Vai al contenuto della pagina

Che pesci pigliare?

homepage h2

Spesso considerato come l’alternativa salutare alla carne, in realtà anche il pesce, soprattutto se allevato, presenta numerose problematiche. E non solo di natura etica…
Chi non è vegetariano, considera il pesce l’alternativa salutare alla carne, ma ormai sempre più spesso anche per questo alimento si presentano problemi di contaminazione dovuti all’inquinamento del mari dove vive, o all’uso di farmaci e sostanze chimiche negli allevamenti dove viene cresciuto.
Gli allevamenti ittici, cioè l’acquacoltura, sono nati negli anni ’70 come ipotetica soluzione al rapido e imponente sfruttamento degli stock ittici dei mari e alla parallela e inarrestabile crescita della domanda di pesce. Ci sono sia allevamenti in mare, sia in acqua dolce e pare siano questi ultimi a generare i problemi maggiori per la salute umana e l’ambiente.
Se riguardo al pesce di mare cresciuto libero e pescato i problemi di contaminazione non sono pochi, la situazione non è migliore per i pesci provenienti dagli allevamenti, quasi tutti intensivi.

Diossina, antibiotici, Pcb

Qualche anno fa, la Commissione europea e l’Europarlamento si preoccuparono di fare il punto sugli allevamenti ittici e sulle loro condizioni. Il documento che ne uscì, frutto di una ricerca, sottolineò con preoccupazione l’eccesso di diossina riscontrato nei mangimi e l’uso intensivo di antibiotici in grado di accelerare la crescita. A rilevare una situazione preoccupante sono stati il comitato scientifico per il cibo (Scf) e quello per l’alimentazione animale (Scan), secondo cui le farine e l’olio di pesce sono i mangimi più contaminati dalla diossina. Sia i pesci di mare usati per realizzare questi mangimi, così come i pesci d’acqua dolce allevati che tali mangimi consumano, avrebbero un livello di contaminazione di diossina (e derivati) molto più alto rispetto alla carne di pollo, manzo, maiale e vitello.
Secondo il portavoce del commissario della Ue per la salute e la protezione dei consumatori, l’irlandese David Byrne, i maggiori rischi scaturirebbero dall’inquinamento del Mare del Nord e del Baltico, dove vengono pescate grandi quantità di pesce utilizzato per i mangimi degli allevamenti ittici. I pesci più a rischio di accumulo diossina sono quelli di pezzatura più grossa, come ad esempio il salmone, soprattutto se questo è allevato in vasche che ne restringono al massimo la possibilità di movimento.
Anche l’Efsa, l’Ente europeo per la sicurezza alimentare, si è posta seriamente il problema dei contaminanti contenuti nei pesci d’allevamento, come ad esempio i Pcb, i policlorobifenili, presenti in quantità che si raccomanda di diminuire o eliminare. I pastoni a base di grasso di pesce pescato in zone inquinate sono la causa principale dell’accumulo di Pcb nei pesci allevati; un salmone è in grado di accumulare concentrazioni di Pcb 20-30 volte superiori a quelle che si trovano nel mangime stesso e nell’ambiente circostante. Inoltre, i pesci d’allevamento vengono velocemente e intenzionalmente ingrassati ed è proprio nel grasso che le sostanze chimiche si accumulano maggiormente.
I Pcb sono in grado di alterare il meccanismo di funzionamento degli ormoni prodotti dalla tiroide, sembrano interferire con lo sviluppo del sistema nervoso e sono stati classificati dalla Iarch (International agency for research and cancer) come probabili cancerogeni per líuomo; occorre quindi fare molta attenzione.

