Complessivamente si può parlare di una buona stagione per la produzione italiana. Ma i risultati sono molto frastagliati per via degli scherzi del clima. E i dazi di Trump non aiutano i produttori.
Nel mese di novembre ci troviamo ancora in piena fase di raccolta delle olive ed è già il tempo dei primi bilanci sulla produzione olearia, che si dimostra sempre più condizionata dalle variabili climatiche. Un’annata tutto sommato positiva per il nostro paese, decisamente migliore rispetto alla passata stagione. Cia-agricoltori italiani, Italia olivicola e Associazione italiana frantoiani oleari (Aifo) stimano una crescita della produzione italiana dell’89%, mentre secondo Coldiretti il recupero sui minimi del 2018 sarà di circa l’80%. Nello specifico, la produzione italiana è stimata a circa 330 mila tonnellate di olio, quasi il doppio rispetto ai minimi delle 175 mila tonnellate del 2018, ma ancora lontana dalle 428 mila tonnellate del 2017.
In generale si può considerare una buona notizia per la nostra filiera nazionale che, bisogna ricordarlo, può contare su maggiori quantità di olio extravergine a denominazione controllata in Europa (43 Dop e 4 Igp), e su un patrimonio di ben 533 varietà di olivi, primato che non ha uguali in tutto il mondo.
Dati disomogenei
Ad uno sguardo più attento però scopriamo che i dati della produzione sono tutt’altro che omogenei per la nostra Penisola. I fenomeni meteorologici avversi, con precipitazioni sempre più intense e imprevedibili, espongono i nostri uliveti al rischio di gelate improvvise o all’eccesso di umidità, ridisegnando ogni volta in modo diverso la geografia produttiva. Il 2019 sta garantendo ottimi risultati soprattutto nelle regioni a vocazione produttiva del Sud, mentre i disagi del clima e le infestazioni della mosca olearia sono stati più consistenti nelle aree dell’Italia Centrale.
Tra tutte le regioni svetta quest’anno il risultato positivo della Puglia, che fa registrare l’aumento più consistente (+175%) rispetto al 2018, penalizzato da intense gelate invernali. A trainare il Tacco d’Italia, che da solo produrrà quasi il 60% dell’olio extravergine d’oliva nazionale, sono soprattutto le province di Bari, Barletta-Andria-Trani e Foggia.
Si conferma, purtroppo, il trend negativo del Salento, flagellato dalla Xylella, con la drastica riduzione, rispetto alla già terribile annata passata, del 50% della produzione che si attesterà a meno di 3 mila tonnellate.
Chi sale e chi scende
In chiaroscuro il bilancio delle regioni centrali: mentre salgono le produzioni in Abruzzo e Marche, sono in flessione le produzioni di Lazio, Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna, a causa del ritardo della fioritura dovuto alle basse temperature di inizio primavera. Scarsa la produzione, con una diminuzione del 50% o più, sia in Liguria sia sul Garda.
Se allarghiamo lo sguardo al mercato internazionale, nell’area mediterranea vediamo fenomeni altrettanto vari e altalenanti. Il paese leader rimane la Spagna, principale esportatore mondiale, che però quest’anno riduce la produzione da 1,80 a circa 1,15 milioni di tonnellate, per via delle condizioni meteo avverse.
Risultati alterni in Grecia, con una produzione complessiva di 280 mila tonnellate, di cui 70-80 mila solo a Creta. In generale tengono le isole e il Peloponneso, mentre risulta più danneggiata la parte continentale ellenica.
Intanto, in attesa dei risultati finali, cresce la preoccupazione per i dazi imposti dal governo statunitense alle importazioni agroalimentari.
Per l’olio extravergine d’oliva venduto negli States secondo Coldiretti il prezzo potrà raddoppiare, dai 12 euro attuali ai 24 euro al chilo. Una notizia cattiva per chi punta sulle esportazioni.
Ricordiamoci, almeno noi, di consumare olio extravergine prodotto in Italia, ne va della sopravvivenza dei nostri territori… e di chi ci lavora.
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