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Omeopatia: appello all’Europa

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Omeopatia: il Comitato europeo guidato da Hélène Renoux ha lanciato a suo tempo un appello all’europarlamento: «Si garantisca la libertà di cura». E gli esperti ammoniscono: «Non si possono più ignorare le prove scientifiche e i vantaggi in termini di risparmio economico».
È stata la dottoressa Hélène Renoux, presidente del Comitato europeo per l’omeopatia (la European Committee for Homeopathy rappresenta quaranta associazioni di medicina omeopatica in venticinque nazioni) a scrivere a suo tempo a tutti i candidati all’Europarlamento(1) per chiedere l’impegno a garantire il diritto alla scelta terapeutica dei cittadini di tutti gli Stati membri. Le pressioni sono molte e la Renoux ha sottolineato come «la pratica omeopatica sia minacciata in diversi paesi europei sulla base di informazioni fuorvianti e studi non obiettivi».
L’omeopatia, spiega la Renoux, è la seconda medicina complementare in Europa, praticata in quaranta Stati con oltre cento milioni di pazienti che la utilizzano. Ed è «largamente riconosciuto come essa possa fortemente contribuire alle politiche di salute pubblica». Contribuisce infatti «a ridurre la necessità di interventi medici ad alto impatto e a ridurre l’utilizzo dei farmaci convenzionali prescritti per assunzioni a lungo termine; aiuta a diminuire il ricorso agli antibiotici, permettendo quindi di ridurre il fenomeno del’antibioticoresistenza; è caratterizzata da un elevato grado di soddisfazione dei pazienti, aumento della qualità della vita e diminuzione dell’assenteismo» per malattia.
Nel suo appello, la presidente della Commissione sottolinea anche come l’omeopatia sia «un trattamento sicuro con pochissimo eventi avversi e con ampie evidenze di efficacia e di rapporto costo-beneficio positivo», oltre a rappresentare un valido ausilio «nel ripristinare le difese naturali del paziente contro le malattie, di grande rilevanza per la gestione delle malattie croniche».
Renoux aggiunge poi che «la direttiva europea 2001/83, recepita da tutti gli Stati membri, costituisce un quadro regolatorio che garantisce sicurezza, qualità e corretta informazione sui medicinali omeopatici» e che va protetto. 
La Commissione ha ritenuto necessario lanciare questo appello agli eurocandidati dopo avere constatato che nell’ultimo anno si sono costituiti veri e propri fronti di pressione, supportati da rappresentanti della medicina accademica e allopatica, che in più paesi europei stanno chiedendo la delegittimazione pubblica dell’omeopatia e dei medicinali correlati, che pur da inizio 2020 saranno regolarmente registrati nella farmacopea ufficiale.

