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Forme galeniche

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Quando usiamo preparati erboristici capita di sentir parlare di forme galeniche, in riferimento ai metodi di lavorazione delle piante. Ma da cosa deriva questo nome? E quali sono le principali tipologie?
Le forme estrattive sono chiamate galeniche perché un tempo le piante officinali venivano lavorate nelle cosiddette officine galeniche. Oggi, con l’evoluzione della tecnologia e dei moderni laboratori, esistono numerose preparazioni, sempre più sofisticate. Una prima distinzione da fare tra i vari preparati è sicuramente lo stato della pianta di partenza: può essere fresca oppure essiccata. Lavorare una pianta appena raccolta è molto differente che lavorare un vegetale che ha perso gran parte della sua linfa vitale. Appena recisa una pianta comincia il processo di degradazione dei suoi principi attivi, ossia l’involuzione verso la morte attraverso reazioni chimiche che la renderanno nutrimento di altri esseri viventi. Nel vegetale essiccato siamo ben oltre l’inizio del processo; ciò vuol dire che nella pianta saranno avvenute delle modificazioni sostanziali a livello dei principi attivi. Il fitocomplesso originario è compromesso.
I vantaggi della droga secca sono principalmente due: il primo è la disponibilità della pianta in tutto l’arco dell’anno, il secondo la comodità dell’estrazione dei principi attivi che può avvenire in ogni momento.
Il vantaggio della droga fresca adeguatamente trattata, è la coerenza fitoterapica, cioè la conservazione della maggior parte dei principi attivi della pianta. Il fitocomplesso originario non è compromesso del tutto; la percentuale dei costituenti sarà sicuramente minore ma simile, nella chimica, a quella di partenza. I solventi con i quali vengono estratte le molecole attive sono fondamentalmente tre: l’acqua, l’alcol e l’olio, e ognuno di essi estrae principi differenti.

Tintura madre

Le tinture madri vengono preparate secondo i severi canoni della Farmacopea Francese e la Farmacopea Omeopatica tedesca. Le piante vengono raccolte e lavorate immediatamente. Quelle succulente sono pressate e il succo viene miscelato in parti uguali con alcol al 90%; il composto viene poi chiuso in un contenitore per 5 giorni a una temperatura che non superi i 20°. Trascorso questo tempo si filtra il tutto.
Le altre piante meno succose, che sono la maggior parte, subiscono un altro procedimento: prima di tutto si calcola il peso della pianta disidratata usando un campione, poi si trita tutta la droga fresca e si mette a macerare in una soluzione di acqua e alcol per 21 giorni, agitando frequentemente.
Il rapporto finale fra pianta (considerata disidratata) e estratto dovrà essere di 1:10. Dopo la macerazione si filtra, si spreme la pianta e si aggiunge il liquido rimanente al resto. Se è necessario si corregge il titolo alcolico e si lascia a riposo per 48 ore, dopodiché si filtra nuovamente. Le tinture madri, denominate con la sigla T.M., fanno parte delle preparazioni omeopatiche e sono considerate preparati medicinali solo da determinati laboratori che producono medicinali, appunto. Per questo motivo, nel settore degli integratori alimentari si sono sviluppate delle preparazioni del tutto simili che però vengono chiamate soluzioni idroalcoliche da pianta fresca.

