Puglia, la lotta del popolo “No Tap”
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3…E LA SUA ECONOMIA, in cui il mare, la terra e le risorse sono al centro di tutto
Il TAP è solo una parte di un gasdotto più lungo, la cui costruzione è stata decisa da governi e compagnie private, senza però consultare i cittadini. Nessuno ha chiesto a chi vive sui territori che verranno attraversati dal TAP e dalle altre componenti del più lungo “Corridoio sud del gas” se fosse o meno opportuno costruire quest’opera, né in Italia né in Azerbaigian. L’esercizio di democrazia riguarda i dettagli del progetto, al massimo qualche deviazione nel tracciato, o un approdo differente nel caso del Salento. Tutti “particolari” che verranno poi presentati come espressione di alta democrazia. Ma se il progetto non servisse proprio?
Che a parlare sia il governo italiano o che sia la società TAP, tutti dicono che il gasdotto TAP è di “priorità europea”. Cioè a volerlo sarebbe la stessa Europa. Una mezza verità, prima di tutto perché i governi non sono riusciti a fare una vera discussione strategica in materia di energia. Il risultato è stato una lunga lista di oltre 100 progetti “strategici” compilata dalla Commissione europea che dovrebbe accontentare un po’ tutti, aziende comprese. C’è già chi ha chiesto alla Corte europea di Giustizia di rivedere le modalità con cui la Commissione ha definito cosa è strategico e cosa non lo è, ma nel complesso il dato di fatto è che i territori e i loro abitanti sono rimasti esclusi da questa decisione. Molti dei progetti sono poi essi stessi in competizione tra loro, confermando le scelte politiche della Commissione e non basate su criteri di economicità, “strategicità” o di semplice buon senso. Il prezzo di tutto questo rischia di essere un enorme spreco di denaro pubblico, per progetti di dubbia utilità che per altro alimentano la dipendenza europea dal gas.
E’ la seconda parte della cantilena che ripetono governi e aziende: ce lo chiede l’Europa “per la sicurezza energetica continentale”. La verità è che l’Europa ha coniato il concetto di sicurezza energetica a tavolino, proprio quando è risultato evidente che solo per una questione di “sicurezza” avrebbe potuto legittimare l’utilizzo di qualsiasi mezzo a tutela del diritto primordiale a garantirsi il petrolio e il gas di cui l’Europa avrebbe “bisogno”. Peccato che oltre il 60% del gas e l’80% del petrolio venduti in Europa provengano da oltre i confini dell’Unione, in molti casi da paesi del Sud, come la Nigeria, o dalla regione del Caspio. Giustificare nuovi investimenti in questi paesi per estrarre petrolio e gas, o nuove infrastrutture in Italia e in Europa per garantire che petrolio e gas possano alimentare il “mercato europeo” è ipocrita e mette in secondo piano i diritti delle comunità che vivono dove il gas è estratto e dove le mega opere dovrebbero essere costruite. Ma soprattutto non affronta il vero problema, ovvero ridurre la nostra dipendenza dal petrolio e dal gas.
“Costruire il mercato del gas” è un mega affare in cui aziende, fondi di investimento, fondi pensione, ma anche banche e assicurazioni sono pronti a tuffarsi, a patto che tutti i rischi vengano coperti in qualche modo dai governi, dalla Commissione europea, o da istituzioni finanziarie come la Banca europea per gli investimenti. Ma quale mercato si vuole costruire? I modelli sono diversi: quello voluto dalla Commissione è strumentale per gli interessi dei grandi investitori, che puntano a creare un sistema che permetta loro di fare i soldi (e in maniera sicura), controllando una risorsa da cui prima si è creata la dipendenza, e poi scarsità (perché controllata dai grandi investitori privati). Oggi per molti il prezzo del gas è già troppo alto: cosa succederà quando il mercato sarà completato e il prezzo verrà definito proprio da questi investitori che puntano a profitti a due o più cifre? E per quale motivo governi e istituzioni pubbliche dovrebbero investire per garantirli?
Le maggiori riserve di gas ancora da sfruttare si trovano nella regione del Mar Caspio. Il gasdotto TAP dovrebbe trasportare gas che viene dall’Azerbaigian, dal giacimento di Shah Deniz II nel Mar Caspio. Ma forse anche da un futuro gasdotto in Turkmenistan. A quale prezzo però? Azerbaigian e Turkmenistan sono due paesi retti da governi autoritari, in cui le violazioni delle libertà civili sono all’ordine del giorno. E’ di poche settimane fa la denuncia di decine di persone incarcerate in Turkmenistan e di cui non si ha più notizia.
