Se non si cambieranno drasticamente abitudini, scelte economiche e di consumo, nel 2050 negli oceani ci sarà più plastica che pesci: è l’emergenza in cui siamo, è il caso di dirlo, immersi. Da sottolineare una volta di più in occasione della giornata mondiale degli oceani, che cade l’8 giugno.
L’8 giugno, fin dal 1992, ricorre quella che è stata definita la
Giornata mondiale degli oceani, da un’idea del governo canadese avanzata al Summit della Terra di Rio de Janeiro. Nel 2008 la Giornata è stata riconosciuta dalle Nazioni Unite, ma ciò non ha frenato in alcun modo l’aggravarsi dell’emergenza che vede i nostri mari e oceani soffocare velocemente ad opera di un enorme inquinamento dato dalle plastiche che vi vengono gettate.
«I maggiori effetti dell’inquinamento da plastica sono visibili proprio sotto la superficie dell’acqua. È pari a 4,8-12,7 milioni di tonnellate/anno (Jambeck et al., 2015) il flusso di plastiche che finisce nei nostri oceani, di cui 0,5-2,8 milioni di tonnellate/anno vengono trasportate dai fiumi (Schmidt et al., 2017). In particolare, è interessante notare che, soltanto dieci di essi sono responsabili dell’ingresso dell’88-95% del carico totale di plastiche nei mari (Schmidt et al., 2017)» spiega Andrea Binelli, Professore di Ecologia ed Ecotossicologia dell’Università degli Studi di Milano, per One Ocean Foundation.
«Sebbene otto di questi fiumi siano localizzati nel continente asiatico e due in quello africano, sarebbe errato pensare che questo problema sia legato solamente ai Paesi in via di sviluppo, regolamentati da leggi ambientali meno rigide o inesistenti. Secondo un recente Rapporto (UNEP/MAP, 2015), l’Italia rappresenta il terzo Paese che disperde più plastica nel Mar Mediterraneo, dopo Turchia e Spagna, con 90 tonnellate di rifiuti plastici scaricati a mare ogni giorno».
«L’impatto delle plastiche sugli organismi è ormai stato provato, soprattutto nei confronti di pesci, cetacei e uccelli acquatici – spiega sempre Binelli – Gli effetti deleteri vanno dallo strangolamento al soffocamento, fino a ferite provocate dall’abrasione e all’aumento del senso di sazietà, determinato dalla presenza di materiali plastici nel tubo digerente, che può indurre l’animale a non alimentarsi, in quanto non riesce più a percepire lo stimolo della fame. I dati scientifici raccolti mostrano un quadro drammatico: è stato stimato che circa il 52% delle tartarughe marine ha ingerito plastica (Schuyler et al., 2016), il 54% delle balene, delfini e foche è impattato dai rifiuti plastici presenti nel mare (Gall and Thompson, 2015),
circa 100.000 mammiferi marini vengono uccisi ogni anno dalla plastica e almeno un milione di uccelli marini muoiono annualmente a causa della plastica ingerita (
Unesco )».