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Fondare un ecovillaggio o un cohousing – Parte 4.2

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Prosegue l’articolo a puntate “Fondare un ecovillaggio o un cohousing” in cui sono raccolte osservazioni utili per chi sta pensando di fondare una nuova comunità, che sia ecovillaggio o cohousing, o sperimentare per la prima volta questo stile di vita. A cura di Francesca Guidotti, autrice di Terra Nuova Edizioni ed ex presidente RIVE.
CHI DECIDE E COME?
Fondare un ecovillaggio o un cohousing” è un articolo a puntate in cui sto condividendo quelle che ritengo essere osservazioni utili a chi sta pensando di fondare una nuova comunità, che sia ecovillaggio o cohousing, o sperimentare per la prima volta questo stile di vita. Lungi dall’essere esaurienti, gli articoli hanno lo scopo di mostrare a grandi linee alcuni aspetti che hanno in comune tutti i gruppi intenzionali, a prescindere dal proprio “credo” o “forma”.
Nell’ultimi due articoli, la parte 4 e quella 4.1 ci siamo inoltrati nel vastissimo tema dei processi decisionali. Abbiamo definito le diverse forme di leaderaggio in un gruppo, i criteri per definire chi può decidere e perché e fatto chiarezza sulla finalità dei diversi tipi di riunioni/cerchi (termini che in questa sede uso indistintamente). Successivamente, ho ricordato l’importanza del senso della riunione – perché siamo qui? – e del ritmo con cui è possibile scandire il tempo. Abbiamo preso dimestichezza con l’Ordine del giorno e i ruoli a supporto del processo, ovvero la Facilitazione, un mezzo attraverso il quale la partecipazione viene garantita e la responsabilità e il potere condivisi. In quest’ultima parte, descrivo a grandi linee due dei processi decisionali che si utilizzano nella maggior parte degli ecovillaggi e cohousing italiani. Questi metodi ridurrebbero drasticamente la loro efficacia – e addirittura risulterebbero inutilizzabili – in un gruppo che non condivide quanto detto negli articoli precedenti. Accettare i ruoli a supporto del processo, comprendere l’importanza della scansione del tempo e di un Odine del giorno strutturato, escludere radicalmente il desiderio di comandare o manipolare, sono basi che vanno rinforzate prima di affrontare un processo decisionale partecipativo. Pena: ciò che viene definito un falso Consenso o un falso Assenso, ovvero decisioni prese che non vengono portate a termine.
A livello di cultura di gruppo è altresì importante che piano piano si radichi l’idea che “ognuno esprime nel cerchio la sua parte di verità, che non è giusta o sbagliata ma è importante perchè apporta un’informazione che prima non avevamo“. Al di là della forma con cui viene condiviso un contributo, un’affermazione, un’impressione, un’informazione nel gruppo, alla base sta l’importanza che diamo al raccogliere il massimo delle informazioni che ci aiutano a prendere, come si dice in Sociocraziauna decisione abbastanza buona per adesso e abbastanza sicura da provare“. Quest’ultima affermazione sottintende che la decisione perfetta non esiste ma che essa sia presa nella massima chiarezza e consapevolezza possibile.
I metodi decisionali partecipativi
Nell’esperienza di molti ecovillaggi e cohousing, il Metodo del consenso è il principale metodo decisionale utilizzato, a cui si è affiancato più recentemente il sistema Sociocratico in cui le decisioni vengono prese con l’Assenso. Ciò che caratterizza i due metodi è l’assenza di gerarchia nella decisione e il superamento del dualismo maggioranza-minoranza che caratterizza i sistemi democratici. “Se tutti devono essere d’accordo con tutti, non riuscirete mai a prendere una decisione!” è quello che molti dicono al primo approccio con questi metodi. In realtà il consenso e l’assenso non chiedono una totale adesione alla decisione presa -non è necessaria l’unanimità, non si deve essere tutti d’accordo al 100% – l’importante è che nessuno sia totalmente contro la decisione. La facilitazione e l’uso di metodi permettono all’intelligenza collettiva di materializzarsi in un obiettivo concreto e aiutano a bilanciare l’attenzione su tre aspetti fondamentali del confronto in gruppo: il raggiungimento di un risultato (cosa facciamo insieme concretamente, gli obiettivi), il processo (ciò che accade mentre elaboriamo o prendiamo una decisione) e la relazione (ciò che tiene unito il gruppo).
E se non sono d’accordo?

Entrambi i metodi, seppur in modo leggermente differente, contemplano anche la facoltà del singolo individuo di fermare una decisione solo e soltanto se vede in essa un pericolo per il gruppo. Non sono validi blocchi di origine personale e per verificarlo il facilitatore può porre domande al soggetto che ha posto il blocco e verificare le preoccupazioni con il gruppo. Il blocco è un’azione molto seria: si dice che ognuno di noi ha a disposizione tre blocchi nella vita. Ovviamente il numero di tre è simbolico, sta ad indicare che nella maggior parte dei casi la nostra opposizione è basata su dinamiche personali (dubbi, preoccupazioni, gusti, ecc.) e non su effettivi pericoli del gruppo. Un gruppo consapevole di sè, dei suoi valori e della sua intenzione, non deve temere blocchi perchè capace di difendersi dalla “tirannia della minoranza”. Se la natura dell’opposizione è legata effettivamente ad un pericolo per il gruppo, si ringrazia chi l’ha portata e si integra nella decisione. Se non si riesce ad integrarlo, è necessario fermare il processo decisionale e esplorare a fondo la tematica sollevata. Se il blocco è riconducibile ad un disagio o un disaccordo, si può invitare le persone a “stare da parte“, senza bloccare il processo decisionale, e provare a esplorare in una sede dedicata l’origine di questa difficoltà. Lo “stare da parte” svincola l’individuo dalla sua partecipazione alla realizzazione della decisione senza fermarla. D’altra parte se ci sono molte persone che assumono questa posizione è bene chiedersi se la decisione ha abbastanza forza per essere portata avanti. Nell’Assenso il blocco non è contemplato ma si parla di “obiezione” e lo “stare da parte” si tramuta nell’espressione dei “dubbi“. In entrambi i casi è fondamentale ricordare che chi pone dubbi, obiezioni o il blocco è responsabile e primo artefice della rielaborazione di una nuova proposta che integri con nuove soluzioni la difficoltà o il pericolo evidenziato.