Convenienza e sicurezza

«Sì, il fenomeno preoccupa, anche perché chi fa pressione pare non tener conto della letteratura esistente sull’efficacia e sull’effettiva economicità dell’omeopatia» spiega il dottor Elio Rossi, responsabile dell’ambulatorio di medicina omeopatica dell’Ausl Toscana nord ovest, area di Lucca (anche centro di riferimento regionale), docente in diversi corsi e master universitari e autore di numerose pubblicazioni.
«L’omeopatia rappresenta anche un vantaggio economico per la sanità e la salute in termini di minori costi» spiega il dottor Rossi, «poiché i medicinali omeopatici costano significativamente meno della maggior parte dei farmaci allopatici (si pensi ai costi esorbitanti per il sistema sanitario nazionale dei moderni trattamenti per il cancro o le malattie autoimmuni) e implicano un minore utilizzo di altri farmaci perché non hanno praticamente effetti collaterali da trattare».
«Naturalmente, si trovano anche preparati medicinali che hanno un prezzo più alto, come quando si parla di omotossicologia o di medicina antroposofica, ma non è nulla comunque in confronto a certi farmaci allopatici, con i quali restano assolutamente competitivi» prosegue Rossi. «Vanno senz’altro aggiunti i costi relativi alle visite private, ma se questo approccio diagnostico-terapeutico fosse inserito nel Servizio sanitario nazionale tale costo verrebbe meno. In Toscana, per esempio, sono in funzione oltre cento ambulatori pubblici, spesso inseriti in strutture ospedaliere, dove il cittadino può ricevere trattamenti e farmaci di medicina non convenzionale semplicemente pagando il ticket. All’ospedale di Pitigliano, in provincia di Grosseto, tali trattamenti avvengono anche su pazienti ricoverati. In Toscana vengono erogate più di 30mila prestazioni l’anno di questo tipo e il grado di soddisfazione è estremamente elevato».
Il dottor Elio Rossi è anche tra gli autori di uno studio, pubblicato sulla rivista scientifica Homeopathy(2), che ha dimostrato la convenienza dei trattamenti omeopatici nella sanità toscana. Lo studio osservazionale retrospettivo è stato condotto su 105 pazienti che soffrivano di malattie respiratorie croniche seguiti all’ospedale Campo di Marte di Lucca. È emerso che la riduzione generale dei costi durante la terapia omeopatica è stata del 42% nel primo anno e del 49,8% nel secondo. I costi per i pazienti affetti da asma cronica hanno mostrato una riduzione addirittura del 71,1% rispetto al 12,3% del gruppo trattato con farmaci convenzionali nel primo anno, e rispettivamente del 54,5% e del 45,2% nel secondo. «Insomma, soprattutto nel caso di queste patologie, l’omeopatia conviene, sia per i pazienti che per il sistema sanitario» conclude Rossi.
In una revisione della letteratura esistente condotta da un team dell’università inglese di Sheffield e pubblicata sull’European Journal of Health Economics(3), gli autori affermano che le evidenze sono promettenti e positive in fatto di costi e benefici dell’omeopatia, e raccomandano di condurre ulteriori studi perché il filone è promettente.
In Francia un team di studio di Lione e Parigi ha concluso, su Health Economics Review(4), che «la gestione omeopatica dei pazienti può risultare meno dispendiosa in una prospettiva globale e potrebbe rappresentare un motivo di interesse importante per la salute pubblica».
E ancora, uno studio olandese pubblicato sull’European Journal of Health Economics(5), ha affermato che pazienti trattati con medicine complementari possono avere, a seconda dell’età, una riduzione dei costi di salute e una maggior longevità rispetto a quelli trattati con la medicina convenzionale.
C’è anche chi ha concluso che a parità di costi, i pazienti che avevano ricevuto trattamenti omeopatici hanno registrato indici di efficacia maggiori rispetto ai pazienti trattati con farmaci allopatici. È per esempio quanto emerge da uno studio pubblicato su Complemetary Therapies in Medicine e condotto da ricercatori tedeschi(6). Sono stati presi in considerazioni circa 500 pazienti con diagnosi di malattie croniche e l’analisi ha indicato miglioramenti maggiori nei soggetti trattati omeopaticamente, seppur con costi simili.

Riduzione nell’uso di antibiotici

Un aspetto molto importante dell’utilizzo dell’omeopatia e delle altre medicine complementari, spiega ancora il dottor Rossi, è quello della riduzione dell’uso degli antibiotici, con indubbi vantaggi di salute ed economici. «La conferma è emersa dallo studio(7) condotto da Erik Baars e da un autorevole team internazionale di esperti, pubblicato su Evidence-Based complementary and Alternative Medicine». Il tema è stato anche discusso alla conferenza internazionale che si è tenuta a Bruxelles(8), presso la sede della Delegazione toscana, nel giugno dello scorso anno.
Peraltro, già nel 2016 sull’American Journal of Public Health(9) un team di ricercatori, all’epoca in forze alla Divisione di medicina generale e cure primarie del Beth Israel Deaconess Medical Center di Boston, aveva attestato come in letteratura scientifica fosse confermata l’efficacia dell’omeopatia per la riduzione dell’uso di antibiotici inutili e dei costi per il trattamento di alcune malattie respiratorie, nonché per il miglioramento nella depressione peri-menopausa e delle condizioni sanitarie in individui affetti da malattie croniche. I ricercatori avevano concluso sottolineando la necessità di ulteriori ricerche in considerazione dei potenziali benefici che la medicina omeopatica può apportare alla salute pubblica.

