Oggi, 29 novembre, il mondo eredita un’altra volta dagli Stati Uniti, dove è partita la moda, il cosiddetto “black friday“, il giorno in cui il consumismo si scatena in un’isteria che tocca il picco. Un vero affare. Ma per chi esattamente?
L’origine esatta dell’espressione “Black Friday” è incerta, ma secondo alcuni farebbe riferimento alle annotazioni sui libri contabili dei negozianti che tradizionalmente passavano dal colore rosso (perdite) al colore nero (guadagni), per cui il Black Friday indicherebbe un giorno di grandi guadagni per le attività commerciali. Da quel giorno incomincerebbe il periodo dell’anno più proficuo per i negozianti, capace di portare in nero, quindi in attivo, i conti della propria azienda.
Ironicamente, sta succedendo l’esatto contrario: dal momento che – soprattutto in Italia – la grande corsa alle offerte avviene perlopiù online e nelle grandi catene. Il Black Friday, come un vero e proprio Buco Nero cosmico del commercio, non fa che accelerare il processo di travaso degli acquisti dai negozi indipendenti presenti sul territorio alle mega aziende, siano esse virtuali o meno. E come sappiamo i colossi possono permettersi anche di andare in perdita su operazioni civetta, perché comunque avranno acquisito nuovi clienti, magari addomesticandoli con programmi fedeltà e facendo sempre tesoro dei loro dati.
Fagocitatori seriali
Ci sarebbe molto da dire sul processo che sta trasformando l’essere umano da consumatore a fagocitatore seriale a qualunque costo. Ma il rischio è sempre quello di diventare dei bacchettoni puritani che giustificano un acquisto solo se è strettamente necessario, se è “utile”. Ma è proprio così? Chi insegue le sirene del Black Friday in qualche modo sta rispondendo a un proprio bisogno interiore che esige attenzione: bisogno di novità, di rinnovamento, di scoperta, di sensualità, di bellezza, di leggerezza, di sicurezza, di trasgressione.
“Non avere niente nella tua casa che tu non ritenga utile o che tu non riconosca come bello” diceva lo scrittore, artista e politico socialista William Morris. Questo può essere un punto di partenza per una riflessione sul Black Friday che vada oltre il “pro o contro”. E molto sta in quel “o che tu non riconosca come bello”.
Una domanda che dobbiamo iniziare a porci è la seguente: un mondo di paesi e città senza negozi indipendenti, un mondo dove sempre più spesso l’acquisto si traduce nel tocco sullo schermo di uno smartphone, è davvero un mondo più bello? E venendo ai prodotti stessi: il valore di quello che acquistiamo si limita davvero all’oggetto che ci ritroviamo tra le mani? Sta tutta lì la sua bellezza, ma anche la sua utilità?
Storie e vite dietro i piccoli negozi
Quando facciamo la spesa al nostro negozio di fiducia, stiamo davvero solo acquistando un prodotto? Evidentemente no, anche se sembra che ce ne siamo dimenticati. In realtà stiamo acquistando, ovvero sostenendo, rendendo possibile, altri “ingredienti” che a quel prodotto danno il valore aggiunto: l’esperienza insostituibile di muoversi non lontano da casa e trovare una serie di luoghi accoglienti dove trovare quello di cui abbiamo bisogno; le scelte, i consigli e le garanzie di fiducia offerte dal gestore, che possono andare ben oltre quelle riportate freddamente su un certificato di garanzia; lo scambio umano col negoziante, i commessi e le altre persone che frequentano il negozio; la possibilità di sostenere l’economia locale, che gioverà in tanti modi indiretti; l’ottimizzazione degli imballaggi e degli spostamenti delle merci rispetto a un singolo acquisto online…
Dobbiamo riflettere seriamente su questa questione, perché una volta che un negozio locale è stato ucciso dal mercato, è molto difficile che torni. E quando la concorrenza sarà completamente tolta di mezzo, saranno pochi grandi gruppi a decidere cosa acquisteremo e a che prezzo. Il che dipinge un quadro triste, brutto, nero appunto.
L’assurdità degli sconti a ogni costo
Prendiamoci il tempo per sospendere il giudizio e dirigere le energie nella direzione di quegli stessi bisogni che ci portano ad affondare le nostre esistenze contro le rocce del consumismo sfrenato. Interroghiamoci sull’assurdità della logica degli sconti ad ogni costo e compiamo un atto sovversivo: compriamo a prezzo pieno, in un negozio vero, qualcosa che riteniamo utile o che riconosciamo come bello. E dopo averlo fatto una volta, facciamolo ancora. A differenza dell’ansia che accompagna inevitabilmente le offerte – addirittura online spesso troviamo il timer col conto alla rovescia – avremo tutto il tempo per decidere se quella cosa vale davvero la pena di essere acquistata, lo potremo fare in un ambiente familiare ed amichevole e andremo a contribuire a un mondo in cui vale la pena vivere. Avremo fatto, davvero, un affare.