Nel Salento il territorio è stato di fatto militarizzato negli ultimi giorni per la ripresa dei lavori per le realizzazione del gasdotto che la popolazione non vuole. La tensione è alle stelle.
Le campagne di Melendugno, in Salento, sono blindate attorno al cantiere del gasdotto Tap, con barriere antisfondamento, recinzioni e cancelli tirati su in poche ore nelle proprietà private. Ha preso così forma la zona rossa attorno al gasdotto transadriatico proveniente dall’Azerbaijan, con 24 particelle di terreno (fuori dal tracciato del gasdotto) requisite.
Al loro interno non può accedere nè transitare nessuno (tranne i proprietari di case e terreni muniti di appositi permessi) e il divieto durerà un mese, per decisione del prefetto di Lecce Claudio Palomba, al fine di evitare manifestazioni di protesta, presidi e contestazioni. Ma gli attivisti No Tap, dopo un’affollata assemblea, hanno deciso di proseguire l’attività di contestazione.
Diversi contadini hanno dovuto rinunciare alla raccolta delle olive, poiché l’ordinanza prevede che l’ingresso in area rossa avvenga solo singolarmente e dietro riconoscimento. Esclusi a priori i No Tap, che dopo otto mesi hanno dovuto abbandonare il presidio, compreso nella parte interdetta, ma cercano nuove forme per manifestare – insieme all’amministrazione comunale di Melendugno – la contrarietà all’opera. Per il sindaco Marco Potì, l’ordinanza del prefetto è “sovradimensionata” rispetto alle necessità di tutela del cantiere e “troppo oppressiva” delle libertà dei cittadini.
Intanto scritte e volantini sono stati affissi davanti alla sede Tap di Lecce in via Templari, dopo che uova erano state lanciate contro l’infopoint a Melendugno.
«Melendugno è assediato, militarizzato, sottoposto alla sperimentazione di un nuovo tipo di dittatura, la dittatura del regime neo liberista che impone grandi opere dannose e ingiuste, utili solo alla speculazione finanziaria e alle tasche dei pochi a discapito dei molti: il popolo – scrivono gli attivisti No Tap sulla loro
pagina Facebook – Grazie a una fitta rete con politici a diversi livelli, attraverso nuove leggi che ricordano quelle di epoca fascista, vogliono calpestare la protesta, schiacciare il dissenso. Con la creazione di una zona rossa, con l’innalzamento di barriere e checkpoint che sottopongono contadini, abitanti, lavoratori e turisti a controlli di documenti limitandone la libera circolazione e creando ritardi di servizi pubblici (come scuola bus e raccolta rifiuti) la popolazione ha deciso di continuare ad opporsi, di tornare a riunirsi, di sentirsi una comunità ancora più forte. Verranno a dire che la colpa è di chi protesta, diranno che siamo violenti perché cerchiamo di difendere la nostra terra ed i nostri ulivi. Noi pensiamo invece che l’apparato scenografico, di stampo naziholliwoodiano, messo su da governo, questura e prefettura, serve a parare il culo ad un opera che non ha i requisiti per essere pensata, ideata, costruita».
«È per questo che ci siamo incontrati in assemblea: una sala consiliare che non riusciva a contenerci, abbiamo dovuto aprire le porte che danno sulla piazzetta; abbiamo visto forte la partecipazione da tutta la Puglia, abbiamo visto vecchi volti e tanti altri nuovi, non solo gli abitanti di Melendugno. Si è discusso sulle iniziative da mettere in atto nei prossimi giorni e nei prossimi mesi, ogni tipo di realtà presente nella sala ha avanzato proposte, da sit-in a manifestazioni, scioperi, occupazioni e dibattiti, ognuno vuole partecipare e rendersi attivo nella lotta; per questo si stanno creando pian piano gruppi di lavoro, per essere più concreti ed efficaci e far capire che la protesta non è ferma. Ci si è confrontati e chiariti sul giochetto di polizia, politici e stampa che tenta di dividere la popolazione tra buoni e cattivi. È emerso forte dall’assemblea che le intimidazioni del governo non ci fanno paura. Nasce la consapevolezza che le ditte che lavorano per TAP sono esse stesse TAP, nemici del territorio, ditte che hanno scelto da che parte stare, ovvero con il malaffare e contro il proprio territorio. A termine dell’assemblea è nato un corteo spontaneo che simbolicamente è arrivato a ridosso della zona rossa e per qualche ora ha interessato il tratto di strada abitualmente usato dalle forze dell’ordine per il loro checkpoint».
«Il Gasdotto Trans-Adriatico, d’altronde, è una macchina che genera riscaldamento globale, e il cui effetto, chiaramente, sarà quello di peggiorare il problema più grande che questo Pianeta ha di fronte a sé – dice Bill McKibben di 350.org – Pensateci. Gli europei, giustamente, prendono in giro il presidente Trump perché nega il cambiamento climatico. E tuttavia si stanno attivando per costruire uno dei più grandi gasdotti nel mondo, le somme di denaro che vogliono investire in questo progetto sarebbero giustificate solo se TAP fosse operativo per interi decenni. Fondamentalmente, l’Europa e i governi nazionali che sono coinvolti stanno dicendo che “nel 2017 ci aspettiamo che l’Europa sia ancora dipendente dai combustibili fossili”». «TAP arriva proprio nel momento in cui il costo delle energie rinnovabili sta crollando. Qualunque prospetto giustificasse la costruzione del gasdotto qualche anno fa oggi è sicuramente datato: ogni tre mesi il costo dell’energia solare ed eolica si abbassa. E tra cinquant’anni? L’Europa starà ancora pagando un gasdotto che non servirà a nulla, se non come reperto museale di una tecnologia arcaica. Questo era lo scopo preciso della Conferenza di Parigi sul clima (COP21): dovevamo smettere di costruire nuove infrastrutture per i combustibili fossili, e abbandonare progressivamente la dipendenza dal gas e dal petrolio che avevamo già estratto».