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Figli e lavoro: come cambiano i congedi parentali

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I congedi parentali (cioè i permessi facoltativi dal lavoro concessi ai genitori) sono stati oggetto di recenti modifiche che ne hanno in parte mutato le caratteristiche. Vediamo come.
E’ stata estesa la possibilità per i lavoratori di beneficiarne ma resta il fatto che tale forma di astensione facoltativa dal lavoro comporta, in un primo momento, una diminuzione della retribuzione e, successivamente, il suo annullamento.


Retribuzione ridotta
La legge prevede che le lavoratrici e i lavoratori che decidono di usufruire del congedo parentale hanno diritto, fino al sesto anno di età del bambino e per un periodo massimo complessivo tra madre e padre di sei mesi, a un’indennità pari ad appena il 30% della retribuzione.
Ciò non toglie che, in alcuni casi, il datore di lavoro o i contratti collettivi prevedano trattamenti di miglior favore, con parziale o anche totale integrazione di tale percentuale, anche per periodi di tempo limitati (ad esempio, per i primi trenta giorni di congedo, come avviene nel settore pubblico nel comparto scuola).
Retribuzione assente
Superato il predetto periodo, se i genitori intendono continuare ad astenersi dal lavoro per assistere i propri piccoli nel caso in cui non abbiano fruito dei permessi per i primi 6 anni o per la parte non fruita anche eccedente il periodo massimo complessivo di 6 mesi, devono rinunciare all’intera retribuzione, a meno che il reddito individuale dell’interessato sia inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria. In tal caso, continueranno a poter beneficiare di un’indennità pari al 30% della retribuzione, ma al massimo entro gli 8 anni di vita del bambino.
Dagli 8 ai 12 anni, se resta la possibilità di godere ancora di periodi di congedo parentale, in nessun caso i lavoratori possono beneficiare di indennità.
Calcolo dell’indennità
L’indennità, sino a quando spettante, è calcolata prendendo come riferimento la retribuzione media giornaliera percepita dal lavoratore, considerando il mese precedente l’inizio del periodo indennizzabile.
Fonte: Studio Cataldi

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