Macerato glicerinato semplice e spagyrico

I gemmoderivati (M.G.) sono preparati di recente scoperta, formulati da autorevoli ricercatori francesi. La pianta di partenza è rigorosamente fresca, ma a differenza di altre estrazioni, in questo caso si utilizzano i tessuti embrionali del vegetale, quelli ancora in via di sviluppo. Si possono utilizzare le gemme, i giovani getti, gli amenti e la scorza delle giovani radici. L’innovazione di questi preparati sta proprio nella scelta delle parti ancora in fase di accrescimento, costituite da cellule indifferenziate che possiedono in toto tutte le informazioni relative alla pianta e quindi tutto il potenziale terapeutico. Dopo la raccolta si procede, come la T.M., calcolando il peso del vegetale disidratato e s’immerge la droga in una miscela di alcol e glicerina in parti uguali per 21 giorni. Il peso della miscela deve essere 20 volte superiore al peso del vegetale secco calcolato sul campione iniziale. Trascorsi i giorni di macerazione si procede alla filtrazione, alla spremitura del marco (la droga sul fondo del contenitore) e successivamente alla conservazione del preparato per 24 ore in frigorifero. Dopo una seconda filtrazione il liquido viene diluito alla prima decimale hahnemanniana, cioè una frazione di questo viene miscelato con 9 parti di un composto formato da 50 parti di glicerina, 37 di alcol e 13 di acqua.
Il grado alcolico a prodotto finito dovrà essere di 38°. Il macerato glicerinato spagyrico riprende la tradizione spagirica alchemica delle antiche preparazioni vegetali. Il procedimento è simile con l’aggiunta di alcuni passaggi che rendono il rimedio ancora più interessante. Il residuo del materiale vegetale, una volta fatto macerare, non viene buttato ma calcinato (bruciato per così dire) in modo da ottenere i sali purissimi della pianta. Il procedimento è molto lungo e necessita di forni ad alte temperature. Una volta ottenuto questo materiale finissimo e bianchissimo lo si aggiunge al macerato e si pone il tutto a circolare in due palloni di vetro, in modo che ci sia una continua evaporazione e condensazione. La circolazione è uno dei passaggi fondamentali della Spagyria perché dinamizza il rimedio rendendolo più potente e lo invecchia, rendendolo più buono.

Olio essenziale

La maggior parte delle piante aromatiche sono distillate in corrente di vapore. La droga viene posta su una griglia dentro dei bidoni di acciaio inox ed è fatta attraversare dai vapori acquei sottostanti. Questi, carichi di olio essenziale (O.E.), passano attraverso una colonna di vetro refrigerante condensandosi e raccogliendosi in un’apposita ampolla. L’acqua, essendo più pesante, si trova sotto l’essenza e viene fatta colare aprendo un rubinetto alla base dell’ampolla. L’olio, facilmente ossidabile, viene conservato al riparo dal calore e dalla luce ad una temperatura inferiore a 25°.
L’acqua aromatica restante, spesso viene ulteriormente distillata e purificata per essere utilizzata come collirio o in cosmesi come tonico per la pelle. Un altro metodo estrattivo dell’olio essenziale è la spremitura a freddo, sostanzialmente usata per gli agrumi. Vengono usati dei torchi e la miscela di acqua e olio ottenuta viene separata mediante centrifuga. Nel caso di piante con molecole molto sensibili al calore, si usano tecniche estrattive coadiuvate da solventi. In questi casi è bene usare il prodotto solo per uso esterno e per l’ambiente, a causa della possibile presenza in tracce di sostanze estrattive.

Oleolito

La preparazione degli oleoliti è forse la più semplice. La pianta fresca o secca viene immersa in un olio fisso come quello di mandorle, oliva o sesamo e lasciata in macerazione dai 30 ai 90 giorni. Solitamente per 200 g di droga si utilizzano 1000 g di olio. Trascorso il tempo necessario si procede in due modi differenti: se la pianta di partenza è secca si spreme e dopo 24 ore di riposo si filtra il tutto, mentre se la pianta è fresca bisogna dividere l’olio dall’acqua rilasciata dalla droga stessa.

