“In questo mese cresceva ogni cosa e questo ci dava molta soddisfazione. Si cercava di avvantaggiarsi in tutti i lavori del podere per liberare le prossime settimane per quello più faticoso dell’anno: la raccolta”… La civiltà contadina raccontata da “Il libro di Pietro”: una testimonianza appassionata dei riti e delle durezze, delle forme di solidarietà e dei saperi di un universo mezzadrile ormai scomparso.
Si continuava a zappare perchè quello era un lavoro che non finiva mai e si lavorava nell’orto per incalzare le patate e levare le erbacce.
Poi bisognava curare le viti. In giugno buttavano troppa foglia, allora si levavano diversi tralci e si davano da mangiare ai maiali e alle bestie.
Così il sole arrivava meglio all’uva che ormai cominciava a gonfiare. A questa bisognava dare anche lo zolfo con una macchinetta, se no si ammalava. Si dava poi l’acquetta a tutte le vigne e anche agli olivi se c’era bisogno.
Ora faceva caldo, allora cominciavamo a lavorare presto la mattina, alle cinque faceva già luce. Durante le ore più calde ci si riposava un po’ sul letto. Naturalmente si andava scalzi, nessuno portava gli zoccoli da marzo in poi. I piedi diventavano duri, si poteva camminare anche sui sassi senza sentire niente.
A proposito di piedi duri, vi racconto una storia vera. Spesso i contadini lasciavano il lavoro verso le undici per via del caldo, allora riempivano il tempo andando dal fabbro per farsi assottigliare le zappe. A volte si trovavano in diversi, allora facevano un po’ di mercato mentre aspettavano il loro turno.
Un giorno erano lì e sentivano un puzzo di bruciato, di rosticcio. Allora si chiedevano “che brucia, che non brucia”, ma non riuscivano a capire da dove veniva quell’odore. Fatto sta che il fabbro aveva appena fatto la bozza di un coltello a petto e l’aveva buttata a terra perchè si doveva freddare prima di essere arrotata.
Il Begna, uno dei contadini, l’aveva pestata con il calcagno del piede e gli friggeva il callo ma lui non se ne accorgeva, se ne accorsero quelli intorno. Dissero: “Sei tu che bruci!” Con il callo alto che aveva non sentiva niente.
Un giorno il Begna andò in cantina a mezzogiorno per prendere il vino e chiuse la porta a chiave come era solito fare. Ci tornò la sera per prendere un’altra bottiglia ma non trovò la chiave, allora gli toccà cenare senza vino. Poi andò a dormire e quando si levò gli zoccoli trovò la chiave dentro uno di loro. Si vede che quando la tolse dalla toppa a mezzogiorno fece per metterla nella tasca del corpetto, invece scivolò giù e gli andò dentro uno zoccolo.
Quel contadino era stato in giro per delle ore con la chiave lì senza accorgersene e le chiavi erano grosse come un dito allora, quello lì aveva il callo alto davvero!
A Casa del Bosco si avevano quattro ettari di grano da mietere: cresceva fra i filari delle viti e anche in mezzo agli olivi. A quei tempi non si sprecava nemmeno un centimetro di terra perchè il grano serviva per fare il pane e se ne mangiava tanto in un’annata. Tutta la famiglia si metteva a mietere con la falce a mano. Veniva a lavorare anche un certo Marzilino che faceva l’operaio agricolo perchè non aveva la propria terra.
Si lavorava anche la domenica, venivano a aiutarci anche gli amici e altri operai. Si andava tutti avanti insieme nel campo, ognuno con la sua striscia e quando si arrivava in cima al campo si beveva un po’ di acqua e poi si ritornava di fondo. Se il grano era ancora verde si metteva disteso per asciugarsi al sole, se era già secco si legava con un filo di grano, facendo delle manne.
Dopo due o tre giorni si mettevano le manne insieme e si facevano dei moncelli, di modo che tutti i chicchi erano al centro del mucchio. Poi si fissava il giorno della trebbiatura…
Laborioso, pragmatico e con un forte senso dell’umorismo, Pietro è un tipico contadino toscano. Ha lavorato la terra con aratro e zappa fin da ragazzo. Nato, come dice lui, «nel Medio Evo», ha visto il mondo che conosceva ed amava diventare storia passata. Fortunatamente per noi ha messo su carta, con l’aiuto di Jenny Bawtree, un resoconto unico di quella cultura contadina che, solo ora che sta morendo, stiamo cominciando ad apprezzare. Pietro inizia la sua storia con una descrizione della sua infanzia sotto il regime fascista. La sua famiglia abitava in un podere del Valdarno, ad una cinquantina di chilometri da Firenze.
Come quasi tutti i mezzadri dell’epoca, viveva in condizioni di estrema povertà. Se si vedeva un contadino sovrappensiero si chiedeva: «Stai pensando ai quattrini del sale?». Oltre ai fiammiferi, infatti, il sale era l’unica cosa che il contadino doveva comprare, il resto lo produceva sul podere. Pietro dedica un capitolo intero ad un anno nella vita di un contadino e così impariamo come faceva il vino e l’olio di oliva, come lavorava la terra con i buoi, come foggiava ceste e scale con il legno di castagno: arti che si stanno perdendo man mano che se ne va la sua generazione. Ma la vita non era solo fatica: i contadini sapevano anche divertirsi. La musica, la poesia e la narrazione di storielle animavano le loro serate «a veglia» intorno al fuoco, condite di un’ironia mordente.
Come dice Pietro «i Toscani fanno battute perfino sul letto di morte!». Pietro stesso suonava la tromba, scriveva poesie in ottava rima ed è tuttora conosciuto localmente per i suoi racconti di contadini, cavalieri e briganti. Anche le cerimonie tradizionali della Chiesa offrivano un diversivo importante. Senza essere un cattolico convinto, Pietro ricorda tali avvenimenti con entusiasmo, anche se diventò comunista dopo la guerra («Cantavamo “Bandiera Rossa” ma facevamo battezzare i nostri figli, che male c’è?»).
La guerra in realtà cambiò poco la vita quotidiana del contadino, ma Pietro se ne ricorda bene, in particolare l’avanzata degli Alleati, nel 1944, quando gli fu offerta la sua prima tazza di tè in prima linea, da un soldato scozzese. Fu dopo la guerra che arrivarono cambiamenti davvero radicali. Alla fine la mezzadria scomparve e Pietro lasciò la sua terra per sempre. Pochi anni dopo iniziò a lavorare al centro di equitazione gestito da Jenny Bawtree, prima come stalliere e in seguito come cuoco. Nel corso degli anni le ha raccontato la sua vita come contadino ed insieme hanno creato questo resoconto pieno di colore, umorismo e con un pizzico di nostalgia.