Validazione scientifica

Sull’efficacia e la validità in generale dell’omeopatia è peraltro online da qualche tempo la prima banca dati italiana che raccoglie gli studi prodotti in letteratura scientifica a livello internazionale(10). L’iniziativa è della Federazione delle associazioni e dei medici omeopati (Fiamo), è accessibile a tutti ed è frutto del lavoro del vicepresidente Fiamo, Francesco Marino.
Eppure, ciò che si continua a sentire e leggere in tv e sui media mainstream è che l’omeopatia non ha basi scientifiche e che non ha alcuna efficacia.
«Ai mantra ormai non so più cosa rispondere! Chiederei a chi continua a ripetere queste cose: chi ve lo ha insegnato? Quali sono le vostre fonti di informazione? I libri di Garattini, il Corriere della Sera, il Sole 24Ore o Wikipedia?» interviene Paolo Bellavite, fino al 2017 professore associato di patologia generale all’università di Verona, autore di numerose pubblicazioni ed esperto di medicine complementari. «Persino Wikipedia contribuisce al gioco al massacro, con un capitolo sull’omeopatia a dir poco scandaloso, in cui si inanellano una serie di micidiali fandonie e calunnie sul metodo terapeutico che a loro dire farebbe parte delle pseudoscienze. Io e altri abbiamo provato a modificarlo ma ci è stato impedito».
«Non guardo la televisione, ma su giornali e periodici leggo spesso le stesse bufale ripetute alla nausea e talvolta mi scoraggio. Possibile che un ricercatore come me, che ha lavorato trent’anni in università su questo argomento, pubblicando decine di lavori recensiti nelle banche dati accreditate, non venga intervistato da quei media che invece passano come oro colato le “opinioni” dei soliti due o tre che conoscono la materia di seconda mano e hanno pubblicato dieci volte di meno?» si chiede Bellavite.

Il principio di similitudine

«Ovviamente l’omeopatia, come qualsiasi branca della medicina, ha i suoi problemi e le sue meravigliose potenzialità, ma se uno intende restare ancorato alle opinioni dei circoli cui appartiene, c’è poco da fare. È sufficiente accentuare i problemi e cancellare le potenzialità e il gioco è fatto. L’omeopatia è una forma di medicina molto complessa e non facile da capire, ma dal punto di vista scientifico ha fatto passi avanti notevolissimi. L’omeopatia classica intende curare l’interezza della persona e per questo ha sviluppato un metodo di individualizzazione della prescrizione medicinale, basato sul principio di similitudine, che non ha confronti. Il principio di similitudine, a sua volta, è stato validato scientificamente in moltissimi campi, dall’immunologia fino alla tossicologia, dalle conoscenze sul sistema dello stress fino al livello dei recettori cellulari per citochine o prodotti batterici. Io e il mio gruppo di ricerca veronese abbiamo contribuito con molti lavori, pubblicati su riviste internazionali peer-reviewed, a tale sviluppo di conoscenze».

«Attacchi strumentali»

«Purtroppo, negli ultimi due o tre decenni, quanto più l’omeopatia guadagnava credito nella popolazione, tanto più si scatenava la reazione con campagne di stampa feroci. Persino quotate riviste internazionali come Lancet si sono prestate all’attacco accettando pubblicazioni che, a loro dire, avrebbero dimostrato l’equivalenza col placebo. Pochi sanno che tali pubblicazioni sono state poi smentite clamorosamente da vari autori anche non omeopatici. Ultimamente, vi sono stati attacchi pesanti su vari quotidiani scritti da personaggi vicini al mondo della farmacologia convenzionale».
«Scandaloso poi che persino la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici, la Fnomceo, sia stata influenzata da personaggi legati ai circoli scettici pseudoscientifici senza competenze specifiche. Non si sa più come fermare questo tam tam, che è difficile immaginare non sia orchestrato in qualche modo per interessi che non hanno molto a che fare con il dibattito scientifico».