I rischi dell’allevamento

L’allevamento dei pesci, secondo la pratica corrente, viene distinto in tre fasi: la riproduzione, lo stadio larvale e líallevamento. Nella fase della riproduzione in alcuni casi vengono praticate iniezioni di ormoni e nella fase di allevamento il mangime Ë artificiale. La Fao ha previsto che nel 2030 la produzione globale di pesce dovrà aumentare di altri 40 milioni di tonnellate per soddisfare líenorme aumento della domanda globale. Ciò comporterà il raddoppio della produzione ittica da allevamento, con conseguente aumento della contaminazione ambientale: acque reflue, deiezioni animali, mangime non consumato e residui di farmaci o disinfettanti eventualmente utilizzati che possono rimanere sia nell’ambiente che nei tessuti dei pesci.
L’acquacoltura implica anche uno sfruttamento consistente delle risorse idriche sia per via diretta, come nel caso degli impianti off-shore in cui la popolazione ittica è allevata direttamente in mare, sia per via indiretta, come nel caso degli impianti a terra in cui l’allevamento avviene in vasche artificiali alimentate attraverso sistemi di captazione dell’acqua.
Esiste poi anche il rischio di interazione genetica di animali fuoriusciti dalle gabbie con le popolazioni selvatiche della stessa specie. A illustrare nel dettaglio i rischi insiti nel pesce proveniente da allevamenti intensivi è stato nel 2007 Ettore Tibaldi, noto zoologo dell’Università di Milano. Tibaldi, scomparso di recente dopo una lunga malattia, ha rivestito anche la carica di presidente onorario dell’associazione di studi etologici e tutela delle relazioni con gli animali.
“Il benessere negli allevamenti intensivi è impossibile” ha sostenuto in più di un’occasione Tibaldi. “Il caso più impressionante riguarda l’allevamento del gambero Black Tiger Shrimp, che si trova surgelato anche in Italia e che proviene soprattutto dalla Thailandia. Le vasche sono così ricolme di questi gamberi da esigere la somministrazione in acqua di antibiotici, vitaminici, preparati contro la formazione di schiume, antisettici e disinfettanti fino a rendere, nel giro di pochi anni, inabitabili e quindi inutilizzabili le vasche, tutte scavate all’interno di un ecosistema prezioso come la foresta a mangrovie. La superficie occupata dalla vasca non è più riconquistata alla vita della foresta per almeno una trentina d’anni. Le norme relative alla densità non sono operative, perchè molti tecnici confidano sul fatto che basti ricambiare rapidamente l’acqua per assicurare l’abitabilità delle vasche, ma non è sempre così. Molti allevamenti intensivi, come le gabbie di salmoni nel Mare del Nord, scaricano feci e mangime inutilizzato in grande quantità danneggiando l’ecosistema e determinando condizioni insostenibili”.
Oltre ai rischi legati ai residui presenti nei mangimi e nei farmaci, i pesci d’allevamento si caratterizzano anche per il più basso valore alimentare. Com’è noto, dal punto di vista nutrizionale, l’aspetto più positivo del consumo di pesce è rappresentato dalla qualità dei grassi in esso contenuti. A differenza di quanto accade nelle carni, nei prodotti ittici troviamo in maggior parte acidi grassi polinsaturi e in particolare di Epa (acido eicosapentaenoico) e Dha (acido docosaesaenoico), riuniti comunemente sotto la dicitura di Omega 3, che agiscono positivamente sul colesterolo, diminuendo il rischio d’insorgenza di malattie cardiovascolari.
Tuttavia, se si analizza la qualità e la quantità dei grassi dei pesci d’allevamento e di quelli cresciuti in mare aperto, le differenze possono essere notevoli. Mentre in un’orata cresciuta in mare aperto la quantità totale di grassi è mediamente intorno a 3,8%, nello stesso pesce allevato i lipidi salgono a più del doppio (8,4%). Oltre al maggiore contenuto, peggiora anche la qualità stessa dei grassi: il rapporto polinsaturi/saturi scende da 1,40 a 1,10 e il contenuto di Omega 3 si riduce più del doppio, dall’1,41% allo 0,67%.

