Quando da piccoli ci prefiguravamo il 2000, pensavamo alla conquista dello spazio, ad automobili volanti, alimentazione artificiale con pillole e cose così. Oggi, che il 2000 è bello e passato, non è accaduto, per fortuna, niente di tutto questo. È comunque ben radicata la sensazione di vivere in una nuova era della storia umana. Automobili e biciclette sono ancora al loro posto, sostanzialmente invariate rispetto a 50 anni fa, ma in compenso sono scomparsi oggetti che facevano parte della nostra vita, come le enciclopedie, le cabine telefoniche e le musicassette. Il motivo è lo straordinario accesso alle informazioni: documenti, suoni, immagini e filmati possono essere digitalizzati, conservati e trasmessi in quantità illimitata e a grande velocità, con dispositivi piccoli, mobili e di costo sempre più basso.
Una rivoluzione così profonda che non è ancora stata compresa del tutto, infatti il pericolo maggiore è rappresentato da miliardi di persone non preparate culturalmente a gestire strumenti così potenti. Per guidare un’automobile si richiede la maggiore età e un attestato di abilità. Per usare uno strumento mobile collegato a Internet 24 ore al giorno 7 giorni la settimana, aggeggio potenzialmente assai più pericoloso, non è richiesto niente, anzi, lo diamo anche ai bambini. Ma lo facciamo in nome del progresso.
E questo è solo l’inizio: ci troviamo sull’orlo di una rivoluzione tecnologica che modificherà radicalmente il nostro modo di vivere, lavorare e relazionarci gli uni agli altri. Per dimensione, portata e complessità, la trasformazione sarà diversa da qualsiasi cosa l’umanità abbia sperimentato prima. Stiamo entrando in un territorio inesplorato, non sappiamo ancora cosa ci aspetta.
Ci troviamo in una fase molto dinamica, in cui nuove imprese stanno prendendo il controllo di nuovi mercati, portando dietro di sé una scia di lacrime e sangue. Questo avviene perché questi nuovi attori sfruttano a proprio vantaggio la velocità e soprattutto la gratuità delle informazioni a disposizione. Mettere in contatto un cingalese automunito, disposto ad andare dovunque in cambio di un compenso da fame, con chi ha bisogno di un passaggio è un esempio di informazione preziosa, che può permettere a chi la detiene di soddisfare il cliente e contemporaneamente renderlo complice di sfruttamento di manodopera.
A pagamento, s’intende.
Anche le macchine scambiano tra di loro informazioni ridondanti e a costo zero (Internet delle cose), con risultati come migliore organizzazione, tempi di consegna più brevi, meno errori, maggiore flessibilità in fase di produzione. Ma l’aspetto più industrialmente interessante, e quindi più lucroso, è gestire i prodotti e i loro componenti quando sono in uso presso il cliente, lontani dalla fabbrica che li ha prodotti. Un esempio è quello dei ricambi auto: è possibile (per motivi di sicurezza, ovviamente) inibire o sospendere la funzionalità di alcuni componenti, da remoto, dopo un certo numero di chilometri.
In questo scenario è evidente che la politica dovrebbe mettere in guardia i cittadini e le aziende sui pericoli di questa esplosione economica, fornire adeguate informazione e formazione, e poi regolamentare severamente gli ambiti e gli spazi in cui questa rivoluzione si può muovere.
Questo in teoria. Ma da tempo la politica è una succursale dell’economia: le istituzioni hanno il solo compito di eseguire gli ordini provenienti prima da Wall Street, oggi da Silicon Valley. Toccherà cavarcela da soli, come sempre.
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Pubblicità personalizzate online, interventi per condizionare le scelte politiche e di consumo, mappatura degli spostamenti… I nostri dati e quelli dei nostri amici, che disseminiamo ogni volta che usiamo lo smartphone o navighiamo su Internet, sono la merce più preziosa per Apple, Google, Facebook, Amazon & Co.
I colossi del
web 2.0 si arricchiscono rivendendo i nostri profili ad aziende, partiti politici, gruppi di pressione, venditori di scarpe e materassi, ma anche di scommesse online e contenuti porno. Ma siamo sicuri di voler essere noi la merce che consente a Mark Zuckerberg (Facebook), Larry Page e Sergej Brin (Google), Jeffrey Bezos (Amazon) di figurare in testa alla classifica delle persone più ricche del pianeta?
Il libro – manuale pratico che non disdegna riflessioni e interrogativi sui cambiamenti indotti dalle tecnologie – suggerisce come sottrarsi al controllo di Google, Facebook e compagnia. Tutti, anche coloro che hanno poca dimestichezza con la tecnologia, impareranno a usare programmi, motori di ricerca, app che impediscono di raccogliere i nostri dati e preferenze.
L’autore ci aiuta a essere più consapevoli delle implicazioni di gesti apparentemente innocui (i like, le chat che frequentiamo) e dei costi umani (lavori sempre più precari) e ambientali (rifiuti high-tech che non sappiamo come smaltire) che stiamo pagando. Terminata la lettura, sapremo quali strategie attuare per non essere solo merce passiva dell’era digitale.
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