Principi ed efficacia

«Il principio razionale dell’omeopatia è molto forte sul piano scientifico» prosegue Bellavite. «Essa sfrutta il principio di azione-reazione tipico dei sistemi viventi in un modo straordinariamente efficace, a un livello di individualizzazione e di complessità impensabile con la medicina convenzionale. Noi abbiamo nel corpo una straordinaria farmacia naturale, capace di produrre ogni tipo di sostanza, dagli antibiotici agli antitumorali, dai cortisonici ai microRNA, dagli oppiacei ai vasodilatatori. Il problema per la medicina è stato quello di sfruttare tale bagaglio terapeutico in modo razionale. La medicina convenzionale, sia prima sia dopo Hahnemann, ha sempre cercato di imitare i farmaci naturali producendo sostanze chimiche capaci di regolare o bloccare alcuni meccanismi chimici o biochimici di tipo enzimatico, per esempio somministrando gli antibiotici se la malattia è batterica o gli antinfiammatori se c’è infiammazione. Tuttavia, il limite di tale approccio è che esso ha presupposto un concetto di malattia semplicistico e riduzionistico, tale per cui si è sempre pensato di intervenire su uno o pochissimi aspetti. Ciò funziona per alcune patologie e in alcuni casi acuti, ma se la malattia è complessa, dovuta a molti meccanismi intrecciati in modo inestricabile, o se non si conosce la causa determinante, ecco che l’approccio riduzionista mostra i suoi clamorosi limiti nella capacità di curare e guarire. L’omeopatia si pone l’obiettivo di stimolare il potere di guarigione endogeno somministrando al malato una sostanza che è in grado di provocare sintomi simili in un soggetto sano. In pratica, si manda un messaggio patogeno artificiale, verso cui il malato mette in moto una risposta integrata di guarigione. Quindi, se non siamo capaci di guarire da soli, o se la guarigione è troppo lenta o si è bloccata, ecco che si può intervenire cercando di risvegliare e coordinare i sistemi di difesa e di omeostasi endogeni, che saranno capaci da soli di “pescare” le medicina giuste nella nostra farmacia e indirizzare l’organismo nel suo complesso verso uno stato migliore di salute. Per far questo, però, non basta sapere il nome della malattia (approccio clinico convenzionale: dalla diagnosi di malattia al farmaco provato sul gruppo di pazienti con la stessa malattia), ma bisogna conoscere bene le modalità con cui reagisce ogni singola persona alle perturbazioni patologiche e patogene. Ed è questo che finora si è fatto seguendo la via dei sintomi, raccolti in modo meticolosissimo; ciò non significa che non si possano anche studiare i meccanismi a livello biochimico o molecolare. Evidenze sperimentali generate in laboratorio hanno identificato un numero significativo di molecole e cellule bersaglio del farmaco omeopatico, e gli effetti farmacodinamici dei rimedi omeopatici sono stati dimostrati da studi di laboratorio condotti in vitro o su modelli animali. È stato dimostrato che i bersagli dell’azione comprendono sistema immunitario e meccanismo dell’infiammazione».

