Il dottor Stefano Cagno è dirigente medico ospedaliero dell’Azienda socio-sanitaria territoriale di Vimercate, da anni è membro del Comitato Scientifico Equivita e dell’Associazione Medici Internazionali LIMAV. Partecipa a congressi e dibattiti anche a livello universitario sul tema della sperimentazione animale e della vivisezione. È proprio lui ad illustrarci i grandi limiti di questo approccio medico-scientifico.
«Gli esperimenti sugli animali sono utilizzati pressoché in ogni campo della ricerca medica e non solo. Compiendo una certa semplificazione si potrebbe dire che i due settori principali sono la ricerca di base e quella applicata – spiega il dottor Cagno – La ricerca di base si occupa della comprensione dei meccanismi che stanno alla base del funzionamento dei sistemi biologici complessi, ossia degli animali, esseri umani compresi; quindi parliamo, ad esempio, della genetica o della fisiologia. Questo tipo di ricerche è condotto prevalentemente a livello universitario. Per fare carriera in questo settore sono essenziali le pubblicazioni sulle riviste scientifiche e la sperimentazione animale offre l’opportunità di compiere ogni tipo di esperimento in tempi di solito molto veloci. Spesso bastano pochi animali per pubblicare, mentre una ricerca epidemiologica in campo umano ha bisogno di centinaia, se non migliaia di soggetti e quindi di mesi e spesso anni per arrivare alla pubblicazione. La ricerca applicata, come dice la parola stessa, si occupa delle applicazioni, ossia di ciò che può essere sviluppato grazie alle conoscenze di base, quindi prima di tutto i farmaci. Questi, prima della commercializzazione, devono essere sperimentati sugli animali. Per ogni singola sostanza basta cambiare la specie per ottenere praticamente quasi ogni tipo di risultato. In una specie una sostanza può risultare tossica, ma cambiando la specie diventa innocua e magari anche terapeutica. Questo tipo di ricerche nella maggior parte dei casi è condotto dall’industria chimico-farmaceutiche».
«Basta cambiare la specie per ottenere risultati spesso diametralmente opposti – prosegue Cagno – Se il mio scopo è dimostrare che la sostanza che sto sperimentando è innocua, e quindi commercializzabile, basterà sperimentarla su diverse specie e poi scegliere quelle più utili al mio scopo quando presenterò la richiesta di commercializzazione. Se andiamo a vedere su quali specie sono stati sperimentati farmaci come gli ansiolitici, che hanno una struttura chimica tra loro quasi identica, per valutare la loro potenziale tossicità, ci accorgiamo che le molecole sono state sperimentate su specie differenti. Prendiamo, come ulteriore esempio, la diossina. Nel passato è stata sperimentata su almeno nove specie differenti con i più disparati risultati. Nel porcellino d’India è risultata altamente tossica come negli esseri umani; nel ratto, nel pollo, nella scimmia, nel coniglio, nel cane, nel topo e nella rana toro non ha creato problemi. Nel criceto è talmente innocua che, se il risultato fosse estrapolabile alla nostra specie, un uomo di media corporatura dovrebbe ingerire almeno 350 grammi di diossina per avere solo il 50% di probabilità di morire. Ovviamente nessuno è in grado di prevedere a priori se la nostra specie si comporterà in maniera più simile al porcellino d’India o al criceto, che peraltro, come tutti sanno, sono due specie molto simili geneticamente tra loro. Inutile dire che se fosse sufficiente la tossicità in un’unica specie per scartare una sostanza, non potremmo contare su nessun farmaco o sostanza terapeutica, poiché se sperimento su diverse specie, in almeno una, la sostanza oggetto della ricerca risulterà tossica. La penicillina, ad esempio, è tossica nei criceti».
