ed evitando le grandi città. Da quella prima volta sono tornata ogni anno ed ho potuto osservare l’enorme «progresso», che ha portato tanti vantaggi ma inevitabilmente ha reso sempre più rari i luoghi incontaminati, con tradizioni locali ancora vive.
Avevo quasi la sensazione di non trovarne più fino a due anni fa quando, insieme al mio compagno, preparando il prossimo viaggio con il naso incollato alla cartina geografica e due guide aperte davanti a noi, decidemmo di avventurarci e di intraprendere un itinerario del tutto nuovo. Saremo partiti dall’isoletta di Diu, ex colonia portoghese a sud del Gujurat e deliziosa meta balneare, per arrivare nel Kutch attraversando tutto lo stato. Come antropologa, quel poco che ero riuscita trovare sulle guide mi entusiasmava tanto da cancellare ogni perplessità. Accadde così che a fine gennaio partimmo per un piacevole soggiorno su questa piccola isola: nell’unica cittadina sono tuttora presenti antiche chiese cattoliche ed è possibile incontrare abitanti che amano raccontarti (in portoghese!) «com’era una volta». Dopodiché abbiamo iniziato l’avventura verso il Kutch.
L’arte della tessitura
Il Gujurat è uno stato ricco ed industrializzato, famoso sin dall’antichità per l’arte della tessitura, esportata in tutto l’Oriente. Visitare il Calicum Museum nella capitale Ahmedhabad è stato indimenticabile: la tecnica di lavoro a telaio ikat e doppio ikat è nata qui e oggi, nel borgo di Patola, solo due famiglie ne tramandano di padre in figlio i segreti, realizzando sari regali che richiedono tre mesi di lavorazione ciascuno.
Durante il nostro cammino verso il Nord ci siamo fermati a visitare Junagadh, città affascinante e con una forte presenza musulmana, che si mescola distintamente nella maggioranza induista. I minareti, la grande moschea costruita nel XIX secolo e i palazzi di pregevole fattura le donano un aspetto unico. In cima alla montagna che domina la città sorge un tempio induista dedicato a Shiva, meta di pellegrinaggio, a cui si accede attraverso centinaia di gradini che i devoti percorrono all’alba in religioso silenzio.
Abbiamo visto anche città orribili come Rajikot, di cui ricordiamo il traffico caotico e l’inquinamento, dove siamo saliti sull’ultimo collegamento per Bhuj, capitale del Kutch. Unici occidentali, guardati con incredulità e timidezza dagli altri passeggeri, osservavamo incuriositi il progressivo cambiamento del paesaggio dal finestrino. Nelle sei ore di viaggio senza soste (giuro), ci siamo lasciati alle spalle il susseguirsi dei centri abitati, andando incontro al «Piccolo Rann», il primo deserto di sale di questa regione che si trasforma in una palude nel periodo monsonico, e alle carovane nomadi che sfilavano in lontananza. Il Kutch vanta un paesaggio vario e ricco con deserti, giungla e spiagge isolate. La sua conformazione geografica lo separa dal resto del paese, lasciandolo ancora intatto: a sud il Golfo Arabico, ad est il piccolo Rann, passaggio obbligato via terra ed infine a nord e ad ovest il Grande Rann, deserto al confine col Pakistan.
Le terre di Alessandro il Grande
Improvvisamente ecco apparire sulle colline circostanti le antiche mura della capitale: che emozione, non stavo più nella pelle…! Alessandro il Grande vi giunse nel 325 a.C. e storicamente le rovine di Dholavira, nel nordest, risalgono a un periodo compreso tra il 3000 ed il 1500 a.C. e sono, con quelle di Mohenjo Daro e Harappa, i centri urbani più estesi dei cinque ritrovati della civiltà di Harappa.
Il mio intuito non aveva sbagliato: ci siamo subito entrambi innamorati di Bhuj, incontro tra architettura e arte musulmana e gujurati, in una magica fusione di misticismo orientale e geometrie islamiche. Siamo stati rapiti dalla bellezza del palazzo del Maharaja reggente sino al 1947, dai templi e dal folclore delle viuzze intricate del mercato, stracolme di merci provenienti da tutta la regione. Qui le donne provenienti dai vari villaggi sono riconoscibili per i loro bellissimi costumi e gioielli, diversi nella forma, nel colore e nel materiale secondo la loro tribù. È capitato più volte che mi fermassi incantata a guardarle, belle, fiere e intense. Incuriosite, anche loro si fermavano ad osservare me. Era buffo ed il sorriso ci avvicinava, insieme a piccoli tentativi di comunicazione. Trovare qualcuno che parla inglese è raro e quindi i gesti sono stati spesso l’unico mezzo per comunicare.
