Co-abitare è una scelta sempre più diffusa ma non riconosciuta dal diritto positivo. Per questo le comunità presentano una proposta di legge, di cui si è parlato nella conferenza di giovedì 26 ottobre a Roma.
Ecovillaggi, cohousing, condomini solidali, ovvero le comunità intenzionali, sono realtà sempre più diffuse sul territorio nazionale: “si tratta di un fenomeno che trae origine dalla comuni utopiche dell’800 e movimenti hippie degli anni ’60” come fa notare la professoressa Donata Francescato e che “assumono oggi una forma adatta e praticabile anche per gruppi di persone che partono da stimoli o bisogni diversi” sottolinea Andrea Stagliano, co-presidente Rive “e si mostra come un fenomeno spontaneo, presente anche nel panorama internazionale, che coinvolge migliaia di persone anche se ancora oggi molte comunità restano sconosciute”.
Le comunità intenzionali sono costituite da gruppi di cittadini che decidono di intraprendere un percorso comune definito da un progetto ispirato ad un ideale comune, di cui l’abitare ne è la manifestazione primaria e più concreta. Le comunità sono molto diverse fra loro ma condividono essenzialmente degli aspetti quali la prospettiva ecologica dell’abitare, la rielaborazione di un tessuto sociale basato sulla reciprocità, una diversa gestione del potere e la sperimentazione di sistemi economici complementari. Sono stati più volte definiti dei
“laboratori di sperimentazione ecologica e sociale” durante le quattro ore di conferenza.
La legge propone delle soluzioni per sciogliere le criticità che il sistema giuridico italiano pone nei riguardi dei cittadini che sposano la vita comunitaria e attuano la condivisione con soggetti non facenti necessariamente parte del proprio nucleo familiare.
In particolare è emersa la possibilità di agevolare le comunità nell’acquisire o custodire terreni e complessi abitativi inutilizzati e rianimarli attraverso pratiche di autocostruzione e/o autorecupero. Non meno importante, è diventare entità riconoscibili per le pubbliche amministrazioni, che potrebbero trovare nelle comunità ecologiche, sia un supporto nella cura del territorio che un alleato nella gestione della complessità, sia nell’animazione partecipante della cittadinanza che facendosi custodi della sicurezza e della protezione sociale. Il perché? Perché nelle comunità intenzionali sono pratiche quotidiane dalle quali non è possibile prescindere.
Ogni giorno infatti, nei cohousing e negli ecovillaggi si prendono decisioni insieme, si affrontano criticità relazionali e di conflitto, si lavora fianco a fianco e si condivide paure e sogni nella speranza di cambiare il paradigma culturale, passando da una società competitiva e consumista ad una società cooperativa capace di assicurare libertà consapevole e una sobria abbondanza per tutti.
Da sinistra: Roberto Sparagio presidente Conacreis, Francesca Guidotti autrice del libro Ecovillaggi e cohousing (Terra Nuova edizioni), Andrea Stagliano co-presidente RIVE, Chiara Casotti Rete italiana cohousing, Mirko Busto parlamentare M5S, Riccardo de Amici portavoce di Ecolise e consigliere di GEN-Europa, Patrizia Mosso M5S
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La conferenza ha permesso di disegnare un quadro sul fenomeno delle comunità intenzionali complesso e articolato. Ha spaziato da interventi di grande respiro internazionale, come quello di Martina Grosse-Burlage, rappresentante del Gen (
rete europea ed
internazionale degli ecovillaggi) o di Riccardo De Amici, portavoce di
Ecolise (rete europea in cui collaborano le reti di ecovillaggi, permacultura, decrescita e transizione) a considerazioni più intime, che hanno sottolineato ancora una volta la stretta connessione che c’è tra i grandi cambiamenti, politici e culturali, e le grandi rivoluzioni di consapevolezza e coscienza personale.
Con molta probabilità dovremo ancora aspettare qualche anno per l’adozione della proposta di legge da parte del Parlamento. Ma per migliorare la qualità della nostra vita, possiamo iniziare adesso, traendo ispirazione dalle esperienze concrete di comunità presenti nella nostra penisola.