Possiamo usare questa pausa alla normalità delle cose per scegliere consapevolmente qual è la strada che vogliamo seguire. L’editoriale di Maggio 2020 del direttore di Terra Nuova, Nicholas Bawtree.
Negli ultimi anni non sono certo mancate le emergenze. Molte di queste, come la fame, l’obesità, la crisi ambientale, le guerre, stanno avendo un costo in vite umane ben superiore a quello con cui ci stiamo, purtroppo, confrontando durante questa pandemia.
Perché dunque fino ad ora non era mai stato dichiarato uno stato di emergenza che implicasse modifiche sostanziali al nostro stile di vita, mentre per arginare questo virus ci siamo riusciti in un paio di settimane?
La domanda è molto scomoda, ma dobbiamo iniziare a porcela se vogliamo evitare di ripartire col piede sbagliato e «correre più veloci domani» per compensare la perdita economica, in barba a salute, ambiente e diritti.
La risposta, come sottolinea lo scrittore Charles Eisenstein, potrebbe essere rivelatrice: le nostre reazioni automatiche alle crisi sono di solito basate sul controllo e come tali sono poco efficaci per affrontare problemi come la fame, la dipendenza o il collasso ecologico. Di fronte a un’epidemia contagiosa, invece, ci attiviamo di slancio perché in questo caso il controllo funziona: distanziamento sociale, isolamento, localizzazione, blocchi. Per ogni comunità, piccola o grande, risulta più facile individuare un nemico da combattere «chiaro» e dichiarato, l’untore di turno. Più difficile è indirizzare le forze per risolvere problemi che richiedono un approccio più complesso, quando il nemico ha mille facce (tra cui la nostra).
Pensiamo per esempio alla crisi climatica.
È arrivato il momento di affrontare questioni molto profonde, che hanno a che fare con il valore che diamo alla sicurezza rispetto alla libertà e alla fisicità (vivremo forse in una società senza abbracci e strette di mano?), con l’idea che abbiamo di quello che fa già parte di noi, ovvero microbi, virus, il nostro sistema immunitario… fino al grande tabù della morte e ancor più del morire bene (e quindi più inconsciamente del vivere bene).
Tutto questo lo si può fare a livello filosofico, ma soprattutto attraverso quel ricchissimo bacino culturale e di esperienze a cui questa rivista ha dato voce da oltre quarant’anni. «Possiamo usare questa interruzione del normale ordine delle cose, questa pausa al bivio» scrive Eisenstein «per scegliere consapevolmente su quale strada vogliamo incamminarci: che genere di sistema sanitario, quale paradigma di salute, che tipo di società vogliamo».
Ripartiamo col piede giusto.
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