Pablo Sole sul Sardinia Post ricostruisce quanto accaduto nei boschi del Marganai, in Sardegna: tagli selvaggi, l’inchiesta e infine le condanne. Trentasei ettari di lecci sono andati perduti.
Quattro condanne per i
36 ettari di lecceta rasi al suolo tra il 2011 e la fine del 2013 nel compendio naturalistico del
Marganai, nel Comune di Domusnovas,
senza la vincolante autorizzazione paesaggistica. Pochi giorni fa il Tribunale di Cagliari ha emesso i
decreti penali di condanna, poi notificati al direttore generale di
Forestas (e progettista dei tagli)
Antonio Casula, al secondo progettista per conto di Forestas
Marcello Airi – nominato in seguito responsabile del compendio del Marganai – e alla collega
Marisa Cadoni, che per prima aveva diretto gli interventi di ceduazione. Il quarto decreto di condanna è stato notificato a
Giuseppe Vargiu, presidente della cooperativa
Agricola mediterranea di Domusnovas, che aveva materialmente effettuato i tagli. Il Gip ha così accolto le
richieste formulate alla fine del 2016 dal titolare dell’inchiesta sui tagli nel Marganai, il Pm
Andrea Schirra, che aveva aperto un fascicolo dopo che nel settembre del 2015 il
Sovrintendente ai beni paesaggistici di Cagliari e Oristano, Fausto Martino, aveva imposto lo stop ai tagli perché il progetto era
privo della necessaria e vincolante autorizzazione paesaggistica.
In totale, il progetto stilato da Forestas prevedeva il taglio di
550 ettari ettari di lecceta, da trasformare in
pellet e legna da ardere. Progetto poi rimasto al palo. Chiuse le indagini, il Pm Schirra aveva chiesto, in sostituzione dei 60 giorni di arresto, l’irrogazione di un’
ammenda di 31mila euro per ognuno dei quattro imputati. Il Gip, applicando le attenuanti del caso, ha disposto il pagamento di un’
ammenda di 16mila euro.
Autorizzazioni a parte, già dopo il primo anno di tagli,
gli stessi esperti nominati da Forestas avevano evidenziato
danni al territorio e un team di professionisti composto da
Angelo Aru – il padre nobile della geopedologia in Sardegna – dal biologo
Francesco Aru e dal geologo
Daniele Tomasi,
aveva lanciato l’allarme sulla ricrescita pressoché inesistente degli alberi tagliati, denunciando inoltre l’erosione costante dell’area interessata dagli interventi di ceduazione
. La mobilitazione delle associazioni ambientaliste, in primis
Gruppo di intervento giuridico e
Italia Nostra, e sigle politiche come
Liberu, aveva acceso i riflettori sulla vicenda – finita pure sul
Corriere grazie ad un articolo di
Gian Antonio Stella e su
RaiTre grazie a Igor Staglianò – e interessato la Sovrintendenza, che aveva verificato l’assenza delle autorizzazioni e chiesto un parere all’ufficio legale del ministero dei Beni e delle attività culturali.
Dal canto loro, i vertici di Forestas – vale a dire l’amministratore unico
Giuseppe Pulina e il direttore generale
Antonio Casula – e l’assessore regionale all’Ambiente
Donatella Spano, avevano
sempre difeso il progetto, sostenendo che le autorizzazioni paesaggistiche non erano necessarie. Di diverso avviso l’ufficio legislativo del ministero dei Beni e delle attività culturali, che l’otto settembre 2016 aveva chiarito:
“L’area è sottoposta a vincolo e ogni intervento deve ottenere l’autorizzazione paesaggistica”. Un documento, quest’ultimo, che Forestas non aveva nemmeno richiesto. Poche settimane dopo il Pm Schirra firmò la richiesta di emissione dei decreti penali di condanna e pochi giorni fa, il Gip ha dato il via libera. Ora i quattro destinatari del provvedimento hanno quindici giorni per opporsi al decreto di condanna – contromossa presumibile – e richiedere dunque il dibattimento in Aula.