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La fine dei gorilla

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Il rapporto Istat 2015 relativo alla natalità nell’anno 2014 riporta ancora una volta dati negativi: 5000 nati in meno rispetto al 2013. L’uomo a rischio di estinzione? L’editoriale dal titolo “La fine dei gorilla” apre il mensile Terra Nuova Luglio-Agosto 2015 e offre una riflessione sulla tematica della natalità in Italia.

La fine dei gorilla

Se continuiamo così rischiamo di fare la fine dei gorilla, ormai a livello di pericolo critico, il penultimo stadio prima del rischio di estinzione: la battuta è del professor Andrea Lenzi, presidente della Società italiana di endocrinologia.
Il fatto è che in Italia nel 2014 sono nati 509.000 bambini, 5000 in meno rispetto al 2013. La metà di quanti ne nascevano negli anni Sessanta.
Dagli anni del boom economico a oggi è stata una vera e propria corsa verso il basso, che ha portato il nostro paese a guadagnare gli ultimi posti nella classifica mondiale della natalità.
Se non ci sarà un’inversione di tendenza, avvertono gli esperti, nei prossimi anni avremo grande difficoltà a mantenere il welfare così come lo conosciamo oggi, e con molta probabilità, aggiungo, avremo città e famiglie meno felici e gioiose.
Diverse sono le cause individuate da socilogi e demografi per giustificare il calo delle nascite nei paesi più industrializzati: biologiche (riduzioni della fertilità maschile e femminile a causa dell’inquinamento ambientale, dello stress e del progressivo innalzamento dell’età del parto), sociali (crisi del modello tradizionale di famiglia), economiche (negli ulimi cinque anni la curca di denatalità si è ulteriormente accentuata).
Certo, la diffusa precarietà economica e lavorativa delle giovani generazioni è tra tutti uno dei principali ostacoli alla neogenitorialità, ma è evidente che la ragione principale che fa ritardare o cancellare per sempre la decisione di avere un figlio è da ricercare altrove, in qualcosa di più profondo.
Qualcosa che ha a che fare con il senso dell’esistenza e con il dare continuità alla vita stessa, attraverso i figli.
Oggi mettere al mondo una creatura è finalmente una scelta, non più un obbligo sociale o un automatismo come in passato. Se manca una motivazione esistenziale profonda, quella che gli Indiani d’America chiamavano “la visione”, è facile trovare tanti motivi per non farlo.
È come se prima di diventare padre o madre fosse necessario un travaglio interno per partorire la propria visione del mondo. Una sorta di iniziazione all’età adulta che ci faccia diventare, prima ancora di essere padri o madri di qualcuno, genitori di noi stessi.
Solo dopo questo “parto interiore” si può essere pronti a prendersi cura di un altro essere, e diventare genitori consapevoli di un figlio o una figlia, destinati comunque a essere qualcosa di diverso da noi stessi.
Perchè, come dice Khalil Gibran: “I nostri figli non sono nostri. Sono figli dell’ardore che la Vita ha di se stessa“.

Editoriale del direttore Mimmo Tringale dal mensile Terra Nuova Luglio-Agosto 2015.

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