La fermentazione è tornata a essere molto utilizzata per alimenti e bevande. Ne esistono tre diverse tipologie, secondo il tipo di microrganismi coinvolti: scopriamo qualcosa di più.
A seconda del tipo di microrganismi coinvolti, possiamo distinguere tre principali tipi di fermentazione: lattica, acetica e alcolica. Nella produzione alimentare oggi si tende a guidare il processo inoculando colonie batteriche o lieviti ben selezionati.
È il caso della lievitazione con lievito di birra che, nei forni, nelle pizzerie, ma anche nelle preparazioni domestiche, ha di fatto rimpiazzato la fermentazione degli impasti con pasta madre. In questo caso, tra le migliaia di ceppi che agiscono in sinergia è stato selezionato un solo lievito, il Saccharomyces cerevisiae, che ha la funzione di attivare la fermentazione alcolica e favorire una lievitazione più spinta.
Il prodotto sarà più gonfio e appariscente, ma perde le caratteristiche nutritive di un impasto a fermentazione naturale, in cui il glutine, assieme agli amidi e agli altri micronutrienti, vengono metabolizzati e predigeriti dai batteri.
In Occidente la fermentazione è conosciuta soprattutto per le bevande alcoliche, le salamoie, i crauti e i formaggi, che vengono ottenuti attraverso metodi sempre più controllati, attraverso la pastorizzazione e l’aggiunta di conservanti.
In Giappone l’alimento fermentato per eccellenza è il miso, utilizzato come insaporitore di zuppe e brodi, tartine o in altri svariati contesti. Deriva dalla fermentazione della soia gialla a cui viene aggiunto orzo o riso, insieme a un fungo che metabolizza gli amidi dei cereali, l’Aspergillus oryzae. Fra i cibi fermentati giapponesi, sono molto benefiche le prugne umeboshi, ottenute dalla fermentazione sotto sale di un tipo di albicocca giapponese.
In Cina si prepara il kombucha, una bevanda leggermente effervescente che si ottiene dalla fermentazione del tè con una colonia simbiotica di batteri e lieviti, un «film» chiamato «coltura di kombucha», simile a una grande piadina di colore semitrasparente.
In Corea c’è il kimchi, un piatto tradizionale coreano fatto di verdure fermentate; generalmente si usa il cavolo cinese con alcune spezie, tra cui peperoncino, aglio e zenzero.
In Indonesia si usa soprattutto il tempeh. Alimento proteico ben conosciuto in ambito macrobiotico che si ricava dai semi di soia gialla.
La Thailandia è la patria della fervìda, una soluzione di acqua e sostanze zuccherine che serve a far fermentare frutta, verdure o erbe.
La fermentazione dei cibi è una tecnica antica di conservazione e manipolazione degli alimenti, che oggi merita di essere riscoperta per le sue qualità salutari e per contrastare l’omologazione del gusto prodotta dell’industria alimentare.
Questo ricettario insegna ad autoprodurre, con grande soddisfazione e pochissima spesa, molti cibi fermentati che renderanno più appetitose le nostre pietanze.
Pane lievitato con la pasta madre, aceto di vino e di mele, crauti, verdure lattofermentate e diversi tipi di frutta, olive in salamoia, kefir, sidro, yogurt, cagliata, formaggio di mandorle… con poca spesa e poco tempo possiamo creare alimenti gustosi, che nello stesso tempo migliorano la salute del nostro intestino e del sistema immunitario.
Inoltre nel libro non mancano incursioni nelle tradizioni alimentari di altri paesi: la tarhana/trahana greca e turca, le dosa indiane, l’amasake giapponese e tante altre ricette portano sulle nostre tavole tecniche e sapori meno consueti. Le foto che accompagnano le ricette sono un ulteriore invito a produrre in casa i propri cibi fermentati.