Il ricamo dei sogni
Il Kutch ospita diverse tribù: Rabari, Ahir, Harijan, Sindh e altri piccoli clan. Ognuna ha i propri costumi, artigianato, arte e cultura. Le donne sono specializzate nell’arte del ricamo e si racconta che cuciano i loro coloratissimi sogni con l’aiuto dell’ago. Ogni donna cuce seguendo lo stile unico della sua tribù e aggiunge un tocco della propria personale creatività. Il risultato è un’opera raffinata, dove i colori esplodono sul tessuto con disegni splendidi e punti minuziosi. L’eccezionale sviluppo di questo secolare artigianato sta contribuendo oggi a far conoscere questa terra nel mondo grazie anche al sostegno di due centri che abbiamo visitato, creati a favore delle donne affinché il loro prezioso ed abile lavoro non si perda. Gioielli in argento e oro, spade, coltelli, campane di rame, tappeti e tessuti eseguiti a telaio… ogni villaggio è specializzato nel creare oggetti preziosi lavorati a mano con l’ausilio di mezzi rudimentali. 
Prima di ritornare in Occidente ci siamo diretti sulla costa nella cittadina di Mandvi. Qui si costruiscono ancora, come in origine, impressionanti galeoni di legno che nel 1600 permettevano ai navigatori della città di collegarsi con Africa, Zanzibar, Arabia, Malesia, Cina e Giappone. Oggi queste imbarcazioni sono commissionate da tutto il mondo e sono tuttora in uso.
Alla corte del Maharaja
Mandvi ha spiagge stupende e ci sembrò ideale trascorrere sull’oceano il tempo rimasto prima del rientro. Dopo una lunga e vana ricerca eravamo delusi e scoraggiati per mancanza di alloggi confortevoli. Non immaginavamo invece che a pochi chilometri ci attendesse la sorpresa più gradita: un piccolo paradiso sull’oceano, la riserva naturale del Maharaja del Kutch. Al suo interno sopravvivono i rarissimi Nilgai, cervi-capra in via d’estinzione dagli occhi dolcissimi, insieme a sciacalli e un grande varietà di uccelli. Ci sono quattro chilometri di spiaggia isolata e un fiume che l’attraversa per congiungersi all’oceano. Lì si trova la residenza estiva del Maharaja, che è possibile visitare: un palazzo fiabesco che permette di godere dalle terrazze più alte un panorama mozzafiato sul parco, sull’oceano e sulla spiaggia.
Abbiamo personalmente conosciuto Sua Altezza, ultimo discendente di un’illustre dinastia che, non avendo eredi, chiude un’epoca. Ci ha gentilmente ospitato per un tè pomeridiano. Ai margini della spiaggia, è stato allestito un resort dove abbiamo alloggiato in tende da sogno arredate lussuosamente. Quest’anno ci siamo tornati e per tre mesi è stato la nostra base, da cui partire per visitare i villaggi più distanti accompagnati dalla nostra guida Mangha Bhai. La sua presenza ci ha garantito la possibilità di comunicare con i locali e ci ha permesso anche di poter soggiornare per una notte nel villaggio degli Harijan, vicino al deserto. Ho preparato il cibo con le donne che si muovevano con grazia, avvolte nei loro vestiti principeschi… accucciata per terra accanto al fuoco, mi sono sentita una regina. Tutti insieme abbiamo condiviso il pasto serale sotto le stelle, alla luce delle lampade ad olio e poi il capo del villaggio ci ha raccontato dei tempi in cui l’erba era così alta che arrivava alle spalle di un uomo.
La notte ci siamo tranquillamente addormentati all’interno di una tipica bunghas: capanna costruita con paglia mista a fango e sterco di vacca e decorata poi con colori e disegni vivacissimi. Questa seconda visita ci ha permesso di allacciare amicizie sincere e di scoprire la ricca e straordinaria varietà del suo artigianato: le tinture tie-dye, le stoffe batik, la pittura roghan e molte altre.
Dopo oltre venti anni ho ritrovato in questa parte dell’India il suo sapore autentico, la calma e la serenità insite nelle persone, il silenzio, l’intensità spirituale e tanta pace.
Articolo tratto dal mensile Terra Nuova Dicembre 2006.

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