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Riabitare un borgo: il sogno di Paese Liberato

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Un gruppo di trenta persone, il sogno di riabitare un borgo: ecco il progetto di ecovillaggio Paese Liberato.
Era il 31 gennaio 2015, quando un gruppo di persone ispirate dal vivere ecologico si incontrò a Granara, un villaggio ecologico nell’Appennino parmense.
Francesca Mastracci era una di loro. Una 32enne, che sognava per se stessa e per il mondo, una vita diversa. Francesca, insieme agli altri fondatori, ha visitato un centinaio di borghi più o meno abbandonati in Italia per realizzare il sogno di creare un ecovillaggio: il Paese Liberato. Non trovando il luogo “giusto” dove fondarlo, ha deciso con alcuni dei suoi compagni di viaggio di fermarsi a Ripola, frazione di Licciana Nardi, paese della Lunigiana, in Toscana. La scelta è nata da un bisogno di iniziare a fare vita di comunità e almeno inizialmente è stata intesa come un periodo di transizione. A volte, nella realizzazione di grandi progetti è necessario prevedere questa fase e da lì, possono nascere nuove consapevolezze e possibilità. Abbiamo chiesto a Francesca di raccontarci la sua esperienza rispetto alla scelta di vita in comunità e del progetto Paese Liberato.
Una scelta un po’ folle per sperimentare relazioni profonde


Francesca Mastracci è giornalista pubblicista e scrive per L’eco della Lunigiana, un giornale on-line locale. Partecipa attivamente alla vita associativa della Rete italiana villaggi ecologici – RIVE per la quale è curatrice della pagina Ecovillaggi.it sulla rivista Terra Nuova. Ma un’altra sua grande passione, che ha scoperto facendo esperienza di vita in comunità, è la facilitazione dei gruppi: “la Rete degli ecovillaggi ha dato una grande spinta e supporto a Paese Liberato dandomi la possibilità di frequentare lo scorso anno in Danimarca la formazione Erasmus+  che proponeva un programma di incubazione nuovi progetti sostenibili ( programma SCIPP, creato e condotto da facilitatori del Gen Europa). Il programma fornisce strumenti di facilitazione a supporto alle comunità nascenti. Successivamente ho partecipato al CLIPS, una formazione per facilitatori del programma di incubazione, a cui tre persone del progetto hanno partecipato nel novembre scorso a Torri Superiore. È stato di grande aiuto e molto illuminante sul percorso che stavo facendo! Inoltre la Rete ci è stata vicina, in particolare attraverso le facilitazioni di Riccardo Clemente, copresidente della Rive, che oltre a sostenere il nostro percorso ha manifestato una calorosa vicinanza fraterna”. Ma che cosa ha portato Francesca a fare il grande passo di cambiare vita? “Credo che la spinta iniziale l’ho trovata grazie ad un po’ di follia e all’incoscienza di fare un salto nel vuoto! Non sapevo bene cosa aspettarmi. Ma le motivazioni profonde si legavano alla volontà di creare delle relazioni più profonde tra e con le persone, creare un luogo che fosse un avamposto e un punto di riferimento per il cambiamento nella società e vivere a contatto con la natura per recuperare ritmi di vita più spontanei”.

L’avventura di Paese Liberato
Paese Liberato è composto da trenta persone di varia età, esperienza e provenienza. Cinque persone, nel settembre 2015, hanno deciso di andare a vivere insieme in un casale a Ripola, in Lunigiana, che è diventata la sede dell’ecovillaggio. Vicino a loro, in un’altra struttura, c’è una famiglia con un bimbo, mentre gli altri vivono in Lombardia, Lazio, Emilia Romagna ed altri sono in movimento per l’Italia. “Il nostro obiettivo”

racconta Francesca “è quello di vivere insieme creando un vero e proprio paese, con luoghi comuni e spazi privati. Per questo abbiamo classificato i borghi che abbiamo visitato in questi anni attraverso una scheda tecnica con indicati i requisiti basilari, come ad esempio la presenza di acqua, di terreni, di vicinanza a città, ecc. Col passare del tempo però ci siamo accorti che questo non bastava: era importante, anzi fondamentale, lavorare sul gruppo perché altrimenti nessun borgo sarebbe mai stato adatto a essere ripopolato”.  Da qui nasce la decisione di affidarsi alla facilitazione. E con la permanenza a Ripola si stanno aprendo nuove possibilità prima impensabili: “Stiamo trovando a Ripola la possibilità di abitare altre case che permetterebbero l’avvicinamento per un numero maggiore di membri del progetto. Stiamo lavorando insieme per accogliere quello che la vita ci offre qui in Lunigiana e cercando di aprire la via per i nostri compagni e compagne di Paese Liberato che vivono in altri luoghi, ma che desiderano raggiungerci”.

Fondare un ecovillaggio è trovare strategie per gestire la complessità
L’attuale conformazione di Paese Liberato è intrigante e complessa. Da un lato c’è una casa e degli abitanti, molto coinvolti nella sperimentazione comunitaria, altri, la maggior parte, lontani fisicamente ma a tutti gli effetti attivi membri del progetto. Questa soluzione ibrida ha permesso di far avanzare il progetto in questi anni, limitando la corrosione

dell’entusiasmo dovuto dalla distanza e dall’allungamento dei tempi di realizzazione. D’altra parte ha comportato delle difficoltà: “Credo che la principale difficoltà sia ‘viaggiare’ a diverse velocità” confida generosamente Francesca “alcuni di noi hanno la possibilità di sperimentasi in situazioni diverse che, se non condivise, rischiano di creare distanza tra chi vive in Lunigiana e chi vive altrove. Per questo cerchiamo di incontrarci con regolarità e abbiamo creato dei gruppi di lavoro sulla base del modello sociocratico, che si incontrano con frequenza anche on-line. D’altra parte questa situazione ci permette di avere un ricco confronto con persone che hanno una visione esterna dalla vita in comunità, che possono fornire un punto di vista fresco e diverso, facendo vedere ai residenti aspetti che altrimenti non sarebbero stati visti. Viceversa, per chi vive in città. Ma quello che credo che ci unisca più di altro è l’amicizia profonda, l’amore e la stima reciproca che ci danno la voglia di esistere anche su livelli diversi di appartenenza al progetto. Aderendo a Paese Liberato desideravo vivere relazioni più autentiche, e così è stato. A volte, non sono arrivate come me lo sarei aspettata: ma ho scoperto che dallo scontro e dal confronto duro, posso sempre trovare spunti per lavorare su me stessa. Ho compreso quanto la vita sia mutevole, che noi non siamo sempre gli stessi, che possiamo cambiare rispetto all’immagine che ci siamo fatti di noi e diventare delle persone diverse cambiando insieme agli altri”.

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