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Cibo per tutti: giustizia e rispetto dei diritti

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Se si vuole veramente garantire cibo per tutti sul pianeta, non si può transigere dalla giustizia (vera) e dal rispetto dei diritti; inutile rincorrere gli slogan delle agenzie internazionali che sollecitano a “produrre di più”. L’analisi del rapporto Right to food and nutrition watch 2017.
Giustizia e rispetto dei diritti: sono questi i punti cardine sui quali si può costruire «la via d’uscita alla crisi alimentare mondiale» che, specchio e conseguenze di un sistema iniquo e speculativo, è esplosa un decennio fa con l’aumento esponenziale dei prezzi degli alimenti. Questo fenomeno ha portato a un miliardo le persone che soffrono la fame nel mondo e ha calpestato i diritti umani fondamentali di intere popolazioni. Inutile rincorrere gli slogan di certe Agenzie internazionali, secondo cui occorre aumentare la produzione mondiale di cibo. Il cibo prodotto è sufficiente a sfamare le popolazioni; il problema è che una buona parte di esse non viene messa nelle condizioni di poter accedere al cibo disponibile.

Ora, un’analisi approfondita del problema e la proposta di nuovi scenari indispensabili viene dal Right to food and nutrition watch 2017, il rapporto dell’Osservatorio internazionale costituito da ventisei organizzazioni e movimenti della società civile che celebra con questo documento un decennio di attività.
«La piena realizzazione del diritto al cibo è incompatibile con il modello di produzione industriale attuale» si legge nel rapporto, e per i movimenti della società civile le due maggiori sfide da affrontare oggi sono il land grabbing e il fatto che le multinazionali stiano pianificando la “colonizzazione” definitiva dell’agricoltura. Quindi bisogna concentrarsi con urgenza sull’organizzazione «della resistenza alla sottrazione delle terre e sul sostegno a chi custodisce la terra e i semi localmente, poiché sono queste le pre-condizioni essenziali alla realizzazione piena della sovranità alimentare». Questa lotta di resilienza dovrà poi inevitabilmente estendersi alla protezione delle «risorse naturali, dalle foreste ai fiumi, dalle coste ai pascoli».
«Occorre una trasformazione radicale dei sistemi socio-politico ed economico dominanti, dettati dal capitalismo» prosegue il rapporto. «I movimenti devono continuare a organizzarsi a tutti i livelli, dai gruppi locali alle comunità nazionali, nelle aree rurali come in quelle urbane» per continuare a tenere desta l’attenzione sul problema, attenzione che era inesistente, o molto debole, fino a qualche anno fa. Il diritto al cibo è inevitabilmente collegato e correlato agli altri diritti umani «e su questo occorre far leva». «Come può una comunità indigena vedere garantito il proprio diritto al cibo se gli viene negato l’accesso e la disponibilità ai territori ancestrali che da sempre occupava? Come possiamo pensare a un mondo senza più fame se ci rifiutiamo di riconoscere alle donne il ruolo fondamentale che hanno nel sistema alimentare? Questi legami devono divenire di pubblico dominio, devono entrare nella consapevolezza collettiva».
Come scrivono Sophia Murphy consulente dell’Institute for agriculture and trade policy e Christina Schiavoni dell’International institute of social studies, «dobbiamo con urgenza costruire sistemi alimentari resilienti, locali e regionali», garantendo il ruolo centrale dei diritti dei piccoli produttori locali e delle donne.
«I mercati globali, in cui il cibo è stato ridotto a niente più di una merce su cui speculare, hanno dimostrato tutta la loro incapacità di risolvere il problema della fame; anzi, di fatto, lo aggravano» scrive Isabel Álvarez dell’International network for community supported agriculture.
Le analisi ormai non mancano e i fatti sono inequivocabili: la strada è segnata, occorre solo la volontà di imboccarla.

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