Dal racconto di un episodio realmente accaduto, possiamo gustare uno spaccato di vita di comunità e di montagna, di culture diverse e di emozioni indimenticabili. Una riflessione che invita ad un rapporto vero e integrale con la Natura.
La nevicata di giovedì 1 Marzo è stata per me quanto di più eccezionale sia accaduto nel tempo di cui mantengo chiaro il ricordo. Sono caduti 35 centimetri di neve finissima e asciutta, uno zucchero a velo ghiacciato ha ricoperto qualsiasi forma di vita intorno a me. Avrei voluto stare ferma a contemplarla per ore ma l’impegno che ci eravamo presi come comunità mi ha tenuta in movimento: dovevamo riordinare la casa, fare il pane e preparare il cibo per un gruppo di giovani stranieri che avrebbero trascorso il fine settimana con noi, nell’ecovillaggio in formazione
Torre di mezzo. Tramite la Rive, un professore del corso
Global Future della scuola popolare danese aveva chiesto ospitalità per la sua classe che si occupa di temi relativi alla sostenibilità, così ci siamo offerti.
Eccoci là, durante la nevicata che ha coperto mezza Italia, a preparare i letti e coperte per accogliere al meglio il gruppo di studenti.
Il giorno del loro arrivo, dopo un’avventurosa serie di situazioni rocambolesche, io e la mia comunarda Chiara, siamo riuscite a “scappar fuori” con le macchine dalla strada sterrata e pian piano abbiamo raggiunto la stazione del treno. Grazie ai nostri amici e vicini dell’ ecovillaggio Corricelli – evviva la rete! – abbiamo caricato il gruppo nelle auto e siamo saliti fino al paesello, ultima tappa prima di imboccare i due chilometri di sterrato che portano al nostro ecovillaggio. Date le condizioni precarie del tracciato, non potevamo rischiare di viaggiare a macchine piene, per cui abbiamo chiesto ai ragazzi di scendere dalle auto e proseguire a piedi.
Il loro treno aveva ritardato di un’ora e mezza, quindi ci trovavamo sul cocuzzolo della montagna, di notte, con la neve sotto i piedi e la pioggia sulla testa. Non vi dico le facce dubbiose, sconcertate, emozionate, eccitate dei ragazzi. La cosa curiosa è che il gruppo era composto di cinque danesi, compresi i due professori che li accompagnavano e che per fortuna erano pieni di spirito d’avventura. Il resto della classe era composta da giapponesi, cinesi, nepalesi e albanesi. Molti di loro non erano mai stati in montagna, tanto meno avevano camminato di notte ed alcuni addirittura, non avevano mai camminato fuori da una strada asfaltata. Li avevamo avvertiti dell’eventualità di fare un pezzo di cammino e li avevamo invitati a portarsi vestiti e scarpe idonee. Ma solo allora, quando li abbiamo visti arrivare con le scarpe di tela, abbiamo capito che mancava in alcuni di loro proprio la percezione di che cosa fosse un ambiente naturale e di come si approccia ad esso. “E meno male che il loro focus è la sostenibilità”…abbiamo pensato ironicamente Chiara e io, ma non ci siamo perse d’animo, li abbiamo dato calzini e scarpe che avevamo in più per i “casi disperati” e siamo partiti.
Durante il percorso si sono alternati stati d’animo diversi: dalla disperazione all’entusiasmo, da momenti di panico a intensi gesti di solidarietà, dallo scoraggiamento all’orgoglio di farcela, dal dimenticarsi delle proprie paure per sostenere una compagna o un compagno in difficoltà. Un ragazzo cinese non riusciva a camminare sullo sterrato e, pur essendo “allergico” al contatto fisico, si è lasciato prendere per mano e condurre fino alla fine del percorso. Il ragazzo nepalese invece si è divertito ed ha potuto mostrare, seppur con molta umiltà, la propria leadership in quella situazione: scivolava a causa delle sue scarpe, così si è ricordato di come fanno i montanari dalle sue parti che si tolgono i calzini e vi ricoprono le scarpe: certo, il piede è più freddo ma non ha più scivolato e ha potuto sostenere i suoi amici. Alla fine, i due chilometri che sembravano non finire mai sono giunti al termine: la vista del cancello di casa ha fatto gioire i cuori e accolti dal calore della cucina economica ogni paura e ogni angoscia si sono sciolte. In pochi minuti il disagio è volato via ed è rimasta solo l’eccitazione per l’avventura, l’incredulità di avercela fatta e un senso di solidarietà palpabile.
Il giorno dopo, in un cerchio di condivisione abbiamo chiesto ai ragazzi di raccontare la propria esperienza rispetto al giorno prima. Oltre a momenti di disagio, molti hanno raccontato di aver scoperto qualcosa di sé che non conoscevano, altri si sono meravigliati di quanto fosse stata strana, intensa e gioiosa quell’esperienza, altri ancora si sono sentiti protetti, supportati e amati dal gruppo che è stato loro vicino in un momento di paura e difficoltà. Alla fine, quello che avevamo davanti era finalmente un gruppo. I professori stessi erano soddisfatti rispetto a quanto questa folle esperienza avesse unito così tanto il gruppo. E il loro stare al gioco è stato fondamentale.
Per noi è stata una sorta di trauma scoprire quanto fosse difficile per un gruppo di ventenni un percorso così….banale! Ma banale lo è per noi che abbiamo sviluppato un’attitudine che ormai diamo per scontata, di stare nel bosco e nell’ambiente montano. Il nostro rapporto con il corpo e come esso interagisce con lo spazio è un’esperienza importantissima della realtà e della Natura, che non è affatto scontata nelle nuove generazioni o per quella fascia di popolazione che ha fatto della città il suo cortile e roccaforte.
Il pensiero più forte che ho avuto durante questa esperienza è che non si può parlare di sostenibilità, di ambiente, di Natura da dietro un banco o da seduti comodamente sul divano. Non si può pensare di creare un domani rispettoso della Terra se non la si è mai sentita sotto i piedi, se non abbiamo imparato ad amarla anche nei momenti in cui si manifesta nelle sue forme più scomode, ostiche e crudeli. Non lasciamoci ingannare dalla presunzione del nostro cervello che crede di sapere tutto solo perché è riempito di nozioni. Non date retta alle immagini bucoliche che vi mostra l’ecovillaggio come un Eden senza insetti.
Per me l’ecovillaggio, il “tornare alla Natura”, è anche vivere la sua implicita durezza, apprendere dalle scomodità del suo cambiare incessantemente e imparare a reagire con creatività alle sfide che pone davanti.
Provate a mettervi in una situazione difficile, in mezzo alla natura selvatica e con pochi mezzi a disposizione e guardate cosa succede alla vostra mente, ai vostri pensieri e alle vostre emozioni. L’avventura in Natura è un’esperienza formativa incredibile. E l’inverno è il più temibile, ma anche più grande, maestro. Vi auguro di godere a pieno di questi ultimi giorni di freddo, vento e pioggia, con tutte le difficoltà che comportano, perché sono Vita e sono necessarie alla Terra, e a noi, per essere, per esistere.
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La vita comunitaria e la condivisione dell’abitare si stanno espandendo sempre di più, non solo all’estero, ma anche nel panorama italiano, che offre un ricchissimo e variegato arcipelago di esperienze, dall’housing sociale ai condomini solidali, dal cohousing agli ecovillaggi.
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