Le associazioni Isde-Medici per l’Ambiente e European Consumers criticano durante la bozza del decreto fanghi del governo che «continua a permettere lo spandimento di sostanze tossiche e nocive» spiegano. Ne chiedono quindi l’immediata modifica.
«Abbiamo già duramente criticato al momento dell’emanazione e, successivamente nella trasformazione da decreto legge a legge, la revisione sulla Normativa sui Fanghi di depurazione per uso agricolo, inserita surrettiziamente la prima volta nel “Decreto Genova”» spiegano i presidenti di Isde e European Consumers, Roberto Romizi e Marco Tiberti.
«La bozza del decreto, attualmente in discussione presso il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare è stata presentata il 28 giugno e contiene molti e ulteriori elementi di preoccupazione».
In particolare, fanno notare le due associazioni:
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la declassificazione dei fanghi, compresi quelli industriali, dall’originaria categoria di “rifiuto speciale”, con tutte le conseguenze che ne conseguono, comprese quelli penali, autorizzative e sanzionatorie;
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i limiti sono esattamente quelli contenuti nel decreto Genova, anzi, sono inseriti ulteriori composti nonché sostanze molto pericolose come, a esempio, il mercurio ed i perfluoro alchilici, in modo del tutto subdolo, indicando, per questi ultimi, come non ci siano limiti;
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dal punto di vista giuridico, si propone il recepimento di una direttiva già recepita e, in ogni caso, senza delega al governo;
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mancano le sanzioni per la parte più importante;
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si profilano possibili deroghe da parte delle regioni e, di contro, un obbligo degli enti locali ad accettare sul proprio territorio lo spandimento.
«Così si agevolano gli spandimenti tossici»
«Segnaliamo, come prima cosa, che la direttiva è stata già trasposta nell’Ordinamento nazionale – proseguono le associazioni – Le tabelle di questo decreto sono di fatto ignorate, con l’aumento dei limiti di quasi tutte le sostanze più pericolose e ignorando le condizioni precedenti del suolo. Questo nuovo decreto mira, secondo noi ma anche di fatto, a rendere più agevole lo spandimento dei fanghi di depurazione a prescindere dalla presenza o meno in essi di sostanze tossiche».
«Si afferma, nel preambolo: “Visto in particolare l’articolo 6 della predetta direttiva relativo alla disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto” per giustificare la decisione di depennare in toto fanghi dalla categoria rifiuti speciali. Ma la Direttiva quadro in materia di rifiuti, all’art. 6 della direttiva medesima, prevede come solamente in assenza di criteri a livello comunitario gli Stati membri possano decidere, caso per caso, se un determinato rifiuto abbia cessato di essere tale, tenendo conto della giurisprudenza applicabile».
«Si sostiene la necessità di adeguare alle conoscenze scientifiche i valori limite di concentrazione di taluni parametri riportati nel decreto legislativo 99/92 e di inserire nuovi parametri tenuto anche conto del loro effetto sulla catena alimentare. Tuttavia, non risulta alcuna pubblicazione scientifica che giustifichi, sempre di fatto, i limiti proposti in questo Decreto. Si afferma che “Il nuovo regolamento europeo sui fertilizzanti non prevede l’utilizzo dei fanghi di depurazione per la produzione di compost etichettato con il marchio CE. che pertanto la produzione dell’ammendante compostato con fanghi deve essere normato a livello nazionale come concime nazionale”. Quindi, ancora di fatto, si deroga, a livello nazionale, quanto previsto dal regolamento europeo».
«Limiti sempre troppo alti»
«Si afferma che è necessario fissare limiti più cautelativi ma i limiti proposti, invece, sono identici al decreto emergenze – proseguono Romizi e Tiberti – Nel testo si legge che non solo i fanghi provenienti da reflui urbani ma anche quelli di origine industriali sono declassati dalla categoria dei rifiuti».
Inoltre, spiegano, si bypassano normative e «verrebbero a mancare le responsabilità sulla gestione, tracciabilità e divieto di abbandono proprie dei rifiuti, particolarmente rilevante nel caso di quelli industriali».
