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Riscoprire se stessi in un abbraccio

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I percorsi di guarigione attraverso la figura genitoriale sono sempre più diffusi. La dottoressa Giovanna Camana, psicologa, ce ne parla in questa intervista.
Malattie e disagi psichici avrebbero alla base un denominatore comune: l’incapacità di una persona di trovare una collocazione nel mondo a causa di un’identità che fatica a riconoscersi e ad affrancarsi. E in una società che ci disorienta e spesso ci abbandona, il faro di riferimento non può che essere chi per immagine e somiglianza può darci una conferma d’identità: il nostro genitore omologo. Tornare tra le braccia del padre o della madre ha un valore profondo e curativo, sia per l’anima che per la mente, perché ci aiuta a riconoscere chi siamo e quali sono le nostre origini. Si può dunque curare il disagio psichico ricorrendo ai rapporti primari tra genitore e figlio, a maggior ragione se nel percorso verso il benessere mentale si coinvolge il genitore del proprio stesso sesso.

A spiegarlo è la dottoressa Giovanna Camana, direttrice del Centro italiano di ricerca scientifica operativa nella psicanalisi e nell’educazione di Milano, impegnata con il suo team di operatori a osservare gli effetti che si producono quando un genitore viene coinvolto insieme al paziente nella seduta psicanalitica. L’approccio fu messo a punto dal dottor Vittorio Volpi, scomparso nel 1998: partì dal concetto di identità personale per comprendere, al di là delle classificazioni sintomatiche, i vari disturbi, intesi come reazioni alle interferenze che una persona ha subito negli aspetti più delicati della sua crescita umana. Attraverso un’analisi e un confronto consapevole della sua identità con il genitore del suo stesso sesso, l’individuo può usufruire di un aiuto costante a cui ricorrere in tutti i tipi di difficoltà, anche quelli della psiche. E questo approccio è andato diffondendosi tra i professionisti che ora lo applicano spesso in differenti situazioni e casistiche.
Dottoressa Camana, spesso ci si rivolge allo psicologo nei momenti di disagio psichico ed emozionale, dai disturbi nei bambini alle crisi nella vita di coppia, fino alle tensioni sul lavoro. Come può aiutare l’approccio basato sul genitore omologo in tali differenti situazioni?
Nella seduta di psicanalisi si può scegliere di far partecipare il genitore dello stesso sesso del paziente perché, essendo la persona più simile al figlio o alla figlia, la sua presenza fornisce elementi più precisi rispetto a ciò che, in un percorso psicanalitico tradizionale, emerge dall’osservazione delle relazioni solo da parte dello psicoterapeuta. Questo rapporto padre-figlio, madre-figlia, che risale agli albori della vita, può essere riscoperto creando un contesto favorevole dove riesca a esprimersi efficacemente e in cui il paziente si senta sostenuto dal proprio genitore nell’analisi e nella cura dei disturbi.
A volte le malattie psichiche emergono proprio in famiglia: come si fa a guarire partendo da quello che, almeno in apparenza, sembra la causa della malattia?
Si cerca di creare un contesto neutrale in cui sollecitare il richiamo e la riconferma dell’identità originaria tra genitore-figlio attraverso il gesto dell’abbraccio, che il genitore rinnova verso il figlio come era avvenuto quando era lattante. Questo gesto antico, tuttora percepito nella sua valenza affettiva, è da intendersi come latore di un “riconoscimento”, come “costanza dell’immagine” del figlio che il genitore conserva nel corso degli anni e che permette al figlio di riprendere il proprio sviluppo. In questo contesto lo psicanalista compie un atto di umiltà. Pur essendo allenato alla modalità di ascolto empatico e restando il promotore indispensabile dell’incontro, non può accedere a tutte le emozioni racchiuse in un abbraccio tra genitore e figlio. L’operatore ha il compito di accompagnare e sostenere, ma il processo appartiene a padre e figlio o madre e figlia e sono i figli a decidere se avvalersene. Il gesto dell’abbraccio in seduta permette di percepire, distinguere e analizzare pensieri, stati d’animo e convinzioni dell’uno e dell’altro. Sulla personalità del figlio o della figlia ha un effetto positivo e decisivo.
Il valore centrale della famiglia nel percorso di cura delle malattie mentali come si traduce nelle situazioni in cui la famiglia non c’è o è fortemente compromessa?

Quello che conta è il rapporto. Nemmeno le malattie mentali del padre o della madre intralciano il percorso di cura. Nel caso in cui, invece, il genitore omologo non c’è, tutto è di sicuro più faticoso soprattutto nel caso delle adozioni, dove i nuovi genitori sono i “continuatori” del rapporto primario con i genitori d’origine di cui talvolta si sa poco o niente. Ma come spesso capita, la loro disponibilità ad aiutare i figli fa sì che questi ultimi li percepiscano come collegamento tra la ricerca di guarigione e quell’amore primario sconosciuto e sepolto dentro di loro.
Una revisione costante della nostra identità è un allenamento a cui dovremmo ricorrere tutti per vivere in modo sereno?È utile il recupero consapevole del rapporto col genitore omologo sia come strumento clinico sia come “radar” per orientarci nelle varie fasi e contingenze della vita personale; è uno strumento valido per conoscere noi stessi, per poter vivere senza rifiutare aspetti dolorosi della nostra storia personale e per assumerci le responsabilità cui andiamo incontro vivendo.

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