Effetti sui geni

«È stata studiata anche la capacità dei medicinali omeopatici di modulare l’espressione genica nell’uomo e in organismi unicellulari. I risultati, cui ha contribuito in modo determinante il mio gruppo comprendente anche i dottori Marta Marzotto, Clara Bonafini e Debora Olioso, sostengono l’ipotesi che il farmaco omeopatico possa attivare o disattivare alcuni geni rilevanti, innescando l’attivazione a cascata in grado di correggere l’espressione errata che aveva generato il processo patologico».
«Il metodo omeopatico del simile che cura il simile è perfettamente razionale perché è adeguato alla complessità dei sistemi di regolazione, molto di più della distribuzione di farmaci chimici a tutti per la stessa malattia» prosegue Bellavite. «Ha però un difetto: è difficile da attuare, richiede molto studio, molta applicazione, molta dedizione, molta esperienza».
«Per ciò che concerne la prova scientifica di efficacia, va detto che tra gli oltre seimila lavori pubblicati sulla banca dati Pubmed, ci sono alcune centinaia di lavori clinici, anche di tipo randomizzato, di cui circa la metà ha dato risultati positivi in favore dell’efficacia, un quarto ha dato risultati negativi (nessun effetto), un altro quarto risultati incerti. Io ho collaborato con omeopati nella ricerca clinica di tipo epidemiologico e abbiamo prodotto risultati interessanti nel campo delle cefalee, delle artriti e delle neuropatie diabetiche. La letteratura di alto livello è in crescita, ma troppo lentamente a causa di due fattori: da una parte le resistenze del mondo accademico e delle autorità regolatorie, dall’altra la mancanza di interesse nel mondo omeopatico che non si preoccupa molto di svolgere ricerche secondo standard metodologicamente accettati da tutti».

Le diluizioni omeopatiche

Uno degli aspetti maggiormente oggetto di attacchi è, poi, quello delle alte diluizioni dei principi attivi nei medicinali omeopatici, che ne farebbero svanire l’efficacia.
«È una questione annosa, anch’essa utilizzata fino alla nausea, segno clamoroso della totale mancanza di conoscenze sugli sviluppi della chimica e della fisica, documentati da decine e decine di pubblicazioni scientifiche su riviste quotate. E pensare che uno dei gruppi più noti e produttivi in questo campo è italiano, quello del professor Vittorio Elia a Napoli. Anche qui il vero problema è che certi personaggi strettamente legati alla farmacologia convenzionale, la quale a sua volta è strettamente legata al mondo della produzione farmaceutica, hanno ampia audience sulle testate giornalistiche e sui principali mass media».
Nei medicinali omeopatici i principi attivi vengono diluiti in acqua, «che non è un liquido omogeneo come si crede» aggiunge ancora il professor Bellavite. «Contiene nanoparticelle, nanobolle, clusters o, secondo una visione più precisa dal punto di vista dell’elettrodinamica quantistica, dei domini di coerenza. Tali domini sarebbero in grado di interagire con le molecole di soluto grazie al processo di dinamizzazione, incorporando informazioni specifiche biologicamente utili. Secondo la teoria elettrodinamica dei campi, quando l’energia contenuta nel campo elettromagnetico di un dominio di coerenza diviene uguale all’energia di attivazione di una specifica molecola non acquosa, il dominio di coerenza rilascia la propria energia per compiere una specifica reazione. Il rimedio omeopatico potrebbe agire poiché contenente elementi detti coerenti, capaci di trasmettere frequenze di oscillazione sia a fluidi biologici che a strutture complesse per mezzo di un processo di risonanza. La risonanza si instaura tra le frequenze del medicinale e gli oscillatori presenti nell’organismo alterato dal processo patologico. Le proteine di membrana interagirebbero anche con molecole e clusters di acqua, sicché esiste l’ipotesi che gli effetti biologici delle alte diluizioni/dinamizzazioni possano essere mediati dalla trasmissione di energia (e informazioni) attraverso l’acqua; inoltre, soluzioni altamente diluite e sottoposte a succussione presentano un’aumentata conduttività elettrica».

