Dopo la condanna della Monsanto da parte di un tribunale americano (pagherà 289 milioni di dollari a un giardiniere che si è ammalato di cancro per aver usato il glifosato), si smuovono le acque e si registrano reazioni. Intanto in Usa pendono altri 4000 ricorsi…
Il tribunale di San Francisco ha condannato la Monsanto a pagare 289 milioni di dollari a un giardiniere che si è ammalato di cancro dopo avere usato il glifosato e questo potrebbe creare un significativo precedente per gli altri 4000 ricorsi pendenti in Usa. Intanto in Francia il ministro per la transizione ecologica,
Nicolas Hulot, è intervenuto dichiarando: «
Il caso Monsanto segna l’avvio di una guerra per ridurre in modo massiccio l’uso dei prodotti più pericolosi. Purtroppo l’autorizzazione all’uso di glifosato, in Europa, è stata posticipata a fine 2021, mi auguro, però, che altri Stati membri prendano posizione contro il pesticida». Secondo Hulot la condanna della Monsanto «costituisce un punto di riferimento per l’applicazione del principio di precauzione». «Non dobbiamo dimenticare – ha detto ancora Hulot – che imprese come
la Monsanto non hanno come obiettivo il benessere dell’umanità; bensì quello dei propri azionisti».
In Italia è intervenuto (
su Facebook, non con un comunicato ufficiale) il presidente della Regione Toscana
Enrico Rossi, che ha scritto: “Stop al glifosato. Sì all’agricoltura verde. Il glifosato, l’erbicida più usato al mondo, è sotto accusa come cancerogeno. La Monsanto che lo produce, ora della Bayer tedesca, è stata condannata in California.
Il governo italiano intervenga subito. Noi, come Regione Toscana faremo subito un provvedimento per escludere dai premi del Piano di Sviluppo Rurale le aziende che ne facciano uso”.
Per quanto riguarda la sentenza americana, scrive l’avvocato
Stefano Palmisano sul blog che tiene su Il Fatto Quotidiano: «E’ un precedente storico, ma soprattutto è un seme da cui potrebbe germinare una massa di provvedimenti analoghi, dato che oggi,
negli Usa, pendono all’incirca 4000 ricorsi avviati da altre persone malate. La sentenza in questione è di natura sostanzialmente civile, anche se l’istituto del “risarcimento punitivo”, tipico dell’ordinamento statunitense, fa assumere a questi verdetti una valenza anche sanzionatoria (seppure con pene sempre e solo di natura pecuniaria). Ma non è affatto detto che queste vicende debbano restare appannaggio della giustizia a stelle e strisce».
Palmisano lascia ben sperare anche per future sentenze analoghe in altri paesi: «Le Sezioni Unite della Cassazione italiana appena un anno fa hanno sancito un’epocale apertura al sistema dei danni punitivi anche nel nostro ordinamento. Ma soprattutto, indipendentemente dagli aspetti comparatistici, l’elemento più significativo è di sostanza: se in una Corte di un Paese come gli Usa si è giunti ad affermare il nesso causale (quantomeno nel senso della concausa) tra l’esposizione al glifosato e l’insorgenza di una patologia tumorale, e la conseguente responsabilità di un soggetto, seppur societario e con le peculiarità su accennate, non ci sono particolari ragioni perché queste acquisizioni scientifico-processuali debbano esser destinate a rimanere confinate nel recinto statunitense».
«In Italia, una vicenda come quella di Dewayne Johnson non avrebbe potuto non avere una qualificante ricaduta anche di natura penale, e le regole di accertamento della responsabilità penale sono più rigorose di quelle relative alla responsabilità civile. Ma una strada è stata, per il momento, aperta. Dove possa portare non è prevedibile; questa, però, non è una buona ragione per cui nessuno, da questa parte dell’Atlantico, debba pensare di batterla. In ogni caso, oggi, grazie alla tenacia di questo malato terminale e al suo collegio difensivo, abbiamo ulteriori conferme a qualcosa che già, per così dire, si era potuto intuire: Monsanto ha ripetutamente ignorato gli allarmi degli scienziati seri (quelli non a suo libro paga, nda) e ha “prestato ascolto” solo a quelli che assolvevano, comunque, il glifosato».
«Ma ha fatto anche di peggio: si è scritta, con la collaborazione di prestanome bizzarramente qualificati come scienziati, “studi” ad hoc che “provassero” l’innocuità dei suoi prodotti, a partire dal tristemente famoso Roundup Ready. Ha “combattuto la scienza”, come ha detto l’avvocato del giardiniere risarcito, Michael Miller. Dove, per scienza devono ovviamente intendersi i ricercatori indipendenti. Questo è emerso da e-mail interne alla dirigenza Monsanto citate dai difensori dei ricorrenti ed evidentemente ritenute attendibili anche dalla giuria».
«A questo punto, qualche domanda semplice semplice – scrive ancora Palmisano -:
1) l’affaire dei Monsanto Papers, appena qualche mese fa, aveva già ingenerato dei “dubbi”; questa sentenza non può che alimentarli: quanto c’è di quella “scienza inquinata” e di quel “dolo” (malice) con cui Monsanto gestiva queste pratiche, a partire dai loro risvolti scientifici, a base della recente decisione della Commissione Europea, in concorso con il suo braccio scientifico di nome Efsa, di rinnovare per altri cinque anni l’autorizzazione all’uso nei Paesi Ue del glifosato, nonostante la classificazione Iarc di quest’ultimo come probabile cancerogeno?
2) se, come ha rivendicato Monsanto per autoassolversi, l’uso del glifosato è autorizzato in 130 paesi su più di 100 colture diverse, quanto ne ha “mangiato” finora ognuno di noi?
3) e se “i dubbi” di cancerogenicità di questa sostanza crescono e si moltiplicano, a che rischio ci siamo esposti o ci esponiamo ancora in maniera inconsapevole?».