«La legge prevede che prima della commercializzazione ogni sostanza sperimentata sugli animali debba essere sperimentata anche sugli esseri umani – prosegue Cagno – I dati forniti dalla Food and Drug Administration, ossia l’organismo di controllo sulla commercializzazione dei farmaci negli Stati Uniti d’America, dimostrano che in almeno il 92% dei casi, sostanze che avevano superato la sperimentazione animale non superano la sperimentazione umana. Pertanto, quando qualcuno dichiara che grazie alla sperimentazione animale possiamo mettere in commercio sostanze più sicure, fa un’affermazione assolutamente errata. Noi mettiamo in commercio sostanze relativamente sicure solo grazie ai dati che abbiamo ottenuto attraverso la sperimentazione umana che è l’ultimo e realmente fondamentale passaggio prima della commercializzazione di un farmaco. Infine una domanda: se la sperimentazione animale fosse affidabile, perché abbiamo bisogno obbligatoriamente di sperimentare anche sugli esseri umani dopo averlo fatto sugli animali?
«Secondo uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista americana JAMA nel 1998, i morti ogni anno per gravi effetti collaterali da farmaci negli USA erano circa 106mila. Dati più recenti hanno sostanzialmente confermato il dato attestando il numero sulle 128mila unità. Nell’Unione Europea, invece, i morti ogni anno sarebbero circa 197 mila. Pertanto la morte da reazione avversa da farmaci si attesterebbe tra la quarta e la sesta causa più frequente di morte».
«L’elevato numero di farmaci ritirati dal commercio, ma che durante la sperimentazione erano stati giudicati sicuri, è la dimostrazione che qualcosa non funziona proprio nella fase sperimentale. – prosegue Cagno – Considerando i relativamente bassi numeri dei soggetti coinvolti durante la sperimentazione umana, mediamente circa 2000, molti effetti collaterali, magari gravi se non mortali, non possono essere evidenziati. Un farmaco di successo, infatti, è somministrato a molti milioni di persone nel mondo e se un grave effetto collaterale si presenta, ad esempio ogni 50.000 persone, la probabilità di dimostrarlo durante la sperimentazione umana è bassissima (circa il 5%), ma sarà poi in grado di presentarsi in centinaia e migliaia di persone. I presunti meccanismi di funzionamento di un farmaco sono studiati durante la sperimentazione animale, ma poiché geneticamente siamo differenti da tutte le altre specie, ciò che accade in qualsiasi specie animale sarà nel migliore dei casi un po’ differente rispetto a quanto accade nella nostra specie, ma a volte persino diametralmente opposto. Ciò spiega il continuo ritiro dal commercio di farmaci che hanno presentato solo dopo la commercializzazione gravi effetti collaterali».
Poi c’è il delicato capitolo dei possibili esperimenti con animali per scopi bellici.
«I dati riguardanti i test militari ovviamente sono difficilissimi da recuperare – spiega Cagno – Parecchi anni fa era stato pubblicato un intero capitolo nel libro L’inganno crudele di Robert Sharpe su questo tema. Purtroppo ritengo che la maggior parte delle persone che sperimentano sugli animali siano sinceramente convinte della validità dei loro studi e quindi non stupisce che si compiano ricerche anche in campo bellico e per testare le armi di distruzione di massa, anche se non sarà poi detto che ciò che è assolutamente letale per i ratti, per i topi o per le pecore lo sia anche per gli esseri umani. Un esempio per tutti: la tossina botulinica, che è la sostanza più tossica in assoluto per la nostra specie, è del tutto innocua per i gatti».
Quali sono, dunque, ad oggi le alternative alla vivisezione?
