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Monta indiana, un antidoto contro il bullismo

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Il progetto pilota di Aquila Nera, che in una scuola superiore di Livorno ha sperimentato con successo il suo approccio, superando il bullismo in classe.
L’esperienza della monta indiana e delle tecniche utilizzate dai nativi americani per addomesticare il cavallo in maniera non traumatica utilizzata dall’associazione Aquila Nera1 è stata d’ispirazione per un progetto pilota che i suoi membri, David Bassi e Monica Citti, hanno sperimentato in una scuola superiore. Il lavoro, che ha coinvolto i 23 allievi di una terza classe del Liceo Scientifico Federigo Enriques di Livorno, si è inserito all’interno di un contesto in cui erano presenti conflitti relazionali e atteggiamenti di bullismo, con l’obiettivo di portare i ragazzi al dialogo, alla comprensione, al riconoscimento e al rispetto reciproco. Il tutto portando dentro le mura della classe proprio la visione olistica con cui gli indiani entrano in contatto col branco nel rispetto delle sue leggi.

L’apertura dei dirigenti e dei professori

Il percorso, proposto alla scuola di Livorno grazie al supporto di Gabriella Giuliani e Giuseppe Orsini, due dirigenti molto sensibili dell’Acsi, Associazione di cultura, sport e tempo libero a cui è affiliata, è stato realizzato anche grazie ad alcuni professori del Liceo, come la docente di Scienze Antonella Bolognesi, che hanno sostenuto attivamente il progetto.
Quest’ultima racconta di come in classe si fossero creati dei gruppi separati e oppositivi, e una situazione di aperto conflitto fra gli alunni più irrequieti e quelli più timidi che aveva fatto preoccupare i docenti. «Quello che definiamo bullismo non è che la punta dell’iceberg di una serie di dinamiche complesse che hanno la loro radice nella difficoltà di relazione. La particolarità di questa esperienza è stata di non lavorare col singolo studente considerato problematico, ma con l’intera classe» spiega Davide Bassi.
Il lavoro è durato l’intero anno scolastico e si è svolto in diversi incontri, alcuni dei quali nello spazio in aperta campagna di Aquila Nera, in cui i ragazzi hanno vissuto all’interno del branco, facendo un lavoro introspettivo a partire dall’osservazione dei cavalli.

Sentire l’altro è la chiave

Il metodo trasmesso da Aquila Nera è basato sul presupposto che il cavallo accetta il suo simile in base al talento che ha e alla sua funzionalità all’interno del branco, riconoscendo istintivamente la natura essenziale di chi ha di fronte. Questa capacità di sentire l’altro è stata insegnata ai ragazzi con l’aiuto delle antiche tecniche di consapevolezza che usavano i nativi d’America basate sull’osservazione, l’ascolto, il controllo del respiro e il contatto profondo con la natura. Di volta in volta, ai ragazzi venivano proposti degli esercizi che andavano ad allenare e stimolare proprio questa attitudine. Uno di questi, per esempio, consisteva nel camminare bendati in mezzo agli animali, in modo da affinare i sensi e cercare di percepire in maniera sottile l’ambiente circostante. Un altro esercizio consisteva nel restare per un tempo lungo seduti in silenzio da soli ad osservare i cavalli, che è un modo per entrare in un contatto profondo con se stessi, oltre le resistenze che la mente genera dal conflitto con la nostra identità profonda.

Alcuni fra i ragazzi che avevano maturato fra loro delle antipatie sono stati invitati a guardarsi negli occhi, a tenersi per mano e infine a camminare lungo il bordo di un fiume uniti da una corda: un esercizio che si è rivelato molto efficace per superare il nervosismo e trovare la sinergia per avanzare insieme.

«Guardando a come i cavalli interagiscono tra di loro, in maniera intima e armonica, senza scartare chi è diverso o indugiare nella rabbia verso l’altro, i ragazzi, che in un primo momento mostravano scetticismo, sono riusciti a scoprire nuovi lati della persona che avevano di fronte e a rivalutarla nella sua specificità» ci spiega Davide Bassi.

Il counselor e lo sportello di ascolto

Una volta a settimana, da novembre fino a fine giugno, Monica Citti, in qualità di counselor, ha gestito all’interno della scuola uno sportello d’ascolto per i ragazzi che volevano confrontarsi con lei singolarmente o avere un sostegno. «Durante questi incontri ho potuto constatare come dietro all’irrequietezza dell’adolescenza ci sia in realtà una grande sensibilità, in molti casi inascoltata dalle famiglie e dagli adulti in genere» racconta. «Mi ha colpito la semplicità con cui questi ragazzi, spesso descritti come problematici, abbiamo saputo aprire il cuore e guardare la loro parte più autentica».
Oltre allo sportello di ascolto e agli incontri fuori dalle mura scolastiche, Monica e Davide hanno tenuto mensilmente un incontro con gli studenti in cui si faceva il punto su come andavano i rapporti in classe e anche questi momenti sono stati da stimolo per i ragazzi con esercizi sul respiro, sul sentire, sull’espressione delle paure.
La condivisione delle esperienze con il gruppo alla fine di ogni attività ha creato un legame molto forte fra i ragazzi, portandoli a confrontarsi sui singoli reali desideri e creando i presupposti per un rapporto rispettoso ed empatico.
«Vivere un’esperienza di questo tipo col gruppo significa metabolizzarla profondamente, nella pancia: non si lavora a livello cerebrale, ma emozionale e quindi è qualcosa che non si dimentica» spiega ancora Bassi, che sottolinea come i popoli nativi, che devono essere continuamente prestanti e presenti per poter sostenere le sfide della vita selvatica, abbiano sviluppato delle tecniche veloci per ritrovare l’equilibrio di se stessi.

Un’esperienza di crescita personale

Entrare in questa dimensione ha permesso agli allievi di sganciarsi dalle abitudini acquisite in classe, lasciando spontaneamente il cellulare e iniziando un lavoro di crescita personale che hanno poi continuato con i compagni e a casa.
«Anche se noi insegnanti non abbiamo partecipato direttamente alle attività proposte per permettere agli studenti di vivere da soli il processo di crescita, è stata per tutti un’esperienza molto significativa» racconta la professoressa Bolognesi. «Alla fine del percorso con Aquila Nera il clima in classe è decisamente migliorato: i ragazzi hanno iniziato ad aver un atteggiamento più positivo e tollerante. Questa esperienza li ha aiutati molto ad ascoltare gli altri, a conoscersi attraverso un profilo più intimo e soprattutto ha insegnato loro che si può essere uniti anche nella diversità» conclude, riportandoci la sue impressioni.
Il progetto, che si è svolto in maniera del tutto gratuita per l’istituto, continuerà anche quest’anno con la stessa classe e, visto il successo, Aquila Nera auspica che possa diffondersi anche in altre scuole.
Un altro buon motivo per sostenere l’associazione e le sue importanti attività.
Foto di Federico Zaniboni
 
Note
1. Vedi Cavalcare senza violenza, di Giuditta Pellegrini, Terra Nuova, aprile (2013).
PER SAPERNE DI PIÙ:
www.aquilanerahorses.it
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Articolo tratto dal mensile Terra Nuova Aprile 2019

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