Quintessenza

La parola stessa spiega la particolarità del preparato che fa sempre parte dell’arte spagyrica, volta alla lavorazione delle piante. Il concetto fondamentale che sta alla base di questa pratica è formato dalla triade separo-purifico-riunisco. La pianta è scomposta nelle sue parti essenziali che, a loro volta, vengono lavorate fino ad ottenere il massimo della purezza; il tutto, poi, viene riunito per creare un qualcosa di veramente unico. Per ottenere la quintessenza (Q) si procede in un primo momento distillando la pianta in corrente di vapore, pressappoco come accade per l’olio essenziale semplice. Dopo una prima distillazione si continua a farne altre con particolari alambicchi fino ad ottenere un olio purissimo privo di residui. Avremo raggiunto così quello che, oggi come in passato, viene chiamato Zolfo, il primo principio.
La pianta restante viene posta in un bidone insieme al liquido rimasto della distillazione; attraverso una complessa e lunga metodica si procede alla fermentazione in modo da ottenere il secondo principio, il Mercurio. In pratica, passato il tempo necessario, si filtra il fermentato e lo si pone a distillare nuovamente per ottenere l’alcol etilico. Anche questo processo è delicato e richiede molto tempo per raggiungere la purezza del nuovo principio. Ciò che rimane della pianta, dopo la distillazione e la fermentazione, viene calcinato, ossia bruciato fino ad arrivare alla cenere bianca. Dopodiché, con una serie di passaggi e l’utilizzo di forni ad altissime temperature, si ottengono i sali della pianta senza alcuna impurità. Siamo arrivati al terzo principio, il Sale, la parte non volatile della pianta.
La più alta qualità del rimedio è data dalla successiva riunificazione di Zolfo, Mercurio e Sale e dalla loro circolazione. L’olio essenziale, l’alcol e i sali vengono uniti e posti in due palloni di vetro per l’ultimo processo, la circolazione, che come ho spiegato per i macerati, dona al rimedio qualità ed efficacia superiori.

Estratto molle, secco e fluido

Questi preparati hanno la caratteristica di essere piuttosto concentrati e di agire in modo sintomatico, cioè più velocemente e in modo diretto di altre preparazioni. Lavorano più in superficie e non sempre risolvono il problema alla radice. La preparazione avviene attraverso vari passaggi partendo dalla droga secca che è polverizzata finemente. Viene poi bagnata con un solvente idroalcolico e lasciata a macerare per 12 ore. Successivamente si pone la pianta in un contenitore particolare, chiamato percolatore, e si lascia a riposo per altre 24 ore coperta col solvente. Il passaggio successivo consiste nell’aprire il rubinetto posto in fondo al contenitore, facendo scolare il liquido e aggiungendo solvente dall’alto fino a che la droga non smette di rilasciare componenti. A questo punto, la soluzione ottenuta viene concentrata attraverso l’evaporazione parziale o totale del solvente arrivando all’estratto molle, nel primo caso, e all’estratto secco (E.S.) nel secondo caso, dove la parte acquosa e alcolica sono evaporate del tutto.
La tecnica può essere semplice, ponendo una fonte di calore per agevolare la salita del vapore oppure si può proseguire con una distillazione sotto vuoto a temperatura non superiore ai 50°. Per quanto riguarda la preparazione dell’estratto fluido (E.F.), il processo avviene sempre per percolazione senza l’evaporazione del solvente, facendo in modo di ottenere alla fine, un rapporto droga/ estratto 1:1: ciò vuol dire che per 1 g di pianta si ottiene 1 g di estratto.
Gli estratti secchi, a differenza di altre preparazioni, possono essere standardizzati. Nelle etichette dei prodotti, infatti, è possibile trovare la dicitura “standardizzato” col relativo titolo di specifici principi attivi.
In pratica il suddetto estratto è formulato in modo tale da avere una quantità precisa e costante di costituenti attivi del rimedio. In natura, una stessa pianta cresciuta in terreni differenti, può presentare un pro filo fitochimico molto diverso con la conseguente estrazione di principi attivi altrettanto diversa. Per questo motivo, quando diventa necessario avere una precisa quantità di uno o più costituenti determinanti della pianta per ottenere l’effetto desiderato sull’organismo, si ricorre agli estratti secchi standardizzati.

Tintura idroalcolica

Solitamente, le tinture idroalcoliche sono ottenute partendo dalla pianta essiccata. I metodi estrattivi sono principalmente due: la macerazione in solvente come la tintura madre o la percolazione. Spesso, è possibile trovare tinture derivate dagli estratti fluidi opportunamente diluiti.
La farmacopea ufficiale ha stabilito il rapporto droga/solvente nella misura di una parte della prima per dieci o cinque parti del secondo.

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