L’anno scolastico è iniziato e migliaia di bambini sono rimasti fuori da asili nido e scuole dell’infanzia a seguito dell’introduzione della legge che ha portato a dieci le vaccinazioni obbligatorie.
L’anno scolastico è iniziato. I tanti movimenti di genitori e le associazioni per la libertà di scelta in materia vaccinale hanno fatto il punto sulla legge che ha portato a dieci le vaccinazioni obbligatorie e ha proibito la frequenza ad asili nido e scuole dell’infanzia a tutti i bambini non in regola. E la conclusione è che i genitori di migliaia di piccoli alunni da 0 a 6 anni hanno dovuto rinunciare a inserire nelle comunità infantili i propri figli.
«Non si rinuncia a una scelta fatta in consapevolezza, dopo attenta riflessione e dopo essersi documentati» hanno spiegato in molti. Il rammarico resta comunque perché «veniamo privati di una opportunità e di un diritto in nome di un provvedimento che ha letteralmente diviso l’opinione pubblica», spiegano tante famiglie escluse.
Per chi ha invece potuto inserire i figli alla scuola dell’obbligo, la mancata osservanza del calendario vaccinale, anche solo parziale, ha fatto scattare le sanzioni amministrative, nei confronti delle quali numerosi genitori hanno opposto ricorso.
Ma ci sono associazioni a difesa della libertà di scelta che non si arrendono nemmeno di fronte ai provvedimenti di esclusione dei bambini. Per esempio, il Comilva ha attivato un team di legali, di cui è portavoce l’avvocato Luca Ventaloro di Rimini, che sta fornendo assistenza e supporto alle famiglie che lo richiedono.
Legali al lavoro
«I dirigenti scolastici delle scuole dell’infanzia, in tutta Italia, stanno attuando sospensioni o decadenze dalla frequenza dei minori non vaccinati, anche nei confronti di coloro che hanno presentato all’Asl regolare richiesta di appuntamento per la vaccinazione» spiega l’avvocato Ventaloro. «Di fronte a questa errata applicazione della normativa, si stanno attuando diverse linee di tutela: per le sospensioni i genitori inviano una diffida con istanza in autotutela, redatta dal legale, e il minore può essere portato a scuola perché, essendoci ancora l’iscrizione, ha titolo per frequentare. In caso di decadenza invece, cessa appunto lo status di iscritto e il minore non può frequentare. Qui si può inviare una diffida legale, meglio se redatta dal legale, in cui vengono paventate azioni civili e denuncia penale; questo atto può già risolvere la situazione se il dirigente scolastico capisce cosa rischia in proprio, vale a dire una eventuale condanna penale ed una condanna al risarcimento danni. Comunque è un atto che serve come base sia per l’azione civile, sia per la denuncia/esposto penale. Oppure si può procedere con una causa civile al giudice ordinario, o il ricorso al Tar entro 60 giorni dalla notifica del provvedimento di decadenza, oppure ancora con una denuncia o esposto penale nei confronti del dirigente scolastico per abuso d’ufficio».
Le sanzioni
«Quanto alle sanzioni amministrative, che in diverse parti d’Italia vengono comminate in numero significativo agli obiettori, sono state in molti casi impugnate con scritti difensivi e richiesta di audizione, come previsto dalla legge 689 del 1981» conclude Vantaloro. «Nei ricorsi i genitori invocano la nullità delle sanzioni stesse ai sensi dell’articolo 4 della legge, cioè asseriscono di avere agito in stato di necessità o in adempimento di un dovere, quello genitoriale, e/o dell’articolo 14, inerente al ritardo nella notifica della sanzione».
Il tema resta però ancora non affrontato a livello politico e non paiono esserci segnali di un cambio di rotta rispetto alla legge così fortemente voluta dall’ex ministro della salute Beatrice Lorenzin.
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