Vai al contenuto della pagina

«La chemio ha messo a serio rischio nostra figlia, ma volevano imporcela anche se la leucemia non c’era più»

homepage h2

«La chemio ha avuto ripercussioni pesantissime su nostra figlia, i medici l’hanno dovuta interrompere; poi la leucemia è andata in remissione, ma i medici volevano imporci comunque altra chemioterapia». Lo sfogo di due genitori che hanno vissuto un calvario medico e legale. Alla fine, medici e giudici si sono dovuti arrendere all’evidenza.
Barbara Roso e Nicola Benedettini hanno vissuto un calvario prima medico poi legale con la loro figlia di 8 anni, Sofia. Anche se alla fine medici e giudici si sono dovuti arrendere all’evidenza rinunciando a perseguire i genitori di fronte alla remissione della leucemia sulla figlia.
A Sofia era stata diagnosticata la leucemia, quindi i medici avevano proceduto con cortisone e un inizio di chemioterapia. La chemio per lei si è dimostrata da subito molto tossica, l’ha messa in pericolo di vita. Quindi è stata sospesa e la leucemia è andata comunque in remissione. Ma poi i medici volevano imporre il proseguimento del protocollo chemioterapico per “precauzione”. I genitori, a quel punto, si sono rifiutati e i giudici si sono dovuti arrendere all’evidenza. La storia di Sofia è stata pubblicata in un libro, “Giù le mani da Sofia. Sottrarre una bambina alla chemio e restituirla alla vita” (Edizioni SI).

«Sofia aveva 8 anni quando le è stata diagnosticata la leucemia linfoblastica acuta – spiega la madre Barbara –  la malattia è andata in remissione completa dopo appena due settimane. Ci siamo però dovuti scontrare con l’ottusità del sistema medico e la superficialità di quello giudiziario, che volevano portare avanti un protocollo chemioterapico di 24 mesi; già un inizio di chemioterapia l’aveva portata a un passo dalla morte. La ragione dell’ostinazione? Solo e unicamente perché così prevedevano le linee guida, a prescindere. Già con la prima seduta di chemioterapia erano iniziati i guai e, alla terza, nostra figlia ha corso il rischio di invaginazione intestinale, con coliche fortissime. Ne è seguito un blocco intestinale con rischio di perforazione del colon e trasferimento d’urgenza in un altro ospedale, dove le è stata diagnosticata la polmonite. Poi versamento pleurico con conseguente collasso del polmone, i medici sono intervenuti chirurgicamente inserendo due cannule per il drenaggio. Il caso di Sofia ha obbligato il primario di oncoematologia a convocare una riunione con svariati specialisti a livello nazionale e al termine delle consultazioni, vista e considerata la particolare tossicità della chemioterapia su Sofia, hanno deciso di somministrarle temporaneamente come copertura soltanto la terapia di mantenimento domiciliare, che prevede l’assunzione di alcune pastiglie. Nonostante il quadro gravissimo di Sofia, il primario dell’ospedale ci ha sollecitato più volte a riprendere il ciclo chemioterapico, come da protocollo.  Ma la malattia non c’era più e a quel punto il rischio da correre, solo per precauzione, era veramente eccessivo. Ci siamo rifiutati ma, ahimè, siamo stati travolti da tribunali, ricorsi, assistenti sociali e avvocati, come se non fosse bastato il calvario vissuto con la malattia. Oggi Sofia sta benissimo e abbiamo costituito una Onlus per essere di supporto ad altre persone con problemi analoghi».