«Prima di parlare di quali siano le alternative alla sperimentazione animale, bisogna sottolineare quanto poco siano sovvenzionate – non manca di aggiungere Cagno – Il governo italiano stanzia ogni anno solo un milione di euro per il loro sviluppo, ma mezzo milione è utilizzato per addestrare chi compie gli esperimenti sugli animali, e il misero mezzo milione che avanza è diviso regione per regione in base alla popolazione. Pertanto un ricercatore lombardo può contare solo su poco più di € 90.000, ammesso che non abbia altri concorrenti in Lombardia; un ricercatore del Molise su poco più di € 3000 l’anno. È falso dire che non esistono alternative, ma è anche ipocrita se non vengono finanziate e se anche i metodi che sono stati validati, ossia giudicati scientificamente affidabili, non sono resi obbligatori, ma usati solo a discrezione dei ricercatori che, addestrati ad utilizzare animali, continueranno a farlo. Non basterebbe un libro per elencare tutte le alternative. È importante sottolineare che un risultato affidabile può essere ottenuto spesso utilizzando più metodi contemporaneamente. Anche in questo caso dobbiamo fare una semplificazione. Esistono metodi biologici e non biologici. I metodi biologici utilizzano materiale di origine umana: cellule, tessuti e organi. Grazie alla tecnologia oggi possiamo avere delle linee cellulari praticamente immortali, possiamo costruire tessuti ed è molto avanzata anche la ricerca per la creazione di organi. Tuttavia dalle sale chirurgiche potremmo già avere moltissimo materiale gratuitamente, posto che si voglia creare una rete efficiente in grado di prendere il materiale, conservarlo e distribuirlo a chi lo voglia impiegare».
«I metodi non biologici possono utilizzare la tecnologia e l’enorme quantità di dati presenti in tutto il mondo nei computer riguardanti ogni tipo di argomento: sviluppo delle malattie, risposta dei farmaci in commercio, distribuzione delle malattie, relazione tra queste ultime ed eventi ambientali in grado di stimolarle. Non dimentichiamo, ad esempio, che la correlazione tra il fumo di sigaretta e lo sviluppo dei tumori polmonari è stata dimostrata grazie a ricerche epidemiologiche, ma per molti anni negata a causa degli esperimenti sugli animali, spesso compiuti dall’industria del tabacco, che la escludevano. Una buona combinazione di metodi biologici e non biologici può essere quella dei simulatori metabolici nei quali possiamo inserire tutti i dati che conosciamo riguardanti la struttura chimica e la metabolizzazione di tutti i farmaci in commercio, ma non solo. A questi possiamo aggiungere la struttura chimica della sostanza che stiamo studiando, e tutti i risultati che abbiamo ottenuto mettendo la sostanza a contatto con colture cellulari o tissutali di vari organi. Un approccio di questo tipo è sicuramente in grado di predire in maniera più affidabile il comportamento della sostanza in studio quando sarà somministrata agli esseri umani».
Cagno non manca poi di illustrare l’opinione della comunità scientifica in merito alla sperimentazione animale.
«Ancora troppo spesso una larga parte dell’opinione pubblica ritiene che a opporsi alla sperimentazione animale siano gli animalisti per motivi etici. In realtà negli ultimi anni sempre più persone con una preparazione scientifica si sono esposte per denunciare la non affidabilità, proprio da un punto di vista scientifico, della sperimentazione animale».
«Sono così nate diverse associazioni che riuniscono laureati in materie scientifiche che auspicano l’abbandono dei test sugli animali e l’implementazione dei metodi alternativi. Tra le varie in Italia posso ricordare OSA (
Oltre la Sperimentazione Animale)».
Bibliografia
Archibald K. e Coleman R. – New Scientist – vol. 2895, 12.12.2012
Crawford L., FDA Commissioner, in The Scientist 6.8.04 “More compounds failing Phase I” / US Food and Drug Administration (2004) Innovation or Stagnation, Challenge and Opportunity on the Critical Path to New Medical Products
Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana, pag. 6-7, 29.02.2016
Koppanyi T. e Avery M.A., Clinical Pharmacology & Therapeutics, volume 7, pag. 250-270, 1966
Lazarou J, Pomeranz BH, Corey PN. Incidence of adverse drug reactions in hospidalized patients. A meta-analysis of prospective studies. JAMA, 279: 1200-1205, 1998
Sharpe Robert. L’inganno crudele. Ed. Borla, 1992
Tettamanti M. Tossicità legale 2, pag. 24, Ed. ATRA, 1998.