Le alternative possibili

Una possibile soluzione per ridurre l’elevato impatto ambientale degli allevamenti ittici e migliorare il valore nutrizionale dei pesci allevati è l’acquacoltura biologica, che oltre a tutelare maggiormente l’ambiente marino, offre al consumatore garanzie sulla qualità organolettica del prodotto. Il sistema si basa su un rigoroso controllo di tutte le fasi di produzione del pesce, in impianti strutturati in modo da mantenere inalterate le caratteristiche del territorio circostante, mantenendo un alto livello di salute e benessere degli organismi allevati e interferendo il meno possibile sul comportamento naturale degli animali.

L’insostenibilità ambientale

Certo è che, anche se indirizzato verso prodotti sicuri per la salute, il consumo di pesce sta raggiungendo livelli insostenibili per la fauna ittica, sia essa selvatica che d’allevamento. Secondo un recente studio apparso sulla rivista Nature, nel giro dei prossimi quarant’anni tutte le popolazioni selvatiche di pesci crolleranno del 90% e alcune rischieranno addirittura l’estinzione.
La popolazione del Pianeta sta crescendo e presto non ci sarà pesce per tutti. Oggi 125 milioni di persone in Giappone consumano circa 10 milioni di tonnellate di pesce all’anno. Se la popolazione della Cina, composta da 1,25 miliardi di persone, dovesse mangiare pesce con la stessa proporzione, avrebbe bisogno di 100 milioni di tonnellate, l’intera pesca mondiale.
In Italia il consumo di pesce, decisamente aumentato negli ultimi decenni, è pari a 21 Kg pro-capite e dipende largamente dalle importazioni estere. Risulta quindi ovvio che non è sufficiente pensare ad allevamenti biologici, ma occorre anche ipotizzare e pianificare un contenimento della richiesta di pesce prima che si arrivi ad un irrimediabile tracollo.
Che fare, dunque? E’ evidente che ormai i prodotti animali, carne o pesce che siano, rappresentano una fonte di cibo sempre più critica e non solo per chi ha a cuore le inutili sofferenze inflitte agli animali e la qualità nutrizionale dei prodotti ottenuti. Nei giorni scorsi, in Germania, l’Agenzia governativa dell’ambiente (Uba) ha consigliato ai suoi concittadini di mangiare carne solo la domenica e nelle altre feste comandate, questo perchè gli allevamenti sono responsabili del 15% delle emissioni di gas serra.
Oggi essere vegetariani non è più solamente una questiona etica: rivedere i consumi nella direzione di una maggiore presenza di prodotti vegetali è ormai una scelta obbligata non solo per la nostra salute, ma soprattutto per quella del Pianeta.
I più allevati
Anguilla. Viene allevata in intensivo (vasche) in acque dolci.
Carpa. Gli impianti sono di tipo estensivo (stagni) con acqua dolce.
Cefali. E’ oggetto di acquacoltura integrata, estensiva o semiestensiva, soprattutto nelle valli da pesca del Nord Italia o nelle lagune costiere.
Coregone. E’ allevato nei laghi subalpini e del centro Italia.
Gamberoni o mazzancolle. Vengono allevati in acque marine o salmastre in intensivo, estensivo e semintensivo.
Luccio. E’ un pesce di lago, dei grandi fiumi e dei canali.
Orata. si alleva nelle valli, in vasche ed in mare aperto.
Pesce gatto. Allevato in stagni con profondità inferiore a 5 metri.
Spigola o branzino. E’ oggetto di allevamento intensivo (vasche e gabbie) ed estensivo (lagune e valli) in acque marine e salmastre.
Storione cobice. Allevato in acqua dolce in stagni (estensivo) e vasche (intensivo).
Trota iridea. Viene allevata in vasche (impianti di tipo intensivo).
Visita www.terranuovalibri.it lo shop online di Terra Nuova

Leggi anche

Per eseguire una ricerca inserire almeno 3 caratteri

Il tuo account

Se sei abbonato/a alla rivista Terra Nuova, effettua il log-in con le credenziali del tuo account su www.terranuovalibri.it per accedere ai tuoi contenuti riservati.

Se vuoi creare un account gratuito o sottoscrivere un abbonamento, vai su www.terranuovalibri.it.
Subito per te offerte e vantaggi esclusivi per il tuo sostegno all'informazione indipendente!