Quanto è durato l’iter giudiziario?
L’iter giudiziario è durato 10 sfiancanti lunghi mesi, tra entrate e uscite di scena dei medici. Erano tutti in attesa che gli esami di Sofia precipitassero improvvisamente per sentirsi autorizzati a intervenire con la ripresa della chemioterapia senza se e senza ma. Sentendo il parere di alcuni giudici, consultati in seguito a livello internazionale, la sentenza del tribunale non è stata altro che un copia-incolla di quanto sostenuto dai maggiori esperti in oncoematologia pediatrica. Prima dell’ultima udienza, infatti, avendo noi sollevato argomenti scomodi da considerare in altre sedi, il primario aveva suggerito un consulto con i suoi illustri colleghi prima di prendere una decisione definitiva. In conclusione sono stati tutti concordi sul fatto di non saper più come proseguire con Sofia, sui dosaggi da utilizzare, da dove ripartire col protocollo, che garanzie dare. E vista la ferrea volontà di due genitori che si ostinavano a non voler procedere, hanno avallato la nostra richiesta. Nella sentenza si definisce utile un monitoraggio da parte degli assistenti sociali sull’esecuzione dei regolari controlli (che ora sono diventati semestrali). Il fascicolo di fatto non è stato chiuso definitivamente e anche in questo caso qualcuno ci ha proposto di non accettare una sentenza del genere».
Come è stata curata vostra figlia?
Inizialmente abbiamo intrapreso le terapie oncologiche convenzionali. Quando però la situazione è precipitata e abbiamo rischiato di perdere nostra figlia a causa delle terapie utilizzate per combattere una leucemia che di fatto non c’era più, ci siamo fatti delle domande mettendo in discussione qualsiasi cosa. Perché accanirsi con un protocollo della durata di 24 mesi, così tossico e pericoloso solo e unicamente per evitare la recidiva? Sofia avrebbe rischiato nuovamente la vita senza nessuna garanzia solo per cercare di evitare che la malattia… forse… un giorno…. chissà… potesse ritornare. Senza considerare che in quel preciso momento di fatto non c’era più. Ma è prevenzione questa?
Avete subìto pressioni?
Non è stato facile tener testa al terrorismo psicologico di medici e assistenti sociali e né passar sopra ai loro velati ricatti. Io sono stata definita pazza dal primario ospedaliero e anche il nostro avvocato ha confessato di aver pensato inizialmente che fossimo fuori di senno. Ma qui si tratta di buon senso. Certo, sentirsi dire da quelli che tu ritieni esperti che tua figlia morirà sicuramente se non porterà a termine il protocollo oppure che ti verrà sottratta sotto i tuoi occhi per costringerla a fare la chemio è stato paralizzante, ma mai come il pensiero di doverla rimettere, con i suoi esami da bambina normale, di nuovo su un letto di ospedale.
Quali cambiamenti avete introdotto nella vostra vita?
Appena Sofia è stata dimessa, ovvero due mesi e mezzo dopo la diagnosi, abbiamo deciso di mettere in moto una serie di cambiamenti. Ci siamo detti: se c’e una malattia deve esistere anche la causa che l’ha scatenata. Per cui abbiamo variato la nostra alimentazione arricchendola di nutrienti ed evitando tutto ciò che è stato dichiarato cancerogeno, tossico e velenoso o che il nostro corpo non è strutturato a digerire. Il buon funzionamento del sistema immunitario parte dall’intestino e quello che il corpo non metabolizza si trasforma in tossine creando infiammazione. Ci sembrò logico quindi intossicarlo il meno possibile. Abbiamo cambiato acqua, documentandoci a fondo sull’importanza di bere un’acqua viva, simile come energia a quella della sorgente, con numerose altre caratteristiche fondamentali. Abbiamo modificato il nostro atteggiamento e lo stile di vita. Sempre durante le mie numerose ricerche mi ero imbattuta in un video della genetista Mina Bissel la quale aveva verificato che la cellula cambia a seconda dell’ambiente che la circonda. Inoltre, cosa più importante, osservavamo Sofia rifiorire giorno dopo giorno, la vedevamo tornare a scuola e riprendere la sua attività sportiva; era l’ennesima conferma che non stavamo sbagliando. Lei era il nostro ago della bilancia.