Metodo del Consenso e decisioni prese con l’Assenso
Non scenderò nei dettagli di ogni metodo poichè il tema è molto complesso e per le specifiche rimando ad articoli in precedenza pubblicati:
Sociocrazia
Quello che ritengo sia utile in questa sede è sottolineare i passaggi che caratterizzano ognuna delle due pratiche che ribaltano l’approccio mentale con cui generalmente ci affacciamo alla presa di decisione.
Il Metodo del Consenso, originario delle comunità quacchere, si basa su la volontà di condividere il potere, un impegno consapevole e informato verso il metodo, uno scopo comune, un ordine del giorno ben strutturato, una facilitazione efficace.
Si articola per fasi riassumibili in:
– stabilire gli Accordi di base per la riunione (per esempio: spengnere i cellulari, parlare uno alla volta, evitare il “botta e risposta”, usare un linguaggio rispettoso, ecc.)
– assegnare i ruoli a supporto del processo (vedi articolo Fondare un ecovillaggio o cohousing – Parte 4.1)
– presentare l’ODG
– il referente che presenta il punto di discussione apporta tutte le informazioni raccolte sul tema in oggetto e risponde alle eventuali domande dei partecipanti
– avviare la discussione chiedendo se l’argomento è di interesse collettivo e risponde gli intenti del gruppo. Poi si può procedere nella raccolta di ulteriori informazioni, punti di vista, paure o dubbi
– individuare i criteri utili alla presa di decisione emersi nella discussione ovvero trovare delle discriminati fondamentali per cui si sceglie un’opzione invece di un’altra
– formulare la proposta (di solito è compito del facilitatore ma non è necessario)
– verificare formalmente il consenso. In questa fase i partecipanti hanno tre opzioni: dare il consenso, stare “da parte” o bloccare.
– Se passa il Consenso possiamo festeggiare il risultato raggiunto. Se non passa, indaghiamo le questioni e riproviamo a formulare soluzioni migliori fino all’ottenimento del consenso. La decisione resta ferma finché emerge una proposta ritenuta valida.
L’Assenso è un metodo decisionale proprio della Sociocrazia che è un modello di organizzazione di grandi gruppi. Ciò che lo caraterizza è la pragmaticità e la chiarezza nei passaggi della discussione. Questo processo va immaginato come parte di un sistema che suddivide il gruppo in sottogruppi di lavoro ed ognuno di essi ha un ambito di azione e un ruolo esplicitamente definiti a priori. Quindi il gruppo prende molte decisioni in totale autonomia, tranne quelle che coinvolgono direttamente o indirettamente altri gruppi di lavoro, che vanno discusse insieme attraverso un sistema di rappresentanza. Anche in questo caso, facilitazione, Odg, ruoli attivi nel processo, verbale, sono fondamentali.
Fasi del processo:
– presentazione della proposta e il suo senso rispetto agli obiettivi del gruppo
– raccolta di info e richieste di chiarimenti (due “giri” di cerchio)
– giro di opinioni (due “giri” di cerchio)
– formulazione della proposta da parte del facilitatore o di qualcuno del gruppo
– richiesta di esprimere eventuali dubbi o obiezioni. Se sono espressi solo dubbi, la decisione è passata, si celebra e poi si chiede di esplicitarli e raccoglierli nel verbale per tenerli presenti in fase di attuazione della proposta. Se ci sono obiezioni, si esplicitano subito per vedere se è possibile integrarle in una nuova formulazione. Se questo riesce si ha la decisione, sennò viene rimandata fino a quando viene creata una proposta migliore.
Senza ombra di dubbio i Metodi qui brevemente presentati hanno bisogno di un approfondimento personale e sopratutto di tanta pratica per essere efficaci. Richiedono un grande spostamento di prospettiva. Non solo gli unici modi per prendere una decisione: in certi casi è più efficace e utile una decisione presa da una sola persona o da un gruppo ristretto di persone. Ma se si desidera un gruppo che collabora in modo sano, è importante esplicitare chi, come e perchè prendiamo le decisioni in un modo o in un altro. Impariamo a definire gli ambiti di potere e in che modo in quell’ambito si prendono le decisioni affinchè si possa procedere verso i propri obiettivi con consapevolezza, dando e ricevendo fiducia.
Nei prossimi articoli affronteremo i temi:
– LA CASA DELLA COMUNITA’
– SCEGLIERE LA DEFINIZIONE GIURIDICA
– REALISMO FINANZIARIO

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