Gli ammorbidenti possono essere considerati veri e propri «cosmetici per tessuti». Ma il loro impatto sull’ambiente e sulla nostra pelle può essere estremamente negativo. Scopriamo insieme come sceglierli.
Erano gli anni ’60, gli anni del boom economico, quelli in cui il benessere generava nuovi bisogni che l’industria chimica, in un momento di grande splendore, riusciva a intercettare e soddisfare. Dopo i primi detersivi sintetici, che sostituivano il sapone realizzato in maniera naturale a partire da grassi vegetali o animali, un nuovo prodotto entrava nelle case di milioni di persone: l’ammorbidente. Una rivoluzione per le casalinghe dell’epoca, che finalmente potevano «combattere la rigidità e rendere il bucato morbido e profumato». Da quel momento in poi fu un crescendo di soffice morbidezza, carezze delicate, teneri orsacchiotti, brezza marina o aria di montagna.
Per molti l’ammorbidente è ancora oggi un prodotto indispensabile, così come confermano i dati del rapporto 2015 di Federchimica1 sui consumi degli italiani, che vedono, parallelamente a un’inflessione generale dei consumi di detersivi, l’aumento dell’acquisto di ammorbidenti. D’altronde, la pubblicità si fa sempre più incalzante ed è semplice farsi ammaliare dalle suggestioni che evoca se di un prodotto non si conoscono bene le caratteristiche intrinseche, la reale efficacia e gli effetti sulla nostra salute e sull’ambiente.
Che cosa sono e come agiscono
I primi ammorbidenti, realizzati all’inizio del ventesimo secolo, erano costituiti da una miscela di acqua, sapone, olio di oliva o mais e venivano utilizzati dall’industria tessile per ammorbidire le fibre di cotone, poiché la tintura rendeva i tessuti rigidi e stopposi. Con il passare degli anni divennero miscele via via più complesse, costituite da solventi, tensioattivi cationici, emulsionanti, agenti siliconici antischiuma, coloranti e conservanti. I tensioattivi cationici, agenti condizionanti senza potere lavante, sono gli ingredienti attivi in grado di diminuire l’elettricità statica, che si genera con il lavaggio, e ammorbidire le fibre. Possiedono infatti una carica positiva che attrae le cariche negative delle fibre, disperdendo le forze di natura elettrica responsabili dell’elettrostaticità e della rigidità. La restante parte della molecola è composta da una sostanza grassa, vegetale o animale, che, rivestendo le fibre, conferisce morbidezza e setosità al tatto.
Quanto sono sicuri per l’ambiente e la salute?
I tensioattivi cationici utilizzati negli ammorbidenti moderni sono sostanze biodegradabili, spesso di origine naturale, che hanno sostituito le molecole più inquinanti del passato, ma che possono comunque avere un forte impatto sugli organismi acquatici, poiché presentano vari livelli di ecotossicità. Biodegradabilità ed ecotossicità sono infatti parametri differenti, in merito ai quali vigono specifici regolamenti. La biodegradabilità è la capacità di una sostanza o di una miscela di degradarsi nell’ambiente tramite processi biologici che avvengono per mezzo di particolari microrganismi o tramite altri meccanismi naturali come l’idrolisi o l’ossidazione. Invece l’ecotossicità, acuta o cronica, è l’impatto che una sostanza o una miscela ha sugli organismi acquatici (crostacei, alghe e altre piante acquatiche). Se è obbligatorio che i tensioattivi siano biodegradabili almeno al 60%2, non è invece obbligatorio che lo sia il prodotto nel suo complesso. Così come non sono prescritte restrizioni per la tossicità acquatica ma soltanto indicazioni sul tipo di pericolo per gli organismi in questione 2,3.
Biodegradabile quindi non è sempre sinonimo di ecologico. Spesso infatti si trovano in commercio prodotti che dichiarano in etichetta «tensioattivi biodegradabili» e che al contempo sono «molto tossici per la vita acquatica, con effetti a lungo termine». In genere, nella miscela ci sono poi eccipienti di origine petrolchimica: solventi, emulsionanti, antischiuma siliconici, conservanti, coloranti e profumi, che contribuiscono a rendere il prodotto nell’insieme altamente inquinante non solo per l’ambiente ma anche per la nostra pelle. (…)
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