Come avete gestito la paura?
Mi hanno sempre dato molto fastidio i ricatti. In genere chi te li fa è perché si sente franare il terreno sotto i piedi e cerca di tenerti in pugno utilizzando il mezzo più subdolo ma efficace: la paura. Se però riesci a oltrepassare quel mostro a sette teste, capisci che la paura è solo nel tuo cervello. Non è facile, ma possiamo modificare gli eventi. Ormai per comodità e ignoranza abbiamo delegato tutto: la salute ai medici, i soldi alle banche e l’anima alla chiesa. Ma quale stimolo più forte per riuscire a uscirne se non il bene supremo per i nostri figli, nostri grandi maestri di vita!
Avete costituito una Onlus. Potete dirci qualcosa di più a riguardo?
Dopo l’ultima sentenza abbiamo voluto cogliere solo il buono di quanto ci era accaduto dandogli un senso. Quello che ci premeva più di ogni altra cosa era incanalare le nostre energie nella formazione di un’associazione, come ci eravamo prefissi di fare appena  finito l’accanimento nei nostri confronti. La Onlus si chiama “Giù le mani da Sofia” e non rappresenta solo il nome di nostra  figlia bensì anche il significato di quel nome in greco: saggezza, conoscenza, sapienza.Tutti abbiamo bisogno di poter scegliere per decidere. Ma per poter scegliere, dobbiamo conoscere, sapere per poi valutare, considerando che per libertà di scelta non s’intende mettere una X sul sì o sul no all’adesione di un protocollo chemioterapico. Libertà di scelta significa sapere che esiste un altro percorso da poter intraprendere. Non  accontentiamoci di quello che ci viene detto (da chiunque) ma verifichiamo, sempre! È necessaria una costruzione originale e incondizionata del proprio modo di rapportarsi alle situazioni. Scopo della onlus, oltre a supportare altri genitori, e condividere le nostre conoscenze, è anche quello di approfondire la causa della malattia perché questa è la vera ricerca: solo lì risiede la chiave per la guarigione. Come scrivo nel libro: “Se noi continuiamo ad imbiancare un muro per coprire la muffa, prima o poi essa ritornerà fuori». La Onlus organizza eventi in cui affrontiamo i temi che ci hanno accompagnato in questo percorso facendoci aprire gli occhi.
E del libro cosa potete dire?
Il libro “Giù le mani da Sofia” non vuol essere un copione di angoscia e tristezza legato alla malattia di un figlio. È un inno alla libertà di cura e come tale si colloca perfettamente nel momento storico che stiamo vivendo. Non solo. Mette in evidenza che se due genitori riescono ad andare contro le imposizioni assurde (protocolli) , spacciate per “cure”, andando oltre la paura, non dando peso alle minacce, superando il terrorismo psicologico, figuriamoci cosa possiamo fare tutti insieme contro un potere sottile che condiziona la nostra percezione e ci priva della libertà di pensiero e di azione. Dobbiamo solo ricordarci che non siamo in balia di forze più grandi di noi, ma che noi siamo la nostra forza più grande. Il libro racconta anche come siamo riusciti a  trovare nell’amore la forza di non mollare mai, circondati da una rete di persone che si sono mosse a livello nazionale e oltre. Ci sono anche documenti che evidenziano come non sia tutto oro quello che luccica e che è bene investire un po’ di tempo per imparare a ragionare con la propria testa anziché rimanere nella propria zona comfort lamentandosi senza agire.

Leggi anche

Per eseguire una ricerca inserire almeno 3 caratteri

Il tuo account

Se sei abbonato/a alla rivista Terra Nuova, effettua il log-in con le credenziali del tuo account su www.terranuovalibri.it per accedere ai tuoi contenuti riservati.

Se vuoi creare un account gratuito o sottoscrivere un abbonamento, vai su www.terranuovalibri.it.
Subito per te offerte e vantaggi esclusivi per il tuo sostegno all'informazione indipendente!