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I veri custodi della natura

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Le dodici immagini vincitrici del concorso fotografico di Survival International raccontano in modo suggestivo il rapporto unico che i popoli indigeni hanno con la natura che li circonda.
Dai ghiacci artici alla savana africana, un viaggio per capire che senza queste culture non c’è natura, né futuro.
I «Pigmei» Baka dell’Africa centrale mangiano quattordici tipi diversi di miele selvatico, e più di dieci tipi di igname (una sorta di patata dolce). Quando la raccolgono lasciano parte della radice nel terreno e in questo modo diffondono nella foresta l’igname selvatico, uno dei cibi preferiti da elefanti e cinghiali.
Fin da piccoli, imparano a non eccedere nella caccia degli animali della foresta. «Quando troviamo una femmina con il suo piccolo, non possiamo ucciderla» racconta una donna baka, «in particolare, è severamente proibito uccidere i cuccioli se camminano vicino alla loro madre».
Come i Baka, tanti altri popoli indigeni, che nel mondo contano almeno 370 milioni di persone, suddivise in oltre 5000 popoli e distribuite in più di 70 nazioni, hanno sviluppato stili di vita largamente autosufficienti,
sostenibili e straordinariamente diversi. Rappresentano una parte essenziale della diversità umana, ma hanno anche dimostrato di sapersi prendere cura di quella biologica meglio di chiunque altro.
Sono i migliori custodi del mondo naturale. Il riconoscimento e la valorizzazione di questo loro ruolo dovrebbero essere alla base di qualsiasi strategia internazionale per la tutela del Pianeta.

Nessun grado di separazione

Il fatto che l’80% della biodiversità terrestre si trovi nei territori dei popoli indigeni è il risultato di un utilizzo e di una gestione del territorio sapiente e lungimirante. Essi dipendono dalle terre ancestrali per la sopravvivenza e per la loro identità, e per questa ragione sono motivati a proteggerle più di chiunque altro.
«Perché ci vuole così tanto a capire che se facciamo del male alla natura, facciamo del male a noi stessi?» ci ha chiesto una volta Davi Kopenawa, sciamano e portavoce degli Yanomami del Brasile. «Non siamo
spettatori esterni del mondo. Non ne siamo separati».
Purtroppo, le società industrializzate continuano a sottoporre i popoli indigeni a violenza genocida, schiavitù e razzismo per poterli derubare di terre, risorse e forza lavoro nel nome del «progresso» e della
«civilizzazione». Ancor più paradossalmente, gravissimi abusi dei loro diritti sono commessi nel nome della conservazione ambientale e della creazione di aree protette. Dall’India al Botswana, i popoli indigeni sono sfrattati illegalmente dalle loro terre ancestrali, sono accusati di «bracconaggio» perché cacciano per nutrire le loro famiglie, e rischiano arresti, pestaggi, torture e morte per mano dei guardaparco, mentre i
turisti paganti sono benvenuti.

I volti dei protagonisti

Survival International si batte da sempre per contrastare questi abusi e per promuovere un modello di protezione della natura che rispetti i diritti dei popoli indigeni. Per questo ha promosso un concorso fotografico per raccontare il legame che li unisce alle loro terre, nei momenti di lavoro, di svago, di spiritualità o di socializzazione.

Tra le dodici immagini vincitrici, quella scattata da un indigeno Kampu Piyawi, Segundo Chuquipiondo Chota, che ritrae un Indiano Ashaninca di fronte alla distruzione della sua foresta. Un’immagine emblematica, che parla più di mille parole.

We, the people

Survival International ha realizzato il calendario 2018 «We, the people», che immortala in dodici splendide fotografie la bellezza e la diversità dei popoli indigeni. Tutti i proventi derivanti dalla vendita contribuiscono a sostenere il lavoro dell’organizzazione, che per mantenere la sua indipendenza ha scelto di non accettare fondi da governi o grandi imprese; a finanziare le sue campagne in difesa dei popoli indigeni è solo la generosità dei singoli.
• Il calendario di Survival si può acquistare sul sito: https://catalogo.survival.it

Articolo tratto dal mensile Terra Nuova Gennaio 2018

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