Cos’è la sciamatura?
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L’atto di sciamatura appena descritto corrisponde al normale comportamento riproduttivo delle api, ma esistono anche sciami secondari e terziari con la presenza di regine giovani.
Effettivamente nell’anno della sciamatura c’è un calo di unità nell’organismo alveare madre e un forte consumo di miele, e di conseguenza la produzione inevitabilmente cala. Nonostante ciò gli apicoltori, invece di preoccuparsene, potrebbero gioire di un evento come la sciamatura, che è la massima manifestazione vitale dell’organismo alveare.
Da qualche anno invece, la sciamatura viene temuta ed evitata, come se si trattasse di una calamità.
Se le api sciamano vuol dire che dal loro insediamento sono passati almeno due o tre anni in cui non hanno subito alcun tipo di intervento o trattamento.
Permettendo la sciamatura si ha l’opportunità di raccogliere un nuovo sciame, ingrandire l’apiario e contribuire al processo di selezione naturale: le api sono riuscite a riprodursi arricchendo il loro patrimonio genetico.
Nella maggior parte dei casi si tratta di un’operazione semplice e veloce: basta scuotere lo sciame, di solito appeso ai rami di un albero, e farlo entrare nell’arnia. A quel punto le api, che sono alla ricerca di una nuova abitazione, si ritrovano di colpo in una cavità che nella maggior parte dei casi accettano di buon grado.
Non sempre l’apicoltore riesce a gestire i nuovi sciami, che se liberi di agire trovano da sé una struttura adatta. Istintivamente lo sciame tende a sviluppare il nido – fenomeno da un confondere con la sciamatura – ad almeno 2-3 km dall’alveare madre, per diffondere la stirpe il più lontano possibile. Ciò rientra nella normale dinamica naturale ed è anche una misura igienica: il nuovo organismo alveare si lascia alle spalle la maggior parte dei parassiti dell’alveare madre, come la varroa, e risulta più resistente agli agenti patogeni.
Sciami artificiali
L’approccio convenzionale giustifica un tale intervento con le seguenti motivazioni:
• rinnovare gli alveari;
• integrare le perdite di unità dovute a malattie;
• rafforzare gli alveari deboli all’inizio della stagione calda e permettere un abbondante raccolto primaverile;
• ridurre la sciamatura naturale in alveari sovrappopolati, prelevando api e covata;
• poter applicare metodi di controllo biotecnico contro la varroa.
Come nel caso di Frankenstein, otteniamo un essere privo della funzionalità e unità fisica e mentale originaria. Provate a immaginare cosa succederebbe se si iniziasse a riempire il pianeta di Frankenstein: gli esseri umani si indebolirebbero.
In un primo momento potrebbe sembrare di ottenere buoni risultati con un simile esperimento, visto che si selezionano le parti più forti, ma con il tempo senza dubbio emergerebbero limiti e problematiche.
L’impiego di sciami artificiali non rientra né nella pratica della permapicoltura né tanto meno, da un punto di vista tecnico, in un approccio con arnie Warré o KTBH. Eppure anche in quest’ultimi casi gli apicoltori tendono a optare per gli sciami artificiali. Molto probabilmente per ciò non si ottengono sempre i risultati sperati.
Questi sciami non hanno la forza e l’istinto di quelli naturali. Solo la mente ape garantisce il giusto equilibrio nella composizione del nuovo organismo, ovvero il giusto numero di api operaie deputate alle diverse mansioni, aspetto fondamentale per la formazione e lo sviluppo del giovane organismo alveare e perché esso sia sano, capace di evolversi e attuare le proprie strategie di sopravvivenza.
Sciamature naturali
nelle vicinanze dell’alveare da cui si è formato.
Nel suo libro I mille segreti dell’alveare si trovano considerazioni estremamente interessanti:
• Con la sciamatura si verificano rinnovo di api, favi, regine e a volte anche arnie o abitacoli.
Tutto ciò contribuisce a rinvigorire gli alveari e a mantenere il loro buono stato di salute.
• Durante il periodo di sciamatura avvengono pause di ovodeposizione, le quali causano un valido freno al proliferare della varroasi.
• Gli sciami naturali evidenziano uno stupendo “ardore” al lavoro, incredibilmente superiore a quello degli sciami artificiali.
• La sciamatura naturale facilita l’attuazione della selezione massale da parte dell’apicoltore, poiché offre l’opportunità di formare, con estrema facilità e comodità, molti nuclei utilizzando celle reali naturali, dalle quali si ottengono regine che risultano poco soggette alle molteplici malattie e di conseguenza producono api robuste e sempre più acclimatate.
• La sciamatura è un fenomeno naturale; è la vera riproduzione dell’organismo alveare. L’alveare, sciamando, crea un altro individuo della medesima specie, ossia crea un figlio. Il periodo in cui l’alveare prepara la sciamatura, ossia il tempo dedicato all’allevamento di celle reali a scopo di sciamatura, è da paragonarsi alla gravidanza di un mammifero; di conseguenza l’uscita di uno sciame va vista come un parto.
Pertanto, soffocare o disturbare l’istinto riproduttivo di questo essere vivente significa procurargli un trauma, un malcontento che si ripercuote negativamente sul suo “spirito” (sulla sua “psiche”) e di conseguenza sul suo comportamento.