Proprio perché si trova nella lista dei “progetti di priorità europea”, il TAP è candidato a ricevere prestiti a tasso agevolato dalla Banca Europea per la Ricostruzione e lo sviluppo e da altre istituzioni finanziarie pubbliche (come la Banca europea degli investimenti e Cassa Depositi e Prestiti). Ma non solo. Il consorzio costruttore potrebbe finanziare la costruzione vendendo sui mercati finanziari dei titoli di debito (i “project bond europei”) con un rating particolarmente alto grazie all’intervento di alcune delle istituzioni appena menzionate, assieme alla Commissione europea. In altre parole, un’agevolazione non da poco, che rischia di scaricare sulle casse pubbliche i costi dell’opera, lasciando il profitto intatto per la società che costruisce e per gli investitori che hanno comperato i bond…Un buon affare per molti, ma non per i contribuenti italiani e europei, che si troveranno a pagare il conto!
Il TAP ci viene spesso presentato come “un’alternativa al gas russo”, ma è davvero così? Se guardiamo i dati dei consumi, anche in tempi di recessione, il TAP non potrebbe sostituirsi alle quantità di gas che importiamo dalla Russia. Inoltre non è dato sapere il costo complessivo del TAP e delle altre parti del gasdotto, dall’Azerbaigian all’Italia, e come verrà finanziato. A conti fatti, la vera alternativa consisterebbe nel definire i bisogni reali di energia di ciascun territorio, guardando agli anni a venire e al modello economico che ciascun territorio vuole definire per rinascere dalla crisi. E quindi pensare agli interventi necessari anche per produrre energia, tagliando il cordone della dipendenza dal gas. Un progetto come il TAP va in direzione contraria, è un ostacolo alla possibilità di pensare a delle alternative realmente trasformative per i territori.
1 Melendugno – Marco Potì
2 Vernole – Luca De Carlo
3 Calimera – Francesca De Vito
4 Castrì – Andrea De Pascali
5 Sternatia – Massimo Manera
6 Melpignano – Ivan Stomeo
7 Martignano – Luciano Aprile
8 Lizzanello – Fulvio Pedone
9 Castrignano dei Greci – Antonio Zacheo
10 Caprarica – Paolo Greco
11 Trepuzzi – Giuseppe Taurino
12 Ortelle – Francesco Rausa
13 Martano – Fabio Tarantino
14 Cannole – Leandro Rubichi
15 Tricase – Antonio Giuseppe Coppola
16 Castro – Alfonso Capraro
17 Alessano – Francesca Torsello
18 Zollino – Antonio Chiga
19 Poggiardo – Giuseppe Luciano Colafati
20 Corigliano d’Otranto – Dina Manti
21 Uggiano la Chiesa – Salvatore Piconese
22 Gallipoli – Stefano Minerva
23 Palmariggi – Franco Zezza
24 Patú – Gabriele Abaterusso
25 Carpignano Salentino – Paolo Fiorillo
26 Bagnolo – Sonia Mariano
27 Nardò – Pippi Mellone
28 Nociglia – Massimo Martella
29 Sannicola – Cosimo Piccione
30 Surano – Carlo Giuseppe Galati
31 Maglie – Ernesto Toma
32 Minervino – Fausto De Giuseppe
33 Scorrano – Antonio Mariano
34 Carmiano – Giancarlo Mazzotta
35 Acquarica del Capo – Francesco Ferraro
36 Diso – Carrozzo Antonella
37 Andrano – Mario Accoto
38 Muro Leccese – Antonio Lorenzo Donno
39 Spongano – Antonio Candido
40 Cursi – Antonio Melcore
41 Alezio – Vincenzo Romano
42 Corsano – Biagio Martella
43 Giuggianello – Giuseppe Pesino
44 Giurdignano – Monica Laura Gravante
45 Botrugno – Pasquale Barone
46 Sanarica – Salvatore Sales
47 Surbo – Fabio Vincenti
48 Guagnano – Fernando Leone
49 San Cesario – Andrea Romano
50 Sogliano Cavour – Paolo Solito
51 Soleto – Graziano Vantaggiato