L’ormesi

«Esiste anche una manifestazione frequente che riguarda gli effetti delle basse dosi molecolari, le quali sembrano avere effetti opposti rispetto alle alte dosi; è la cosiddetta ormesi. In generale, l’ormesi è una reazione dose-risposta con andamento bifasico, per cui molti sistemi biologici presentano risposte opposte a differenti dosi di svariati stimoli. Effetti farmacologici acuti e cronici ottenuti in vivo spesso sono opposti: il fenomeno si può verificare utilizzando sia farmaci convenzionali che omeopatici. Il fenomeno dell’ormesi potrebbe fornire una struttura per l’interpretazione degli effetti omeopatici, perlomeno limitatamente alle basse diluizioni. Effetti inversi o paradossi di una sostanza biologicamente attiva su specifici bersagli si possono osservare spesso al variare delle concentrazioni o delle dosi del composto. Questi effetti, già descritti in passato per mezzo della legge di Arndt-Schulz, possono essere dimostrati da una curva dose-risposta “a U invertita”. Il fenomeno dell’ormesi è stato acquisito solo recentemente dalla tossicologia e oggi il fenomeno è ben conosciuto e spiegato a livello molecolare e immunologico».
«Il termine postconditioning hormesis descrive il fenomeno secondo cui stimoli ridotti esercitano un effetto benefico quando applicati a cellule/organismi che hanno subìto precedentemente uno stress dannoso. Per esempio, un leggero stress ipossico indotto dopo un infarto del miocardio può determinare una riduzione del danno cellulare. Non si tratta comunque di una regola generale ed esistono sostanze il cui effetto non varia tra basse e alte diluizioni. Ormesi è solo il nome dato a un fenomeno apparentemente paradosso e che si applica a dosi molecolari, non costituisce di per sé una teoria esplicativa dell’omeopatia. Si potrebbe definire una teoria “ponte” tra farmacologia classica e omeopatia».
«Si tratta di prospettive affascinanti che dovrebbero interessare tutti coloro che sono aperti agli sviluppi della scienza e della medicina, nell’interesse primario delle persone che cercano una cura ai loro problemi di salute altrimenti irrisolti».

L’attacco su Lancet

Bellavite fa poi riferimento a un lavoro pubblicato su Lancet nel 2005(11), «che fu presentato come la prova che l’omeopatia è equivalente al placebo, ebbe un fortissimo impatto sul mondo medico scientifico. Forse ancora maggiore impatto ebbe l’editoriale dello stesso numero, intitolato La fine dell’omeopatia(12), che fu diffuso ai media nelle ore precedenti la pubblicazione per creare ancora maggiore risonanza. La pubblicazione di Shang è entrata nell’immaginario collettivo e fa ancora da riferimento agli attacchi più pesanti all’omeopatia. Tale pubblicazione è stata caratterizzata da tre gravi scorrettezze, le prime due di carattere scientifico e la terza di tipo etico: l’analisi statistica è stata ristretta a soli 8 studi su 110 senza spiegare l’eliminazione e senza avere dimostrato la falsità degli studi scartati; si è applicato il cosiddetto funnel plot nella metanalisi di lavori tra loro eterogenei, estrapolandone una retta di regressione assurda e scorretta; l’editoriale è stato trasmesso ai media prima che fosse pubblicato il numero della rivista, manovra programmata tesa a colpire l’omeopatia, probabilmente in un momento in cui l’Oms stava per pubblicare un documento favorevole. Purtroppo, il danno fatto da tale pubblicazione è stato grande a tutti i livelli, ma l’errore stesso non è stato ancora riconosciuto da coloro che continuano ossessivamente a citare tale pubblicazione come presunta prova che il medicinale omeopatico sia un placebo. Sono seguite alcune rassegne in favore e altre negative e la differenza è data dal fatto che le rassegne positive in genere citano tutta la letteratura disponibile, mentre quelle negative applicano tecniche sottili per portare il calcolo alle conclusioni preventivate: estromettere gran parte dei lavori giudicandoli di cattiva qualità, dare importanza ai lavori contrari e sottovalutare o persino censurare quelli a favore. Una cosa è comunque certa: per poter concludere che l’omeopatia è un placebo bisogna trascurare accuratamente gran parte della letteratura, sia quella omeopatica pura sia quella pubblicata su riviste scientifiche ufficiali».

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