Sono miliardi le tonnellate di cibo sprecato nel mondo ogni anno. E dove sta la novità? Nella possibile soluzione! Impariamo a guardare al problema in chiave sistemica, tenendo conto di tutta la catena, dal produttore al consumatore: per prendere consapevolezza delle distorsioni del sistema attuale, dei vantaggi delle filiere corte e biologiche, e del potere delle nostre azioni per fare la differenza.
Buttare qualche briciola di pane nella spazzatura, fino a qualche decennio fa, era un atto impensabile, addirittura sacrilego. Oggi, nell’era dell’efficienza, dopo decenni di perfezionamenti tecnologici, gli sprechi sono invece all’ordine del giorno. E non si tratta certo di briciole. Secondo la Fao, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, un terzo di tutti i prodotti alimentari a livello mondiale (1,3 miliardi di tonnellate edibili) viene perduto o sprecato ogni anno lungo l’intera catena di approvvigionamento. Cifra che corrisponde a circa 750 miliardi di dollari. Un effetto collaterale, se non addirittura voluto, del complicato sistema che regola oggi l’approvvigionamento del cibo nel mondo. Quella perdita che a noi sembra intollerabile in realtà ha una precisa funzione in un sistema che ha come unico imperativo la crescita della produzione.
Per noi consumatori è un fatto di coscienza. Abbiamo idea di cosa sia lo spreco alimentare? La definizione di questa odierna piaga, secondo le ultime tesi dibattute nell’ambito della ricerca, ha un perimetro molto più ampio di quello che siamo abituati a immaginare. Il nuovo Rapporto sugli sprechi alimentari a cura di Ispra (l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) ha provato a ridefinire i suoi confini, snocciolando numeri e mettendo sul tavolo una serie di soluzioni. Stringendo al massimo, potremmo dire che lo spreco è tutto ciò che oltrepassa il limite tracciato dal soddisfacimento dei bisogni umani.
Potremmo stilare una lunga lista di questo quotidiano sconfinamento oltre il necessario. Spreco è il pane che il fornaio non riesce a vendere. Sono le uova scadute nel frigo. Il piatto di piselli che tuo figlio ha lasciato nel piatto. Ma sono anche cose meno ovvie, come quei chili di troppo che appesantiscono un terzo della popolazione mondiale. Spreco è anche la malnutrizione, quel cortocircuito che si crea rimpinzandosi di cibi non digeribili o antinutrienti. E forse si dovrebbero anche includere le tonnellate di fertilizzanti sparse inutilmente nei campi. O le enormi quantità di mangimi utilizzati per alimentare i grandi allevamenti industriali, destinati a produrre altro cibo, di dubbio valore alimentare, in modo tutt’altro che efficiente e ragionevole.
Lo spreco dal campo alla tavola
Ogni giorno, in Italia, 13 mila quintali di pane finiscono nella spazzatura. Tradotto in denaro sono 43 milioni di euro l’anno. E questo è un dato ascrivibile solo alla grande distribuzione, che non tiene conto di piccoli negozi e fornai. Il marketing scellerato che impera nei supermercati impone di riempire gli scaffali fino a un minuto dalla chiusura. Ma lo spreco non si limita alla merce invenduta o buttata nella spazzatura dai consumatori. È un qualcosa che parte da più lontano, a cominciare dalla produzione, che abbiamo consegnato nelle mani della grande industria, convinti di poter sfamare l’intera popolazione mondiale. (…)
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