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Nasce e cresce la “Rete Paulownia”

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Una rete di agricoltori che scelgono di investire nel verde. Le ragioni sono di stampo ecologista, ma non solo: hanno molte sfaccettature, come il loro progetto ‘Rete Pawlonia’ che – partito solo 5 anni fa – sta già raccogliendo molte adesioni.
Una rete di agricoltori che scelgono di investire nel verde. Le ragioni sono di stampo ecologista, ma non solo: hanno molte sfaccettature, come il loro progetto ‘Rete Pawlonia’ che – partito solo 5 anni fa – sta già raccogliendo molte adesioni, non solo in Romagna dove è nato, ma anche in molti luoghi d’Italia. Alla base c’è la coltivazione della Paulownia, pianta monumentale molto diffusa in Oriente e importata in Europa in un’epoca relativamente vicina: nell’Ottocento a farla conoscere anche in Italia fu la Compagnia Olandese delle Indie Orientali. La sua diffusione, però, non è mai stata massiccia, nonostante le molte qualità del suo legno e della sua foglia. A riscoprirla e scegliere di investirci è stata una rete di agricoltori che hanno scelto la filiera corta, la sede è a Cusercoli di Civitella di Romagna, nell’Appennino tosco-romagnolo in provincia di Forlì- Cesena.
Fausto Faggioli, lei è uno degli ideatori del progetto ‘Paulownia Romagna’; come è nata l’idea?
Eravamo un gruppo di agricoltori alla ricerca di idee che ci permettessero di sopravvivere nella nostra campagna con una particolare attenzione all’ambiente. Io ho un’azienda biologica e, proprio come i miei colleghi, conosco bene le difficoltà che noi agricoltori incontriamo ogni giorno, quando vediamo il frutto del nostro lavoro svenduto sul mercato. Abbiamo cominciato a pensare e a vagliare ipotesi.

Come siete arrivati all’idea di investire su queste piante?
Cercavamo prodotti che potessero essere coltivati con una filiera corta. Non volevamo lavorare conto terzi, ma produrre per il mercato diretto. Il legno, in questo senso, era la soluzione migliore, perché potevamo lavorarlo noi che facevamo parte della rete.
Quanti siete?
Siamo partiti in cinquanta, oggi siamo circa 120 retisti, ma facciamo parte di una realtà che conta oltre 700 persone. In tanti si sono aggregati, tanto che sono nate anche ‘Paulownia Toscana’, ‘Paulownia Marche’, e da lì ‘Paulownia Italia’: siamo sempre noi.
Perché proprio la Paulownia?
La Paulownia ha aratteristiche molto favorevoli. Il suo legno è leggerissimo. Pesa circa 270 chili per metro cubo. Niente, se si pensa che il faggio ne pesa il doppio e il rovere arriva a 900 chili. In particolare il clone Paulownia BIO-125 non OGM è il miglior incrocio fra diverse specie di Paulownia, permette una maggiore crescita e con ottima qualità del legno, è una pianta ibrida che permette una crescita controllata e non infestante.
La leggerezza è un vantaggio?
Sì, non solo per i mobili, ma anche per chi realizza le imbarcazioni. I cantieri navali, ad esempio, spesso sono stati costretti a realizzare alcune componenti delle imbarcazioni in un materiale plastico finto legno che oltre ad essere costoso è sintetico e anti ecologico. Ma l’impiego migliore per il legno di Paulownia è la bio edilizia e per realizzare strutture antisismiche: il suo peso così scarso gli permette di resistere bene agli urti e alle scosse.
Le strutture realizzate con il legno di Paulownia sono a basso impatto ambientale?
Sì, perché la Paulownia ha la caratteristica di avere una crescita molto rapida: il pioppo, ad esempio, ha bisogno di più di 10 anni per poter essere tagliato e il ricambio è lentissimo. Ogni cinque anni, invece, il tronco della Paulownia supera i 30 centimetri di diametro: perfetto per le  coltivazioni ‘Short Rotation Forestry’.
Il metodo di coltivazione è biologico?
Sì, e il ciclo di concimazione è creato ad hoc dal dipartimento di scienze agrarie dell’Università di Bologna. Un gruppo di lavoro si è occupato anche di tutte le analisi per la certificazione di carbonio.
Altre caratteristiche positive di questa pianta?
Con un diametro di oltre 50 centimetri, le sue foglie assorbono più Co2 della maggior parte degli alberi. Bastano 4 acri per avere un assorbimento di 13 tonnellate di Co2. Inoltre la pianta si adatta benissimo ai nostri climi. Può essere piantata anche in piccoli appezzamenti non particolarmente fertili, quindi il coltivatore non dovrà rinunciare a terreni utilizzabili per l’agroalimentare. Anzi: la Paulownia rigenera i terreni, recuperando quelli inariditi. Resiste bene a tutte le temperature e ha pochissime necessità: bisogna solo accertarsi che non ci siano ristagni d’acqua. Inoltre, io sono un piccolo apicoltore e devo dire che grazie ai suoi fiori si produce anche del buon miele. Sono tutti piccoli passi per difendere il nostro ambiente. La strada che io ho intrapreso e quella che consiglio anche ai miei colleghi è di portare avanti le coltivazioni biologiche. ‘Bio’ dovrebbe essere la nostra parola d’ordine.
Insomma, le modalità di coltivazione devono cambiare in maniera strutturale?
Sì. Fino a cinquant’anni fa l’importante era produrre. Oggi dobbiamo produrre senza danneggiare nessuno. Dobbiamo capire che i prodotti chimici di cui abbiamo abusato in passato non sono la risposta. Abbiamo fatto disastri, abbiamo creato terreni sterili, privi di humus, che impiegheranno decenni per rigenerarsi. Ora, dopo tanto sfacelo, è arrivato il momento di rimboccarsi le maniche e rimediare.

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