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Pfas, veleni nell’acqua. L’emergenza diventa nazionale

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La battaglia delle Mamme No Pfas e di altri comitati e associazioni per denunciare i rischi per la salute umana derivanti dalla presenza di acidi perfluoralchilici nell’acqua.
È diventata un’emergenza nazionale: le falde acquifere avvelenate dai Pfas, acidi perfluoralchilici, che secondo molti studi causano danni irreversibili alla salute, sono stati portati all’attenzione di tutto il paese e del Ministero dell’ambiente grazie all’instancabile impegno di comitati e associazioni che negli ultimi mesi hanno portato il caso dal Veneto, dove 350 mila famiglie risultano toccate dal problema, fino a Roma nei palazzi del governo.
La questione è approdata persino sulle scrivanie dei ministri dell’ambiente degli Stati europei grazie a un video-appello realizzato dal gruppo Mamme No Pfas che, dopo aver manifestato anche a Bruxelles e Strasburgo, hanno provveduto a far recapitare il filmato a tutti i dicasteri competenti dell’Unione. Il video, dal titolo Recast directive quality of water1, è una sequenza agghiacciante di accuse: «Mio figlio soffre di ipertiroidismo e ha solo otto anni»; «I Pfas passano attraverso la placenta e si trasmettono attraverso il latte»; «Nostro figlio di 41 anni da vent’anni non vive più nella zona contaminata eppure nel suo sangue ci sono ancora i Pfas»; «Troppi bambini sono morti nel grembo materno»; «Rischio di essere sterile e ho solo 18 anni».
«La nostra richiesta è che in Italia e in Europa si approvi una legislazione che preveda limiti zero per i perfluoroalchilici nell’acqua, non possono essere legalizzati residui di sorta visto che queste sostanze sono altamente pericolose per la salute» spiegano le Mamme No Pfas.

Il primo allarme nel 2013

Benché la questione abbia acquisito rilevanza nazionale ed europea nell’ultimo anno, il primo allarme risale al 2013, quando uno studio del Cnr rivelò livelli allarmanti di perfluoroalchilici non solo in Veneto, ma anche in Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Toscana2. Nel maggio dello stesso anno la Regione Veneto confermò che, per la zona, la principale fonte di contaminazione si trovava sotto la ditta chimica Miteni di Trissino: tonnellate di rifiuti e scarti industriali sepolti dagli anni ’70, che da allora inquinano fiumi, falda e terreni.
I Pfas entrano nel corpo attraverso acqua e alimenti e si accumulano; le conseguenze possono essere diabete, ipertensione gravidica, patologie cardiache e del metabolismo, nonché probabili effetti cancerogeni.
La Miteni è poi stata chiusa e a gennaio si sono concluse le indagini preliminari condotte dalla Procura di Vicenza, che hanno portato a tredici indagati per i reati di avvelenamento delle acque e «disastro innominato».

«Chiediamo tolleranza zero»

Solo la Regione Veneto ha finora abbassato il livello massimo degli inquinanti negli acquedotti, ma comitati e associazione chiedono che il governo adotti una normativa nazionale per azzerare i limiti in falda.
«Il ministro Sergio Costa ci ha spiegato che non è possibile un provvedimento legislativo d’urgenza, occorre un confronto nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni» hanno spiegato le Mamme No Pfas.
Nel 2018 il Consiglio dei ministri ha dichiarato in Veneto lo stato di emergenza per i Pfas e a dicembre il Ministero dell’ambiente ha trasferito i primi 46 milioni di euro (la cifra complessiva è di 56,8 milioni) per gli interventi conseguenti, in particolar modo nuovi pozzi e nuove tubature per portare acqua non contaminata ai cittadini. Vi sono poi ulteriori 80 milioni, la cui erogazione è subordinata all’accordo di programma da sottoscrivere con la Regione Veneto.
 
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Articolo tratto dal mensile Terra Nuova Marzo 2019

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