Dall’incontro nazionale delle Comunità che Supportano l’Agricoltura, tenutosi nelle Marche, la Rete Italiane delle CSA, nata nel 2018, rilancia l’attività: «Vogliamo incidere e lavorare per un nuovo modello di sviluppo del mondo rurale legato a filo diretto con chi acquista».
Si è tenuto nelle Marche l’incontro nazionale delle CSA che sono sorte nel nostro paese negli ultimi anni e che si sono ora date il nome ufficiale di Rete Italiane delle Comunità che Supportano l’Agricoltura.
Cos’è innanzi tutto una CSA? Si tratta di una sorta di patto di mutuo impegno tra un’azienda agricola, una cooperativa o un’associazione di promozione sociale e una comunità di sostenitori, che prevede un collegamento diretto tra il produttore e il consumatore di cibo. I sostenitori coprono diverse spese di gestione annue dell’azienda attraverso l’acquisto di una parte del raccolto stagionale e si impegnano a sostenere il produttore affiancandolo nell’assunzione dei rischi di impresa.
A fare il bilancio dell’incontro nazionale delle CSA è Carlo Schiavo, uno dei portavoce.
Cosa è emerso sul fronte del “fare rete” dall’incontro delle CSA?
«Innanzitutto abbiamo ribadito che i due scopi principali della rete sono di agevolare uno scambio di conoscenze relativamente agli aspetti tecnici e organizzativi, ma anche giuridici e istituzionali, tra i suoi membri, e di permettere all’esperienza delle CSA di essere conosciuta e di diffondersi a livello nazionale. Per perseguire questi scopi abbiamo concordato di proseguire e rafforzare il lavoro in gruppi tematici che era iniziato nel precedente incontro di Firenze. Abbiamo deciso inoltre che almeno per i prossimi mesi la rete manterrà il suo carattere informale; avvieremo il processo di formalizzazione solo una volta che la rete stessa avrà cominciato a funzionare, nonché avrà raggiunto i suoi primi obiettivi, così come saranno definiti all’interno dei gruppi di lavoro. Nonostante l’informalità, ci siamo comunque dati un nome: Rete Italiana delle CSA (RICSA); e in un momento conviviale abbiamo anche abbozzato un logo».
Come pensate di riuscire a influire sempre di più sul cambio di paradigma necessario in agricoltura, quindi verso scelte e condizioni che privilegiano il modello agroecologico e sostenibile?
«Da una parte ci impegneremo attraverso il lavoro di diffusione e di divulgazione del nostro modello, certamente ispirato ai principi dell’agroecologia e della sostenibilità, perché riteniamo che l’esempio e l’adozione di buone pratiche siano la spinta più forte verso il cambiamento; dall’altra prenderemo a partecipare con rappresentanti agli incontri e alle occasioni di confronto e collaborazione con le realtà che condividono i nostri obiettivi e il nostro impegno».
Qual è la situazione sul fronte dell’aspetto sociale dell’agricoltura? Piccoli agricoltori e loro condizioni, “schiavitù” sementiera, grandi proprietari per le multinazionali dell’agroindustria ecc?
«All’incontro erano presenti anche alcuni agricoltori legati alle CSA e abbiamo condotto insieme le varie riflessioni.
Siamo convinti che il nostro modello rappresenti una ribellione concreta a tale situazione, dal momento che può assicurare un’entrata economica più certa e consistente ai piccoli agricoltori, e contribuire a fare ritrovare dignità, autonomia e gratificazione nella loro attività. Durante una discussione plenaria nel corso dell’incontro, l’agricoltore che partecipa e lavora per la CSA Coltiviamoci di Padova ha ammesso che dopo vari anni di sfruttamento presso aziende varie ora le sue condizioni sono mutate in maniera sostanziale. Partire da questi cambiamenti concreti può portare a ribaltare la situazione generale».
Quale il modello a cui vi ispirate e che volete sostenere?
«La Comunità che Supporta l’Agricoltura (o l’Agricoltura Supportata dalla Comunità, come verrebbe dalla traduzione dell’acronimo inglese) è un tema piuttosto giovane in Italia, ma una realtà consolidata a livello internazionale. Noi abbiamo adottato la Carta delle CSA sottoscritta a livello europeo e dunque ci riferiamo a tale modello. Certamente bisogna tenere conto che nella pratica la realizzazione di quel modello ideale avviene attraverso un processo, con modalità e tempi che possono essere diversi nelle varie realtà territoriali.
Bisogna fare informazione, su questo non c’è dubbio».
Prospettive future, speranze, progetti?
«Cominceremo a lavorare in alcuni ambiti specifici (aspetti giuridici, aspetti agricoli e tecnici, sociali ed economici, comunicazione) e fra tre mesi verificheremo i risultati in progress grazie ad alcuni coordinatori. Ci rivedremo poi nella seconda metà di maggio probabilmente a Roma per fare il punto tutti insieme. Nel frattempo, ci organizzeremo per partecipare all’evento di costituzione della nuova Rete Italiana di Economia Solidale (RIES), previsto per il prossimo gennaio a Roma, e al Forum mondiale delle Economie trasformative che si terrà a Barcellona a giugno. Personalmente, e per una volta rispondo come Carlo, ritengo che questo incontro abbia fornito molti spunti di lavoro a ciascuna CSA, e conto che presto cominceremo a vederne i risultati».