Le tecniche sono essenzialmente due: impasto diretto e indiretto.
Il metodo diretto prevede che tutti gli ingredienti vengano amalgamati contemporaneamente, e che l’impasto venga lasciato lievitare, per poi trarne le forme e cuocerle.
Il metodo indiretto invece vede una prima lavorazione in cui la maggior parte (o tutto) il lievito viene unito ad acqua e farina (senza sale), e il tutto viene lasciato lievitare per un certo tempo in modo da formare una massa che dia forza all’impasto finale.
Il primo miscuglio di lievito (che sia di birra o naturale), acqua e farina può chiamarsi biga, poolish, crescente o lievitino, od avere innumerevoli altri nomi a seconda del rapporto fra acqua e farina (il poolish è più liquido della biga), del tempo di lievitazione o delle denominazioni regionali. Da questo impasto, a fine lievitazione, si trarrà il malloppino di pasta acida da tenere per la panificazione successiva; un pezzo grande quanto un pugno.
Il sale va tenuto lontano dal lievito perché ne limita l’azione, e comunque non deve superare il 2% della farina complessiva. Tutti i lieviti infatti, come qualunque altra cellula, se sottoposte ad alte pressioni esterne, come quelle dovute a soluzioni “salate”, tendono a cedere l’acqua presente al loro interno (osmosi) e a “seccarsi”. Basse presenze di sale hanno effetti benefici sull’impasto perché lo rendono più elastico e meno appiccicoso, favorendo la formazione del glutine.
Anche gli zuccheri fanno aumentare la pressione osmotica ma in maniera molto minore, e quantità sotto il 4% possono invece sostenere la fermentazione.
La tradizione prevede che si impasti partendo dalla “fontana”: si forma un “vulcano” di farina, si mettono nel mezzo gli altri ingredienti (acqua e lievito) e ci si imbratta tutti oltre a spargere acqua da tutte le parti.
Se non si vuole rispettare la tradizione si può diluire il lievito con l’acqua in una ciotola, unire un po’ di farina e mescolare con un cucchiaio aggiungendo farina finché l’impasto non diventa maneggiabile. Sarà ancora molto appiccicoso ma versandolo sul piano di legno coperto di farina (poca per volta) si lavora benissimo senza fare diventare anche noi parte dell’impasto.
L’unico attrezzo per la lavorazione del pane che è consigliabile di acquistare è l’apposita spatola, che aiuta a cominciare a impastare quando la massa è ancora molto appiccicosa e permette di evitare che metà dell’impasto resti attaccato all’asse, altro strumento essenziale.
Una volta che il tutto sta insieme si prende un lembo (destra, sinistra o sopra) e si porta verso il centro, poi con i palmi si fa scivolare sul piano di legno fino a ricreare la forma ovale. Alcuni sono molto violenti e “strappano” la superficie, ma è preferibile che l’azione sia forte ma morbida.
La farina sul piano deve essere solo quella necessaria a evitare che l’impasto si attacchi. L’impasto finito deve poter ancora scendere fra le dita tenendolo in mano con le dita aperte.
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Se da tempo sognate di fare il pane in casa o se ci avete provato ma non siete soddisfatti dei risultati ottenuti fino ad oggi, questo è il libro che fa per voi. In «Facciamo il pane» l’autrice ha raccolto i risultati della sua pluriennale esperienza e quella di altri panificatori casalinghi nella preparazione del pane a lievitazione naturale, cioè utilizzando la pasta madre o la cosiddetta lievitazione acida.
Oltre alle ricette classiche a base di farina di frumento, questo libro riporta le indicazioni per preparare il pane con altri cereali (segale, grano saraceno, orzo, mais, riso), le ricette per pani speciali, focacce, cracker, taralli, e alcuni suggerimenti specifici per fare il pane senza glutine. Completano il volume le ricette per i pani dolci: dall’immancabile panettone, ai cornetti alle noci, per finire al pan brioche e allo Stollen.
Nel libro si trovano inoltre precise indicazioni per la scelta degli ingredienti, per la cottura (nei forni di casa o nel forno a legna) e suggerimenti per conciliare questo gustoso piacere con il proprio ritmo di vita.