Sostanze ignorate
Nei limiti e nelle tabelle, spiegano le associazioni, «non si citano l’antimonio (di cui sono fissati i limiti per i siti a verde pubblico 10 mg kg-1 e 30 mg kg-1 per i siti industriali) e il vanadio (di cui sono fissati i limiti per i siti a verde pubblico a 90 mg kg-1 e 250 mg kg-1 per i siti industriali). Per diossine e furani la concentrazione consentita nei fanghi è di 25 ng/kg ss, mentre nei suoli è di 10 ng/kg ss. Nel decreto gli IPA (idrocarburi policiclici aromatici) sono trattati tutti assieme quando le loro categorie di tossicità sono ben diverse e molto veri i limiti sempre comunque inferiori a quanto dichiarato. Per il toluene il limite fissato è 100 mg/kg ss, quando per i suoli uso residenziale è 0,5 mg/kg e per quelli industriali 50 mg/kg ss».
«Mancano sanzioni»
«Inoltre, manca la parte sanzionatoria per i limiti nei fanghi e nei suoli. Manca anche la sanzione per la difformità rispetto all’autorizzazione e mancano anche le sanzioni sullo sforamento dei parametri. Il decreto dimentica completamente la normativa europea che indica la necessita di ridurre nella catena alimentare gli eventuali apporti di diossine e PCB. La Commissione Europea, invero, ha stabilito attraverso delle Raccomandazioni (2002/201/CE e 2006/88/CE), un elenco di azioni per ridurre la presenza di diossine e PCB. Così come dimentica del tuto, per il mercurio, la convenzione di Minamata. Lascia addirittura interdetti, invece, il par. 3 dell’art 16 dove sembra che si lasci perfino alle Regioni la possibilità di derogare dalle distanze minime».
«Viene contraddetto l’articolo 15 in cui si vieta lo spandimento di fanghi e gessi di defecazione da fanghi ai terreni che abbiano una distanza dal perimetro dei centri abitati inferiore a 200m. Sono esclusi le case sparse e gli insediamentiproduttivi per i quali il limite si riduce a 50 m o che distano meno di 10 m dai corsi d’acqua superficiali, dai laghi, dai bacini artificiali e dalle zone umide».
«Nonostante i nostri appelli e richieste di chiarimenti, le Autorità Competenti non sono state in grado di spiegare perché i limiti non dovrebbero rispettare il decreto legislativo 152/2006 e cioè la soglia più bassa. I reflui urbani che finiscono nei depuratori non contengono solo idrocarburi di origine animale o vegetale, ma ancheoli e idrocarburi minerali. Appare giusto pretendere che in questi, attraverso opportuni processi di selezione, fermentazione e compostaggio, gli idrocarburi siano al di sotto dei più bassi limiti identificati come sicuri per la salute umana e ambientale. Per rendere accettabili i livelli non si deve sollevare il limite, ma prevenire la dispersione a monte. Mancano ancora le sottovasche a tutti i serbatoi non idrici; manca la raccolta e trattamento alle acque di pioggia dei distributori carburanti e per le acque di scorrimento di superfici cementate e asfaltate industriali e urbane, non vi è ancora obbligo di disporre i controtubi agli impianti che veicolano sostanze pericolose, ben poche pratiche sono in attuazione per incentivare trattamenti ecosostenibili».
«Nei reflui urbani finiscono spesso anche acque piovane arricchite di idrocarburi provenienti da strade, officine, superfici cementate di zone commerciali e industriali che dovrebbero ex lege essere sottoposte a trattamento – proseguono Romizi e Tiberti – Per quanto riguarda le prime acque di pioggia da addurre in fognatura, le nuove reti anziché dimensionate ad hoc, sono approvate come reti miste e senza tener conto delle prime piogge da mandare a trattamento, mentre le reti separate, per la linea pluviale, sono state ridotte in modo esponenziale.
Sono necessarie, quindi, significative correzioni del Decreto in oggetto per evitare la diffusione di POPs e altre sostanze nocive nei terreni agricoli così come è necessario agire per la definizione di limiti guida nazionali per individuare e monitorare l’inquinamento dei suoli agricoli, in particolare, in coincidenza con lo spandimento di fanghi».
«Si considera quindi incoerente e pericolosa dal punto di vista ambientale l’intera impalcatura di tale normativa che, invece di andare verso produzioni sempre più sicure, favorisce di fatto la contaminazione ambientale».