Una nuova legge apre interessanti scenari sul fronte della produzione della canapa. Tra obblighi e limiti, la strada tracciata sembra andare verso una maggiore libertà.
Il 22 novembre scorso è stata approvata in Senato la nuova legge sulla filiera agroalimentare della canapa in Italia. «Viene finalmente regolamentato un settore dal grande potenziale per la nostra agricoltura, non soltanto dal punto di vista economico, ma anche della sostenibilità. In questo modo diamo riferimenti chiari ai tanti agricoltori interessati a investire in una filiera che ha moltissimi sbocchi commerciali, con un potenziale di redditività elevata» dice il ministro delle politiche agricole Maurizio Martina.
In breve, con la nuova norma la coltivazione di canapa sarà consentita senza autorizzazione. Le piante prodotte dovranno contenere una quantità di Thc, il principio psicoattivo, inferiore allo 0,6%, al coltivatore spetta l’obbligo di conservare i cartellini delle sementi e le fatture di acquisto. Ricordiamo che si parla sempre e solo delle circa 70 varietà di canapa inserite nel registro europeo e certificate come aventi thc basso.
Nuovi finanziamenti per la filiera
Il testo della legge cita i settori produttivi in cui può essere impiegata la canapa, dall’alimentazione alla cosmesi, dall’industria e l’artigianato al settore energetico, e menziona possibili attività didattiche e di ricerca da parte degli enti locali. Sono previsti inoltre finanziamenti per 700 mila euro per il sostegno della ricostruzione della filiera per la lavorazione della canapa.
La deputata Alessandra Terrosi, che ha lavorato alla legge, ha sottolineato che «particolare attenzione sarà prestata alla ricostituzione del patrimonio genetico e all’individuazione di processi di meccanizzazione innovativi, nonché alla semplificazione per l’agricoltore e a una sua maggior tutela». Sembra un passo avanti rispetto al passato. «È meglio di niente»: questo il commento di Valerio Zucchini, uno dei primi imprenditori ad aver ripreso la lavorazione della canapa in Italia, coinvolto nell’iter della stesura della legge fin dalle prime audizioni parlamentari.
Una legge migliorabile
Il testo del Ddl 2144 appena approvato al Senato è il frutto di un lungo percorso che ha visto la collaborazione di produttori e agricoltori. Il testo iniziale, la proposta di legge 1372 Lupo, stabiliva il limite di Thc all’1% e la possibilità di lavorare sulle infiorescenze, cosa proibita in tutta Europa.
Questi punti sono stati cambiati in corso d’opera, in particolare dopo il vaglio dei Ministeri della salute e delle politiche sociali. La nuova legge ha degli aspetti positivi, soprattutto per i coltivatori, che saranno più tutelati dall’innalzamento del livello di Thc dal 0.2% allo 0.6%. Se da un’analisi del raccolto questa percentuale dovesse risultare superiore allo 0,6% si procederebbe alla sua distruzione, senza però conseguenze penali per il contadino. Aspetti importanti, che però non cambiano in modo sostanziale il settore. Basti pensare che il Ministero della salute non ha ancora indicato i limiti del residuo di Thc negli alimenti, lasciando di fatto l’argomento nell’incertezza legislativa.
Siamo su una buona strada, ma manca ancora la regolamentazione sui prodotti, che è l’aspetto più importante e anche più fastidioso per i grandi soggetti economici internazionali che vorrebbero mantenere il controllo e il monopolio delle preziose sostanze nutraceutiche della canapa per evidenti scopi commerciali.
Nonostante le difficoltà, in Italia, da molti anni ormai, in diverse regioni è ripresa la coltivazione. Nel 2014 la European industrial hemp association (Eiha) dichiarava un totale di 17.523 ettari coltivati legalmente a canapa in tutta Europa. All’Italia ne venivano attribuiti 500, mentre alla Francia, maggiore produttore, 10.500. Nel 2015 il totale europeo passa a 25.224, di cui 2.070 in Italia.
A novembre scorso la Coldiretti ha reso pubblici alcuni dati sulla produzione in Lombardia, dove gli ettari sono passati da 23 a 152 negli ultimi due anni, con un aumento di oltre il 500%. Negli anni Cinquanta l’Italia era terzo produttore mondiale di canapa, dopo l’allora Urss e l’India, e primo esportatore mondiale. Ancora prima, negli anni Trenta, in Italia si coltivavano a canapa circa 85 mila ettari. Era molto utilizzata in campo tessile: le lenzuola o gli asciugamani in canapa erano un prodotto pregiato e richiesto.
Gli impianti di trasformazione in Italia
Attualmente sono presenti in Italia solo due impianti di prima trasformazione della canapa, uno in Piemonte, a Carmagnola, attivo dal 2010 circa, e SoutHemp, in Puglia, attivo dal 2014. Un panorama decisamente vivace e interessante, di cui però è difficile dare dati certi: chi opera nel settore deve farlo ancora in un clima di grande incertezza. Speriamo che questa legge apra la strada verso una maggiore libertà nella coltivazione e nel commercio.