• La sciamatura naturale, considerata come elemento base della sciamicoltura, offre all’apicoltore la possibilità di realizzare un’apicoltura di tipo autosufficiente, pertanto non gli sarà necessario allevare api “forestiere”. Non avrà bisogno di comperare né regine né nuclei, poiché potrà ottenerli dal proprio apiario con relativa facilità, e per giunta con buone prospettive di buona qualità…
Le osservazioni di Tautz sulla fecondazione della regina sembrano confermare la validità di un approccio naturale per contrastare l’indebolimento della specie. Secondo Tautz dopo il volo nuziale, in cui la regina si accoppia con 10-15 fuchi e accumula lo sperma nella sua spermateca, la percentuale di ritorno all’alveare e il buon esito della fecondazione risulta pari a circa il 60-70% in caso di api regine provenienti da nuclei d’ape di dimensioni inferiori a quelle di un arnia convenzionale.
Le api regine vengono allevate in “mini colonie” create artificialmente dall’apicoltore, composte da alcune centinaia di operaie sistemate in una piccola scatola collocata nei pressi di grandi alveari contenenti molti fuchi.
Quanto più elevato è il numero di operaie che popolano l’area di accoppiamento, maggiore risulta essere la protezione offerta da questo effetto, una possibilità supportata dall’osservazione che tutte le regine delle grandi colonie solitamente fanno ritorno dal loro viaggio nuziale, mentre nelle piccole colonie solo due su tre tornano a casa… La possibilità che siano le operaie a scegliere quali fuchi debbano accoppiarsi con la propria regina solleva alcuni interessanti dubbi, che potrebbero essere oggetto di future ricerche”.
In tali circostanze si vengono a creare le condizioni ideali per allevare le regine dal punto di vista fisico migliori”.
Sciami secondari e terziari
Gli sciami primari, di peso non inferiore a 1,5 kg, rientrano nel normale ciclo riproduttivo delle api e ben si adattano all’arnia in permapicoltura.
La sopravvivenza di uno sciame dipende infatti dalla sua dimensione e dal periodo in cui si genera.
Gli sciami secondari o terziari di piccole dimensioni hanno scarse probabilità di farcela. I piccoli sciami che si formano a luglio o agosto, partenza e in quel periodo dell’anno non trovano abbastanza nettare e polline per coprire il loro fabbisogno. Dipendenti dall’intervento umano, questi sciami non sono adatti per un approccio che punta alla selezione naturale.
È un fenomeno anomalo, considerato che la sciamatura dovrebbe garantire un miglioramento genetico e non una regressione. Come mai allora accade? Probabilmente dipende da vari fattori, primo tra tutti l’eccessiva infestazione da varroa.
Le arnie usate di solito oggi non sono così diverse da quelle usate venti o trent’anni fa, tuttavia è notevolmente aumentato lo stress legato alla quantità di interventi. Le tecniche sempre più invasive, l’uso sconsiderato di sciroppi di zucchero, che illude la mente ape sulla presenza di un pascolo abbondante, e la pratica di stringere i telaini per far andare le api sui melari hanno modificato molto le condizioni di vita dell’organismo alveare.
Il professor Thomas Seeley dell’Università di Ithaca negli Usa studiando le api selvatiche della foresta di Arnot, caratterizzate dalla particolarità di vivere in cavità naturali molto piccole rispetto alle arnie convenzionali, ha constatato che sono resistenti alla varroa. Mettendo insieme questi due elementi, alcuni apicoltori hanno dedotto che l’impulso a vivere in spazi piccoli sia una strategia contro la varroa sviluppata dalle api, per ripulirsi grazie a sciamature più frequenti.
In realtà, Seeley nelle sue ricerche si limita riportare dati empirici riguardanti un determinato territorio e non fa riferimento a una specifica tendenza alla sciamatura sviluppata di recente.
Le api da lui osservate nella foresta di Arnot vivono da tempo in quelle condizioni.
La teoria secondo cui le api, in pochi anni avrebbero sviluppato una tendenza a vivere in spazi piccoli e sciamare più frequentemente per “scappare dalla varroa” non ha fondamento. Le misure adottate dalle api per fronteggiare il parassita fanno parte del loro programma genetico di sopravvivenza. Anche la sciamatura improvvisa rientra in questa predisposizione genetica, e avviene infatti a volte allo stato naturale, ma solo in casi eccezionali come rottura dei favi, infiltrazioni d’acqua e deterioramento del nido. Pensare che le api scelgano di vivere in spazi più piccoli, in modo da essere costrette a sciamare più frequentemente e ripulirsi dalla varroa, o che l’organismo alveare abbandoni di continuo il suo corpo invece di attuare tecniche di difesa efficaci e istintive probabilmente è errato. Non sembra si tratti di un processo evolutivo mentre, come ogni essere vivente, questo insetto evolve istintivamente verso un miglioramento della specie.
Negli ultimi anni, a causa delle continue morie di api, dei cambiamenti climatici in corso e dei numerosi trattamenti contro i parassiti vecchi e nuovi, il lavoro dell’apicoltore è diventato difficile e poco remunerativo.
Questo libro è una sfida e insieme un invito, rivolto a tutti gli apicoltori, professionisti o alle prime armi, a mettersi in gioco per trovare insieme nuove strade.