I dati sono in effetti impressionanti: secondo l’Ispra (Rapporto sul consumo del suolo 2017) su 7400 chilometri del litorale italiano, il 75,4% della fascia costiera entro i 200 metri è coperta dal cemento o coperture artificiali. Le coste italiane sono tra le più cementificate d’Europa secondo l’Unep, per un totale di 160 milioni di metri cubi di cemento. Le regioni con i valori più alti sono Marche e Liguria, seguono Abruzzo, Campania, Emilia Romagna. Se continuiamo di questo passo, nel 2060 non ci saranno più spiagge da difendere[1].
Solo qualche esempio: a Porto Recanati (MC), le spiagge del centro abitato sono quasi tutte in concessione ai privati, a parte una spiaggetta libera centrale di pochi metri; le spiagge libere si trovano a Nord e a Sud della città, ma sono molto sporche, tanto che a giugno 2018 è montata la protesta dei bagnanti[2]. Difficile anche raggiungere in bici le spiagge libere fuori città, verso Scossicci o Porto Potenza, per la mancanza di ciclabili.
Sull’isola d’Elba sono più di 10 le spiagge inaccessibili, perché i proprietari di ville, alberghi e campeggi ne hanno bloccato l’ingresso con recinzioni, chiudendo i sentieri[3].
A Ostia il lungo mare è stato ribattezzato il “lungomuro”: cioè un muro che si snoda per circa 6 km a protezione di resort, stabilimenti balneari, discoteche, locali esclusivi. Il mare non solo non si può raggiungere, non si può nemmeno vedere.
Le spiagge libere
Esempi su esempi, tutti in violazione alla legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007) che prevede l’”obbligo per i titolari delle concessioni di consentire il libero e gratuito accesso e transito alla battigia” (cioè l’area entro i 5 metri dal mare). L’Adiconsum nel “Vademecum sui diritti dei bagnanti”, ricorda tra l’altro come “le spiagge libere devono essere posizionate tra uno stabilimento e l’altro. Il non rispetto del corretto intercalare tra spiagge libere e stabilimenti balneari va segnalato ai sindaci e alle Regioni”.
Tante sono le associazioni e i comitati locali che si battono per salvare le spiagge: da WWF a Legambiente, con la sua iniziativa “Giù le mani dalla costa”, a Italia Nostra, che nel marzo 2018 insieme a comitati locali ha diffidato il comune e chiesto di revocare la concessione a privati della Spiaggia Libera. Dal Cilento, Assunta Grippo dell’associazione Fare Verde denuncia: “Ho letto la delibera del comune di Sapri, che vorrebbe dare in concessione l’80% delle spiagge, riducendo drasticamente quelle libere. Vengono distrutti habitat naturali come la nidificazione delle tartarughe marine; i gigli di mare sono una pianta protetta nella nostra Regione (Campania) ma ancora non vi è una legge del tutto chiara per la sua tutela, cosi che in alcune zone del Cilento come Palinuro si pemette di spostare addirittura le piante per montare al loro posto i lidi”.
Per arginare questo disastro, il WWF chiede una moratoria della nuova edificazione nella fascia costiera finché non saranno approvati i piani paesaggistici in tutte le Regioni: per ora infatti solo Puglia, Toscana e Sardegna si sono dotati di Piani paesaggistici che davvero tutelano i territori costieri ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.lgs 42/2004).
Le resistenze al cambiamento
Le resistenze al cambiamento sono tante, anche perché le spiagge private sono un affare d’oro: basti pensare che un metro quadro di sabbia produce ai privati in media una ricchezza complessiva di 1300 euro annui (dati Nomisma). Eppure nelle casse del Comune resta ben poco: il costo della concessione demaniale incide meno dell’1% sul fatturato dello stabilimento.
Affari anche illeciti, come denuncia il Rapporto dei Verdi, Odissea nella Spiaggia 2017 : “Sono oltre 110 gli stabilimenti sequestrati alla mafia negli ultimi 5 anni.” Dal 2020 l’Italia sarà obbligata dall’Unione Europea a non rinnovare automaticamente la concessione e questo in parte potrà arginare il fenomeno dei lidi abusivi.
Ma non bastano i 12 mila stabilimenti balneari, a questi si aggiungono anche 500 porti e punti di approdo, circa uno ogni 14 km, che non solo impediscono la libera fruizione al mare, ma mutano radicalmente la conformazione delle dune, distruggendo la vegetazione autoctona e aumentando il fenomeno dell’erosione costiera. Secondo i dati ISPRA ben un terzo delle nostre spiagge è interessato da fenomeni erosivi in espansione, e sarà sempre peggio.
Parchi e riserve
Un argine all’espansione edilizia costiera secondo il WWF[4], è costituito dal sistema dei 100 parchi e riserve e degli oltre 200 siti costieri della Rete Natura 2000. Sulla costa tirrenica, ci sono 16 segmenti più lunghi di 5 km, liberi dall’urbanizzazione, per un totale di 144 km (15 km tra Viareggio e Pisa, 20 km tra Grosseto e Orbetello, 15 km da Latina a Sabaudia, 12 km tra Camerota e San Giovanni Piro); sulla costa adriatica, circa 200 km (i più lunghi in Friuli Venezia Giulia, Marano Lagunare; in Veneto, 50 km tra Porto Viro e Goro; e in Puglia, 14 km lungo la costa del Lago di Lesina).
Gli esempi positivi, di riscatto, non mancano: la Spiaggia dei Conigli a Lampedusa, raggiungibile a piedi, libera dalle auto, dove le tartarughe marine depositano periodicamente le uova. Tante amministrazioni ricorrono saggiamente al numero chiuso, per preservare l’ambiente costiero: in Sardegna, a Cala Biriola, nel Golfo di Orosei o a Marina di Alberese, nel Parco della Maremma di Grosseto, anche quest’ultima raggiungibile a piedi o con mezzi pubblici.
Importante è il comportamento responsabile dei turisti, che devono rispettare le spiagge, raggiungerle (se possibile) con mezzi ecologici, portarsi a casa i rifiuti, evitare di calpestare o raccogliere la vegetazione, di spostare tronchi o spianare le dune.
Prima che sia troppo tardi, prima che non ci saranno più spiagge libere da salvare.
[1] Rapporto Odissea nelle Spiagge, 2017, Verdi
[2] https://www.corriereadriatico.it/macerata/porto_recanati_spiaggia_libera_discarica_esplode_protesta-3775297.html
[3] La Nuova ecologia, giugno 2018, p22